Rivista Anarchica Online
Drammi
al largo
di Paolo Finzi
Si
chiama Perro Negro 2. È
una piattaforma petrolifera della SAIPEM (gruppo ENI). In febbraio i
lavoratori sono stati protagonisti di una dura lotta, conclusasi con
la sconfitta dell'intransigenza aziendale. Ne parliamo con Luigi
Marchitelli, delegato della Perro Negro 2, tra i promotori di questa
lotta che tutti (azienda e sindacato) volevano tenere in sordina, ma
che alla fine "ha fatto notizia". "Il
nostro lavoro è duro, le condizioni a bordo non sono quelle
strombazzate dalla SAIPEM, il tasso di mortalità e di infortuni è
tra i più alti al mondo".
Un'ora
di sciopero, una sola ora di sciopero, e subito l'azienda ci ha
inviato questa lettera: in poche parole, dovevamo considerarci
sospesi, dovevamo lasciare la piattaforma e tornarcene a casa.
Oppure, se decidevamo di non abbandonare la piattaforma, dovevamo
iniziare a pagare 45.000 lire al giorno per il mangiare. Già un mese
prima, in gennaio, la SAIPEM aveva tentato una simile manovra,
prendendoci alla sprovvista. Ma questa volta abbiamo deciso di
rispondere uniti con un bel no. I sindacalisti ci hanno telefonato da
Ravenna, cercando di convincerci in tutti i modi a pagare il mangiare
come indicava l'azienda, con l'assicurazione che a vertenza finita al
limite avrebbe pagato il sindacato. Anche a loro abbiamo risposto no.
E dall'undici febbraio tutti e 32 noi lavoratori sulla piattaforma
Perro Negro 2 abbiamo mangiato, dividendolo appunto in 32, quel che
l'azienda passava ai 5 della squadra di emergenza. È
andata avanti così per oltre
due settimane. Ma alla fine abbiamo
vinto.
Mentre
racconta le fasi iniziali della lotta, cominciata in sordina e finita
sui giornali, dei lavoratori delle piattaforme SAIPEM, di cui è
stato uno dei protagonisti, gli occhi di Luigi Marchitelli si
illuminano. Ha 25 anni, vive a San Giuliano Milanese ma da 5 anni,
ormai, metà del suo tempo lo passa in mezzo al mare, sulle
piattaforme petrolifere della SAIPEM, la società del gruppo ENI che
si occupa in particolare della perforazione in terra e in mare, della
posa di condotte e della costruzione di raffinerie e simili. Luigi,
col suo bravo diploma di perito elettronico conseguito al
Feltrinelli, è attualmente addetto alle apparecchiature elettroniche
sulla Perro Negro 2, situata al largo della costa marchigiana (ma
dipendente, dal punto di vista aziendale e sindacale, dalla sede di
Ravenna). Da una
settimana Luigi è a casa (il nostro lavoro è così:
15 giorni sulla piattaforma e 13 a
casa). È venuto a trovarci in redazione
perché, dopo essersi sbattuto nelle settimane scorse per far sì che
la loro lotta trovasse ospitalità sulle pagine dei quotidiani (dalla
piattaforma abbiamo speso oltre 300.000
Lire in telefonate a terra, per rompere
il muro del silenzio) ci tiene che anche su
"A" se ne parli. È venuto qui con un pacco di volantini,
lettere della direzione, comunicati dei lavoratori, ha anche la copia
della sentenza con la quale la pretura di Ravenna ha condannato la
SAIPEM per comportamento antisindacale e l'ha costretta a riassumere
tutti i lavoratori, a versare subito loro quanto dovuto, ecc. Di cose
da dire ce ne sono un bel po'. Ma andiamo con ordine.
Partiamo dalle condizioni di vita sulle piattaforme. Non
per farla dura - risponde Luigi - ma sono davvero pesanti.
