Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 127
aprile 1985


Rivista Anarchica Online

Cassaintegrati o disintegrati?
di Patrizio Biagi

Ore 6,30 del mattino. Dopo essermi svegliato di soprassalto e avere lanciato un sonoro vaffanculo mi accingo ad alzarmi, non appena il bit-bit della sveglia si farà sentire. Dopo aver realizzato la situazione, però, mi accorgo che dovrò attendere invano: Ma che cavolo sto facendo? Da oggi comincia il mio mese di cassa-integrazione!
Cassa-integrazione!! Quella che una volta era l'anticamera del licenziamento e che oggi funziona un po' da serbatoio per tenere buona un'enorme fetta di lavoratori espulsi dai luoghi di lavoro. Il creare nuovi disoccupati sarebbe troppo pericoloso (per stato e padroni) perché potrebbe far scoppiare qualche cosa di grosso, potrebbe creare malcontento, e allora si crea questa enorme area di parcheggio in cui raccogliere questi ibridi, non più lavoratori e non ancora disoccupati, dimodochè non rompano i coglioni.
Da oggi ricominciano le battutine, che sotto una patina di humour nascondono sia l'invidia di chi vorrebbe ma non può, sia l'idea che molti si sono fatti di essere loro in fondo che ti mantengono in panciolle: Se quel disgraziato lì è in giro a fare un cazzo, è perché ci siamo noi a mantenerlo.
Assisti alla sfilata di un campionario significativo di quel bestiario che ti circonda. Trovi quello che ti dice che sei in contraddizione perché essendo anarchico (e volendo quindi l'abolizione dello stato) percepisci i soldi dallo stesso, e ti verrebbe voglia di rispondergli che i soldi che lo stato ti dà li hai sputati fino all'ultimo in anni e anni di lavoro e che, se si vogliono guardare le contraddizioni, perché non si guardano le proprie? Quanti "compagni" ci sono, che ti fanno queste menate e poi magari passano la vita scroccando cibo e ospitalità ad altri compagni? Quanti sono i compagni impiegati direttamente sotto lo stato? Ma a cosa servirebbe dire questo a persone che hanno il cervello atrofizzato dalla sloganistica e che quindi non saprebbero come usare quella appendice che si ritrovano sulle spalle?
Trovi quello che ti dice che è un'indecenza che esista una cosa come la cassa-integrazione, che in America invece uno viene licenziato e quindi si cerca un altro lavoro... e tu ascolti e ti verrebbe voglia di dire: Ma non è indecente anche l'attività del commercio? Non è forse un mestiere parassitario? Non è forse il consumatore che paga una "tangente" al commerciante e quindi quest'ultimo vive speculando sul lavoro prodotto da altri? E poi in che cavolo di mondo vivi se non sai neppure che oggi esiste una tremenda difficoltà nel trovare un lavoro. Passi per uno come, che quando ha mangiato lui hanno mangiato tutti, e quindi non avrebbe problemi immediati, ma il padre di famiglia che ha un paio di figli in che modo pensi potrebbe fare a tirare avanti se non esistesse la cassa- integrazione?
Non voglio fare dell'ideologia, né proporre l'abolizione del commercio, voglio solo dire ai facili moralisti (è sempre facile ritagliare morali sugli altri) persi nelle loro "elucubrazioni filosofiche", che la cassa-integrazione, anche se a volte può far piacere, è un grave problema e che forse bisognerebbe parlarne con un po' più di cognizione di causa e non con la solita superficialità salottiera con cui si fa ideologia.
Trovi infine quelli che ti dicono che sono loro a mantenerti con i soldi che lo stato gli preleva ecc. ecc.. Ti scappa quasi da ridere, pensando ai tuoi quindici anni di fabbrica dove ti sei fatto un culo non indifferente e poi guardi questi tipi, che magari non fanno niente o che lavorano da qualche mese, tutti probabilmente con il paparino che scuce la lira quando ne hanno bisogno e ti viene di pensare che se dovessi percepire i soldi pagati da costoro, ci sarebbe da prendere in seria considerazione la proposta di andare a fare la fila per la minestra dei poveri.
Ma al di là delle battute di gente che non potrà mai capire la complessità di quello che si sta agitando all'esterno, perché troppo presa dai propri particolarismi e dalle proprie speculazioni "intellettuali", la cassa-integrazione è diventata senz'altro un problema sociale di vasta portata.
È in atto un'ampia manovra di ristrutturazione che non è solo una semplice restaurazione del potere aziendale, messo in crisi negli anni settanta, ma è anche uno snellimento produttivo dettato dai vari problemi concorrenziali interni e internazionali. È una manovra che passa attraverso la cosiddetta riduzione del costo del lavoro (tagli sulla contingenza, collaborazionismo sindacale e scarsa conflittualità rivendicativa, ecc.), l'aumento dei ritmi di lavoro (pressioni continue di capi e capetti sui lavoratori affinché il lavoro venga velocizzato, tagli dei tempi di lavorazione, ecc.), l'applicazione a certi cicli produttivi dell'informatica e della robotica. Tutto questo comporta quindi un'espulsione di manodopera dalle fabbriche, che si concretizza nella cassa-integrazione, dalla quale si verrà riciclati, se si sarà fortunati, in qualche altro posto di lavoro, oppure si finirà, prima o poi, con l'ingrossare le fila dell'esercito dei disoccupati.
