Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 127
aprile 1985


Rivista Anarchica Online

Drammi al largo
di Paolo Finzi

Si chiama Perro Negro 2. È una piattaforma petrolifera della SAIPEM (gruppo ENI). In febbraio i lavoratori sono stati protagonisti di una dura lotta, conclusasi con la sconfitta dell'intransigenza aziendale. Ne parliamo con Luigi Marchitelli, delegato della Perro Negro 2, tra i promotori di questa lotta che tutti (azienda e sindacato) volevano tenere in sordina, ma che alla fine "ha fatto notizia". "Il nostro lavoro è duro, le condizioni a bordo non sono quelle strombazzate dalla SAIPEM, il tasso di mortalità e di infortuni è tra i più alti al mondo".

Un'ora di sciopero, una sola ora di sciopero, e subito l'azienda ci ha inviato questa lettera: in poche parole, dovevamo considerarci sospesi, dovevamo lasciare la piattaforma e tornarcene a casa. Oppure, se decidevamo di non abbandonare la piattaforma, dovevamo iniziare a pagare 45.000 lire al giorno per il mangiare. Già un mese prima, in gennaio, la SAIPEM aveva tentato una simile manovra, prendendoci alla sprovvista. Ma questa volta abbiamo deciso di rispondere uniti con un bel no. I sindacalisti ci hanno telefonato da Ravenna, cercando di convincerci in tutti i modi a pagare il mangiare come indicava l'azienda, con l'assicurazione che a vertenza finita al limite avrebbe pagato il sindacato. Anche a loro abbiamo risposto no. E dall'undici febbraio tutti e 32 noi lavoratori sulla piattaforma Perro Negro 2 abbiamo mangiato, dividendolo appunto in 32, quel che l'azienda passava ai 5 della squadra di emergenza. È andata avanti così per oltre due settimane. Ma alla fine abbiamo vinto.

Mentre racconta le fasi iniziali della lotta, cominciata in sordina e finita sui giornali, dei lavoratori delle piattaforme SAIPEM, di cui è stato uno dei protagonisti, gli occhi di Luigi Marchitelli si illuminano. Ha 25 anni, vive a San Giuliano Milanese ma da 5 anni, ormai, metà del suo tempo lo passa in mezzo al mare, sulle piattaforme petrolifere della SAIPEM, la società del gruppo ENI che si occupa in particolare della perforazione in terra e in mare, della posa di condotte e della costruzione di raffinerie e simili. Luigi, col suo bravo diploma di perito elettronico conseguito al Feltrinelli, è attualmente addetto alle apparecchiature elettroniche sulla Perro Negro 2, situata al largo della costa marchigiana (ma dipendente, dal punto di vista aziendale e sindacale, dalla sede di Ravenna).
Da una settimana Luigi è a casa (il nostro lavoro è così: 15 giorni sulla piattaforma e 13 a casa). È venuto a trovarci in redazione perché, dopo essersi sbattuto nelle settimane scorse per far sì che la loro lotta trovasse ospitalità sulle pagine dei quotidiani (dalla piattaforma abbiamo speso oltre 300.000 Lire in telefonate a terra, per rompere il muro del silenzio) ci tiene che anche su "A" se ne parli. È venuto qui con un pacco di volantini, lettere della direzione, comunicati dei lavoratori, ha anche la copia della sentenza con la quale la pretura di Ravenna ha condannato la SAIPEM per comportamento antisindacale e l'ha costretta a riassumere tutti i lavoratori, a versare subito loro quanto dovuto, ecc. Di cose da dire ce ne sono un bel po'. Ma andiamo con ordine.
Partiamo dalle condizioni di vita sulle piattaforme.
Non per farla dura - risponde Luigi - ma sono davvero pesanti. Nei 15 giorni consecutivi di presenza a bordo, l'orario lavorativo è di 12 ore. Per qualsiasi necessità legata all'attività operativa, ti possono comunque chiamare in qualsiasi momento. Se si spacca qualcosa di notte ti svegliano, ti devi alzare subito e fare quel che si deve. Hai insomma una disponibilità totale, 24 ore su 24.
C'è poi la questione ancor più grave della sicurezza: noi operiamo sui pozzi, alla ricerca di gas (metano) o petrolio. In linea di massima si dovrebbe conoscere con certezza in anticipo quel che c'è nel pozzo che si va a scavare (è l'AGIP, sempre del gruppo ENI, a far ricerche con navi e sonar), ma in effetti il rischio è sempre grande. A seconda delle pressioni che trovi nel pozzo, se solo fai un errore in fase di controllo o si presenta qualche imprevisto, si può creare una cosiddetta eruzione. Pensa che a terra, una volta, per uno di questi fenomeni, una piattaforma si è ribaltata. Questo solo per darti l'idea della potenza che può sprigionarsi da questi gas. E, francamente, quello che trovi in un pozzo lo sai con sicurezza solo... quando lo trovi.