Nei 15 giorni consecutivi di presenza a bordo, l'orario lavorativo è
di 12 ore. Per qualsiasi necessità legata all'attività operativa,
ti possono comunque chiamare in qualsiasi momento. Se si spacca
qualcosa di notte ti svegliano, ti devi alzare subito e fare quel che
si deve. Hai insomma una disponibilità totale, 24 ore su 24. C'è
poi la questione ancor più grave della sicurezza: noi operiamo sui
pozzi, alla ricerca di gas (metano) o petrolio. In linea di massima
si dovrebbe conoscere con certezza in anticipo quel che c'è nel
pozzo che si va a scavare (è l'AGIP, sempre del gruppo ENI, a far
ricerche con navi e sonar), ma in effetti il rischio è sempre
grande. A seconda delle pressioni che trovi nel pozzo, se solo fai
un errore in fase di controllo o si presenta qualche imprevisto, si
può creare una cosiddetta eruzione. Pensa che a terra, una volta,
per uno di questi fenomeni, una piattaforma si è ribaltata. Questo
solo per darti l'idea della potenza che può sprigionarsi da questi
gas. E, francamente, quello che trovi in un pozzo lo sai con
sicurezza solo... quando lo trovi. Luigi
evidenzia il problema dei mezzi di soccorso costituiti in genere
dalla lancia di salvataggio e dall'elicottero. Non sempre, però,
sono utilizzabili. Se c'è
mare grosso, per
esempio, la lancia non può nemmeno salpare. Se poi la piattaforma si
è stortata in seguito ad un'eruzione, diventa impossibile accedere
alla lancia. Anche l'elicottero ha i suoi limiti: se il vento supera
una certa velocità (credo i 120 km/h) non può levarsi in
volo. E se l'urgenza capita di notte, c'è da augurarsi che alla base
sia disponibile (ma spesso non lo è) un elicottero provvisto di
radar. Se no, ciao elicottero. Sempre in tema di
sicurezza, va tenuto presente che il settore delle piattaforme
petrolifere ha il 2° tasso di mortalità e di infortuni al mondo,
dopo quello minerario. Sulle 3 piattaforme dipendenti dalla base
di Ravenna - spiega Luigi
- nell'ultimo anno e mezzo ci sono stati un morto e 60
infortuni, senza contare quei due
lavoratori morti d'infarto che, se fossero stati a terra, avrebbero
perlomeno potuto godere di cure più tempestive. E quando si
parla di infortuni ci si riferisce a cose serie: fratture delle mani
e degli arti, del bacino, delle vertebre, gente che ha perso le dita
o ha subito più drammatiche amputazioni. Salta fuori la questione
dei contratti a termine: gente che viene assunta per 3 anni con
contratto a tempo determinato, categoria G. Fin
dall'inizio ti fanno firmare che se ti licenziano è comunque per
giustificato motivo. - spiega
Luigi - L'azienda si mette così al sicuro rispetto ad un
possibile ricorsa al magistrato. È
successo cosi che qualcuno di questi contrattisti, finito in ospedale
in seguito ad un incidente sul lavoro, ne è uscito
dopo qualche mese ritrovandosi senza lavoro. C'è poi da osservare
che da due o tre anni (più o meno da quando Reviglio è presidente
dell'ENI) questi contratti a termine vengono usati in
maniera repressiva. È
anche grazie a questi contratti che la SAIPEM porta avanti il suo
attacco all'occupazione: dai 5.300 dipendenti del gennaio '84 si è
scesi ai 4.300 del novembre scorso. E da allora c'è stato un
ulteriore calo di circa 200 unità. Luigi contesta la solita versione
ufficiale dell'azienda ("non siamo competitivi", "se non
ristrutturiamo scompariremo dal mercato", ecc.) ed evidenzia
alcuni dati di fatto: 1) la SAIPEM è presente con le sue piattaforme
in mezzo mondo; 2) da circa un anno le azioni SAIPEM sono quotate in
Borsa; 3) proprio in occasione di questa entrata in Borsa, la SAIPEM
ha promosso una campagna pubblicitaria tesa a magnificare lo stato
dell'azienda (con tanto di dati relativi all'attività
internazionale, agli investimenti, ecc.). C'è poi da tener
presente che, come industria parastatale, la SAIPEM riceve dallo
Stato una barca di soldi, esplicitamente finalizzati - in parte - al
sostegno dei livelli occupazionali. Che invece stanno continuamente
calando, senza che i sindacati si facciano sentire. Qual è la
situazione sindacale del settore? Il tasso di
sindacalizzazione - risponde Luigi - è discreto. La
CGIL e la CISL sono presenti nel nostro settore (che è un po' a
cavallo tra il metalmeccanico ed il chimico) con strutture per i
chimici, rispettivamente FILCEA e FLERICA, mentre la UIL è l'unica
ad aver costituito un sindacato apposito, specifico per
il nostro settore: la UILPEM (Perforazioni E Montaggi), che è poi
l'unica che nel corso della nostra lotta si è mossa un
po'. Torniamo appunto a
questa vostra lotta di febbraio, di cui abbiamo riferito in apertura
le vicende iniziali. Scaduto il
contratto nel giugno scorso, fino ad ottobre non è
successo niente: anche il sindacato, ammanicato a livello politico e
approfittando dell'isolamento dei lavoratori,
all'inizio non si è mosso. Poi ad ottobre sono iniziati i primi
incontri con l'azienda, rivelatisi subito inutili perché da parte
aziendale non si faceva che ripetere la solita musica della crisi. Si
è dunque arrivati a scioperi di carattere nazionale e ad alcuni di
cantiere: a questo punto la SAIPEM e l'AGIP (che affitta le
piattaforme della SAIPEM per l'estrazione del metano e del petrolio)
non ci hanno più visto ed hanno deciso di colpire i cantieri più
combattivi, tra i quali Perro Negro 2. L'8 febbraio
abbiamo fatto l'ora di sciopero di cui ti ho parlato prima, tre
giorni dopo ci è arrivata la lettera "tutti a casa" e la
nostra decisione di restare a bordo ha poi dato il via alla lotta.