Ma la cassa-integrazione non è solo una questione di carattere politico-sindacale. La sua portata sociale è rappresentata anche dal fatto che essa è diventata, a livello di ogni singolo individuo, un problema psichico non indifferente. Ogni lavoratore posto in cassa-integrazione reagisce (a seconda dei propri valori, delle proprie convinzioni politiche, delle condizioni familiari, ecc.), in modo diverso, individuale. C'è chi vive questo periodo come una liberazione dalla fabbrica, ma c'è anche chi la vive come una punizione e pensa, per questo, di essere ritenuto un "lazzarone", non tanto dalle gerarchie della fabbrica (anche se per molti è importante anche questo giudizio), ma dagli amici, dalla famiglia, dai conoscenti.
È stato recentemente pubblicato dal "Coordinamento di Base Hinterland" (formato da compagni di vari gruppi di sinistra dell'hinterland milanese) un ciclostilato intitolato Cassa-integr/azione/ati, che tenta di fare un'analisi, e a mio avviso ci riesce anche abbastanza bene, sulla cassa-integrazione e sulla devastazione, a livello psicologico, che questo stato causa sui singoli individui.
Vorrei qui riportare alcuni brani che mi sembrano significativi e che condivido appieno: "Ho perso i miei compagni di lavoro, la sicurezza nel sindacato, mi sono isolato sempre più, poi non ce l'ho più fatta, tutto mi è crollato addosso, non credevo più né in me stesso né negli altri."
"Mi sento come un limone spremuto, tradito da un'azienda che adesso mi butta via, dopo vent'anni di lavoro senza un'assenza, con l'eczema alle mani e la silicosi riportate sul lavoro".
Voci di cassa-integrati, quelli che dopo un po' scompaiono e non si sa cosa fanno, come vivono, cosa pensano; quelli senza precisi riferimenti, quelli che vivono in una disgregazione e in un isolamento quasi totale, quelli che fanno parlare di sé quando "scoppiano". È chiaro che il disagio sociale e psichico derivante dall'essere collocato in cassa-integrazione è soggettivo e mutevole in funzione di elementi che differenziano un lavoratore da un altro. L'età, il sesso, la durata più o meno lunga della presenza in fabbrica, il grado di politicizzazione e l'impegno sindacale, la famiglia, la situazione economica, l'identificazione o meno nel lavoro, lo stato fisico (handicappati, invalidi, ammalati cronici...), sono alcuni di questi elementi.
E prosegue parlando, più avanti, del crollo esistenziale riscontrabile in lavoratori per i quali il lavoro è la principale fonte di realizzazione individuale... nei lavoratori per i quali il lavoro è l'unico modo di esistere e il cui valore è lo stipendio fisso e sicuro a fine mese... nei lavoratori che vivono un senso di angoscia e di solitudine di fronte all'incomprensione sociale, familiare e degli amici, nei lavoratori per i quali l'essere improduttivo coincide con l'essere inutile.
Con un macabro senso dell'humour si potrebbe dire, infine, che la cassa-integrazione si tramuta, per molti di quelli che hanno raggiunto l'ultimo stadio della disperazione, in cassa da morto, difatti: In questa realtà di espulsioni, sono tanti, tantissimi ormai i lavoratori che evidenziano problemi e disturbi di tipo psichico, e purtroppo sono tanti, troppi quei casi di lavoratori che con il suicidio, hanno deciso di non accettare di vivere in questo ruolo di espulso.
Pochi sono i censimenti conosciuti: 150 a Torino, 3 alla Breda e poi il vuoto, non ci è possibile sapere, tutto tace, si preferisce coprire i giornali con l'"effetto ripresa", con le percentuali di aumento della produttività, della produzione industriale, del calo dell'inflazione e dell'assenteismo.
Le poche righe che ho scritto, le ho scritte per tentar di far capire che la cassa-integrazione non è quel paese di Bengodi che molti credono (da quando in qua le cose funzionali al potere politico-economico possono esserlo?), ma che può essere l'avvio di tragedie collettive e individuali che possono finire in modo molto drammatico.
Non ho nemmeno la mia formuletta finale per risolvere questi gravi problemi. Francamente la solita panacea a base sloganistica del tipo: autogestisci di qui, autogestisci di là, oppure solo l'azione diretta delle masse (quali?) mi lascia ormai piuttosto freddo e refrattario.