Luigi evidenzia il problema dei mezzi di soccorso costituiti in genere dalla lancia di salvataggio e dall'elicottero. Non sempre, però, sono utilizzabili. Se c'è
mare grosso, per esempio, la lancia non può nemmeno salpare. Se poi la piattaforma si è stortata in seguito ad un'eruzione, diventa impossibile accedere alla lancia. Anche l'elicottero ha i suoi limiti: se il vento supera una certa velocità (credo i 120 km/h) non può levarsi in volo. E se l'urgenza capita di notte, c'è da augurarsi che alla base sia disponibile (ma spesso non lo è) un elicottero provvisto di radar. Se no, ciao elicottero.
Sempre in tema di sicurezza, va tenuto presente che il settore delle piattaforme petrolifere ha il 2° tasso di mortalità e di infortuni al mondo, dopo quello minerario. Sulle 3 piattaforme dipendenti dalla base di Ravenna - spiega Luigi - nell'ultimo anno e mezzo ci sono stati un morto e 60 infortuni, senza contare quei due lavoratori morti d'infarto che, se fossero stati a terra, avrebbero perlomeno potuto godere di cure più tempestive. E quando si parla di infortuni ci si riferisce a cose serie: fratture delle mani e degli arti, del bacino, delle vertebre, gente che ha perso le dita o ha subito più drammatiche amputazioni. Salta fuori la questione dei contratti a termine: gente che viene assunta per 3 anni con contratto a tempo determinato, categoria G. Fin dall'inizio ti fanno firmare che se ti licenziano è comunque per giustificato motivo. - spiega Luigi - L'azienda si mette così al sicuro rispetto ad un possibile ricorsa al magistrato. È successo cosi che qualcuno di questi contrattisti, finito in ospedale in seguito ad un incidente sul lavoro, ne è uscito dopo qualche mese ritrovandosi senza lavoro. C'è poi da osservare che da due o tre anni (più o meno da quando Reviglio è presidente dell'ENI) questi contratti a termine vengono usati in maniera repressiva.
È anche grazie a questi contratti che la SAIPEM porta avanti il suo attacco all'occupazione: dai 5.300 dipendenti del gennaio '84 si è scesi ai 4.300 del novembre scorso. E da allora c'è stato un ulteriore calo di circa 200 unità. Luigi contesta la solita versione ufficiale dell'azienda ("non siamo competitivi", "se non ristrutturiamo scompariremo dal mercato", ecc.) ed evidenzia alcuni dati di fatto: 1) la SAIPEM è presente con le sue piattaforme in mezzo mondo; 2) da circa un anno le azioni SAIPEM sono quotate in Borsa; 3) proprio in occasione di questa entrata in Borsa, la SAIPEM ha promosso una campagna pubblicitaria tesa a magnificare lo stato dell'azienda (con tanto di dati relativi all'attività internazionale, agli investimenti, ecc.). C'è poi da tener presente che, come industria parastatale, la SAIPEM riceve dallo Stato una barca di soldi, esplicitamente finalizzati - in parte - al sostegno dei livelli occupazionali. Che invece stanno continuamente calando, senza che i sindacati si facciano sentire. Qual è la situazione sindacale del settore?
Il tasso di sindacalizzazione - risponde Luigi - è discreto. La CGIL e la CISL sono presenti nel nostro settore (che è un po' a cavallo tra il metalmeccanico ed il chimico) con strutture per i chimici, rispettivamente FILCEA e FLERICA, mentre la UIL è l'unica ad aver costituito un sindacato apposito, specifico per il nostro settore: la UILPEM (Perforazioni E Montaggi), che è poi l'unica che nel corso della nostra lotta si è mossa un po'.