Nei termini chiariti prima, la SAIPEM ci ha tagliato i viveri, non ci
ha più garantito la sicurezza: è stato subito chiaro che si
trattava di un caso-bomba. Il nostro grosso problema era
l'isolamento. Il sindacato ha mandato a bordo alcuni rappresentanti
territoriali ed uno nazionale, ai quali abbiamo chiesto di fare il
possibile per dare risalto nazionale alla nostra lotta. Il rischio,
infatti, per noi era di restare là magari per due mesi, per dover
cedere alla fine per fame e per soldi, nel disinteresse più
generale. I sindacalisti ci hanno risposto che non era possibile far
niente, che l'ENI è troppo potente. Allora ci siamo
organizzati da soli: telefonate ai giornali, agli amici a terra che
poi a loro volta contattavano i giornali. Dopo dieci giorni,
finalmente, siamo riusciti a montare il caso. Vari giornali hanno
cominciato a parlare della nostra situazione, Democrazia Proletaria
ha presentato due interrogazioni parlamentari (Capanna doveva venire
a trovarci, ma per motivi tecnici non è riuscito), insomma le acque
si sono mosse. Tanto che quando siamo scesi a terra ed abbiamo
convocato una conferenza-stampa volante davanti alla base, a Ravenna,
si è presentata anche RAI 3, che ha poi mandato in onda un servizio
corretto. I dirigenti SAIPEM erano sorpresi, anzi in coma. Parlando dei
rapporti con i giornalisti, chiedo se vi sia stato qualche episodio
curioso. E salta fuori che, quando dalla piattaforma i lavoratori
hanno telefonato alla redazione de "Il Giorno" (che, com'è
noto, è di proprietà dell'ENI), hanno parlato con un giornalista
(il nome, però, non ce l'ha detto)
che è stato, tutto sommato, franco. "Ragazzi - gli ha detto -
vi capisco, ma voi cercate di capire noi: come possiamo scrivere
qualcosa contro l'ENI? Con la vostra richiesta, in pratica, ci levate
il pane." Risultato: "Il Giorno" ha pubblicato, in
merito all'intera vicenda, solo un comunicato aziendale di smentita
alle affermazioni dei lavoratori. Qualche considerazione in merito
potrebbe anche esser fatta: per esempio, sulla tanto strombazzata
autonomia e dignità professionale della categoria, sull'altrettanto
strombazzato "pluralismo", sul carattere di "servizio
pubblico" dei giornali, ecc. ecc.. Ma lasciamo perdere. E
torniamo alle fasi conclusive della lotta. La formalizzazione
della vittoria si è avuta il 22 febbraio, con la citata sentenza
della pretura del lavoro ravennate, seguita 4 giorni dopo da
un'analoga sentenza della magistratura di Novara per il comportamento
della SAIPEM in un cantiere a terra. In quest'ultima fase i
sindacati, all'inizio assenti e successivamente "saltati su"
(più per litigare tra loro che per difendere i lavoratori), non
hanno perso l'occasione per cantar vittoria e per presentarsi come i
naturali difensori degli interessi delle maestranze. E invece -
denuncia Luigi - anche
in fase processuale hanno mostrato la loro vera natura: noi
lavoratori avevamo dato loro la documentazione necessaria per
inchiodare la SAIPEM sul discorso della sicurezza (che era un po' il
cavallo di battaglia aziendale), ma loro non li hanno presentati. Con il sindacato i
rapporti Luigi li ha tesi da un po' di tempo. L'anno scorso -
racconta - hanno
iniziato la pratica per la mia espulsione: ai loro occhi ero
colpevole di non so che cosa, perché avevo iniziato a prendere
contatti diretti con i lavoratori più combattivi del settore, con
l'obiettivo di arrivare a creare un coordinamento
orizzontale tra chi è veramente interessato a portare
avanti le lotte. Noi sentiamo molto forte l'esigenza di
avere contatti con gli altri impianti e per questo
avevamo chiesto al sindacato stesso di farsi promotore
di due/tre riunioni annuali tra i vari delegati, e questo al di là