Nella USL 28 di Torino

"Cassa integrazione e disagio psichico" è il titolo del numero III/84 di Psichiatria/Informazione, periodico edito a Torino dall'"Associazione per la lotta contro le malattie mentali". Vi sono illustrate le esperienze di alcuni servizi psichiatrici di varie USL rispetto a pazienti in Cassa integrazione guadagni (Cig). In particolare sono riportati i risultati di una ricerca svolta dalla USL 28 (che comprende quattro comuni della cintura torinese) tra lavoratori venuti a contatto con il servizio dopo l'esperienza della Cig e altri messi in cassa integrazione quando erano già in carico al servizio.
Gli operatori della USL hanno distribuito un questionario volto ad evidenziare quali siano state le conseguenze della cassa integrazione a livello economico e relazionale: sia nell'ambito familiare sia in quello sociale. In tutte le situazioni venute a contato con il servizio ci sono state precedenti esperienze di cure presso il medico di base, psicoterapie private, frequenti ricorsi alla Guardia Medica o al Pronto Soccorso, consulti presso specialisti pubblici o privati (neurologi o psichiatri). Tutti questi dati, sommati alle richieste di ricovero presso una casa di cura, mettono in rilievo la drammaticità del fenomeno e, come fanno notare i curatori della ricerca, sono un segno di "quanto ormai dominante sia la medicalizzazione di ogni forma di disagio".
La redazione di Psichiatria/Informazione precisa di non avere inteso dimostrare nessi meccanicistici tra cassa integrazione e malattia, ma di avere voluto indagare su un fenomeno che ha messo in rilievo come la perdita del posto di lavoro (sia pure mascherata da un'indennità economica) "contribuisce all'emergere di sofferenze e di guasti, in alcuni casi gravissimi, specialmente in quanto agisce da elemento catalizzatore e mette o rimette in moto meccanismi di emarginazione, di esclusione, di perdita". La rivista presenta inoltre alcuni dati statistici relativi alla cassa integrazione in Piemonte e interventi di giuristi e sindacalisti.