Rivista Anarchica Online
Astensione e poi
di Luciano Lanza
I risultati sono
noti e già ampiamente commentati: calo dell'astensionismo (-3,9%),
calo del PCI (da -4,4% alle regionali a -6,1% alle comunali),
inversione del trend discendente della Democrazia Cristiana, leggera
avanzata del PSI, ripresa del PRI, calano PSDI e liberali. Il
Movimento Sociale primo partito nel Sud Tirolo, ma sostanzialmente
stabile nel resto dell'Italia. Affermazione delle liste verdi: 1,7
alle regionali, 1% alle provinciali, 1,2% alle comunali. Rispetto
all'ultima tornata elettorale, le europee dell'anno scorso, gli
italiani hanno dunque mostrato una maggiore partecipazione che si è
tradotta sia nell'affermazione delle liste verdi sia in un recupero
della DC. Il composito arcipelago astensionista si riconferma come
luogo di raccolta di umori e di tendenze molto diversificate e, come
abbiamo sottolineato altre volte su questa rivista, attribuirgli una
valenza unicamente libertaria sarebbe un grave errore analitico.
Questo italiano su sei che non sta al gioco dei partiti non si lasca
facilmente incasellare: scontento, annoiato, perplesso, qualunquista,
indifferente, anarchico... sono solo alcuni degli aggettivi che
alludono, ma non identificano con precisione questo personaggio tanto
temuto e tanto vilipeso dalla classe Politica. Un dato, però, è
certo: quando non deve votare per dei politici che legiferano da Roma
o da Bruxelles, ma per degli uomini che sono apparentemente a lui più
vicini, l'elettore è più sensibile al richiamo delle istituzioni
politiche. La stessa affermazione dei verdi esprime un sintomo
sufficientemente preciso: forza più sociale che politica promette di
occuparsi con coerente pragmatismo dei problemi quotidiani legati
alla qualità della vita e dell'ambiente. Piccoli, ma significativi
miglioramenti - dicono i verdi - sono possibili subito senza
legarsi a visioni di schieramento, anzi investendo le istituzioni
locali di una nuova forma di partecipazione dei cittadini. La
prospettiva di un nuovo modo di partecipare alla gestione della
propria città, unita ad altri elementi di carattere psicologico
quali l'eventualità del sorpasso comunista, hanno dunque
ridimensionato l'astensionismo invertendone il trend ascensionale che
dal 15,9% delle amministrative del 1980 aveva toccato il 19,4% delle
europee del 1984. Comunque il 15,5% di astenuti, schede bianche o
nulle rappresenta un considerevole "buco" nella
legittimazione del potere democratico rappresentativo, un segno
tangibile della frattura esistente in tutto il corpo sociale tra
società politica e società civile. È
la quantificazione numerica di un disagio che serpeggia anche tra
coloro che aderiscono alla ritualità delle elezioni. Ed è questo
l'aspetto da cogliere per comprendere il processo in atto nella
società italiana: le gente crede sempre meno nella politica
istituzionale, ma non vede alternative praticabili. Questo senso di
diffusa impotenza sospinge alla partecipazione elettorale una
discreta percentuale di persone che altrimenti ne farebbero molto
volentieri a meno. L'astensionismo della metà degli anni ottanta è
dunque visto come improduttivo anche da coloro che per formazione e
sensibilità sarebbero portati a praticarlo. Questo è il grosso
limite che devono cercare di superare coloro che dell'astensionismo
attivo e propositivo sono i propugnatori più coerenti: gli
anarchici. In una contingenza storica come quella attuale che non
lascia prevedere neppure in tempi medi trasformazioni radicali,
l'astensionismo diviene riaffermazione etica (nei casi più coscienti
e coerenti) di un'estraneità alle regole della società del dominio.
Riaffermazione etica che, in assenza di alternative concrete e
praticabili, non riesce a coinvolgere quelle "estese minoranze"
dinamiche su cui potrebbe alimentarsi un progetto di radicale
trasformazione. Una spirale che si avvolge su se stessa, se
preferite, il gatto che si morde la coda. L'astensionismo per
divenire fenomeno sempre più allargato che non solo delegittima il
potere dei partiti, ma costruisce nel contempo un'alternativa
proponibile a vasti settori della popolazione, deve saper indicare e
proporre forme e modalità di organizzazione e di mediazione delle
diverse esigenze. Ma su questo punto la teoria e la pratica degli
anarchici sono mute: tutte protese verso la forma perfetta della
società liberata dal dominio, la società libertaria, si mostrano
incapaci di rispondere alle piccole e banali, ma maledettamente
concrete domande sociali che vengono formulate oggi. Ed è
eufemistico ricordare che la società libertaria non nasce per
incanto dopo la grande soirée che risolve tutti
i problemi. Senza abbandonare affatto l'ipotesi rivoluzionaria (ma
quale?) è però necessario riconoscere che non esiste ancora nella
problematica anarchica un serio approfondimento sui percorsi della
trasformazione. In questa dimensione l'astensionismo, coerente
posizione anarchica, risulta carente nella parte propositiva e si
risolve in semplice (anche se giustissima) negatività. In questo modo non
vengono esplicitate tutte le ricchezze del pensiero anarchico che, è
bene ricordarlo, è l'unico in grado di dare una risposta coerente e
soddisfacente al malessere, alle ingiustizie, all'oppressione
generate dalla società del dominio. Così tutti i nuovi fermenti
sociali, e tra questi possiamo in certa misura annoverare i verdi,
vengono riassorbiti dalle istituzioni del dominio che con la loro
ferrea logica riescono a snaturare e a pervertire tutte le istanze di
cambiamento. È
probabilmente arrivato il momento per una rivisitazione
dell'astensionismo perché così come viene ritualmente proposto oggi
rischia di diventare una forma priva di contenuto. "L'immaginazione
al potere" si diceva non molti anni fa. Ebbene per riempire di
contenuti moderni una formula tutt'ora validissima, l'astensionismo,
bisognerebbe pensare a costruire forme alternative alle istituzioni
esistenti, ipotizzando un percorso parallelo: astensionismo per
delegittimare le istituzioni del dominio e nuova partecipazione per
occupare gli spazi resi liberi dall'astensionismo.
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