delle convocazioni che ci fanno in vista delle
trattative per il contratto (al tavolo con la controparte ci vanno
poi solo i dirigenti sindacali, noi delegati siamo solo consultati
in anticipo). A questa nostra richiesta il sindacato ha risposto
picche. E noi, allora, approfittando dei periodi trascorsi a casa e
anche del fatto che spesso sullo stesso pozzo ci sono
lavoratori provenienti quasi tutti dalla stessa zona (è
un retaggio della politica occupazionale di Mattei
20/30 anni fa), abbiamo iniziato a trovarci, a discutere, a elaborare
il nostro giornale ("Piattaforma libera"). È con questo
spirito e grazie a questi contatti che abbiamo portato avanti e alla
fine vinto la nostra lotta di febbraio: la prima di
questa portata, da quando lavoro alla SAIPEM. Il discorso con
Luigi prosegue a ruota libera. Si parla, fra l'altro, della paga:
dopo 5 anni in azienda (sempre su e giù dalle piattaforme) Luigi
guadagna un milione e quattrocentomila lire al mese, compresa
l'indennità di trasferta, quella di turno (perché si fanno i turni)
e gli straordinari (perché si fanno almeno 8 ore fisse al mese di
straordinario). Ma ci sono anche dei manovali, che dopo dieci anni di
lavoro a bordo, con condizioni di vita ancora peggiori, senza
garanzia del posto di lavoro (hanno il citato contratto a termine),
prendono sulle ottocentomila al mese. Luigi denuncia poi
l'atteggiamento repressivo della direzione aziendale, anche per cose
apparentemente assurde. Cita per esempio il fatto che chi chiede di
poter andare a lavorare sulle piattaforme all'estero (in Arabia
Saudita, per esempio: 3 mesi via, 20 giorni a casa, molti
straordinari e guadagni più che buoni) viene spesso lasciato qui,
mentre gente che ha motivo di chiedere di restare a lavorare in
Italia viene spedita chissà dove. C'è poi il fatto - aggiunge
- che il sindacato ha accettato e
firmato che se il lavoratore dichiara di essere
disponibile a lavorare all'estero, allora
devi accettare qualsiasi destinazione proposta
dall'azienda. Con il risultato che appena c'è gente
che dà fastidio, viene sbattuta
all'estero. Un'arma
in più lasciata nelle mani dell'azienda. Sempre a proposito
di cose (solo apparentemente) assurde, c'è la storia della
bandiera. Fino allo scorso dicembre, infatti, il Perro Negro 2
batteva bandiera liberiana: con la conseguenza, tra l'altro, che per
telefonare a casa dalla piattaforma i lavoratori dovevano pagare la
tariffa intercontinentale (oltre 5.000 lire ogni tre minuti) invece
di quella italiana (poco più della metà). Quando però
nell'ottobre '81 venne a
bordo una troupe della RAI
- ricorda
Luigi - la SAIPEM pensò bene di far scomparire la
bandiera liberiana ed i
documenti (liberiani) affissi in bacheca. Venne issato uno
sfavillante tricolore, vennero
filmati "i nostri coraggiosi lavoratori italiani in mezzo al
mare" e poi - quando la RAI se ne fu andata
- nuovo cambio della bandiera.
Per motivarci la bandiera liberiana
ci hanno parlato di esigenze legate al leasing.
Boh. Luigi ci tiene a
smentire la tesi aziendale, sostenuta in una relazione fatta avere
all'INAIL (che aveva chiesto informazioni in merito all'inquinamento
acustico), secondo cui a bordo vigerebbe una specie di regno del
silenzio, interrotto solo per due minuti al giorno dallo sbuffo
dell'aria compressa. Il rumore sulla piattaforma è forte e
costante, tanto che molta gente soffre
di un forte calo dell'udito. Una volta
siamo riusciti a fare un rilevamento a terra (dove c'è
maggiore dispersione) e abbiamo rilevato che si era 8
punti al di sopra del massimo ammissibile.
A bordo il rumore è tale che nemmeno dopo le tue 12
ore quotidiane di lavoro puoi davvero riposarti. Altro
che regno del silenzio.
|