Torniamo appunto a questa vostra lotta di febbraio, di cui abbiamo riferito in apertura le vicende iniziali.
Scaduto il contratto nel giugno scorso, fino ad ottobre non è successo niente: anche il sindacato, ammanicato a livello politico e approfittando dell'isolamento dei lavoratori, all'inizio non si è mosso. Poi ad ottobre sono iniziati i primi incontri con l'azienda, rivelatisi subito inutili perché da parte aziendale non si faceva che ripetere la solita musica della crisi. Si è dunque arrivati a scioperi di carattere nazionale e ad alcuni di cantiere: a questo punto la SAIPEM e l'AGIP (che affitta le piattaforme della SAIPEM per l'estrazione del metano e del petrolio) non ci hanno più visto ed hanno deciso di colpire i cantieri più combattivi, tra i quali Perro Negro 2.
L'8 febbraio abbiamo fatto l'ora di sciopero di cui ti ho parlato prima, tre giorni dopo ci è arrivata la lettera "tutti a casa" e la nostra decisione di restare a bordo ha poi dato il via alla lotta. Nei termini chiariti prima, la SAIPEM ci ha tagliato i viveri, non ci ha più garantito la sicurezza: è stato subito chiaro che si trattava di un caso-bomba. Il nostro grosso problema era l'isolamento. Il sindacato ha mandato a bordo alcuni rappresentanti territoriali ed uno nazionale, ai quali abbiamo chiesto di fare il possibile per dare risalto nazionale alla nostra lotta. Il rischio, infatti, per noi era di restare là magari per due mesi, per dover cedere alla fine per fame e per soldi, nel disinteresse più generale. I sindacalisti ci hanno risposto che non era possibile far niente, che l'ENI è troppo potente.
Allora ci siamo organizzati da soli: telefonate ai giornali, agli amici a terra che poi a loro volta contattavano i giornali. Dopo dieci giorni, finalmente, siamo riusciti a montare il caso. Vari giornali hanno cominciato a parlare della nostra situazione, Democrazia Proletaria ha presentato due interrogazioni parlamentari (Capanna doveva venire a trovarci, ma per motivi tecnici non è riuscito), insomma le acque si sono mosse. Tanto che quando siamo scesi a terra ed abbiamo convocato una conferenza-stampa volante davanti alla base, a Ravenna, si è presentata anche RAI 3, che ha poi mandato in onda un servizio corretto. I dirigenti SAIPEM erano sorpresi, anzi in coma.
Parlando dei rapporti con i giornalisti, chiedo se vi sia stato qualche episodio curioso. E salta fuori che, quando dalla piattaforma i lavoratori hanno telefonato alla redazione de "Il Giorno" (che, com'è noto, è di proprietà dell'ENI), hanno parlato con un giornalista (il nome, però, non ce l'ha detto) che è stato, tutto sommato, franco. "Ragazzi - gli ha detto - vi capisco, ma voi cercate di capire noi: come possiamo scrivere qualcosa contro l'ENI? Con la vostra richiesta, in pratica, ci levate il pane." Risultato: "Il Giorno" ha pubblicato, in merito all'intera vicenda, solo un comunicato aziendale di smentita alle affermazioni dei lavoratori. Qualche considerazione in merito potrebbe anche esser fatta: per esempio, sulla tanto strombazzata autonomia e dignità professionale della categoria, sull'altrettanto strombazzato "pluralismo", sul carattere di "servizio pubblico" dei giornali, ecc. ecc.. Ma lasciamo perdere. E torniamo alle fasi conclusive della lotta.
La formalizzazione della vittoria si è avuta il 22 febbraio, con la citata sentenza della pretura del lavoro ravennate, seguita 4 giorni dopo da un'analoga sentenza della magistratura di Novara per il comportamento della SAIPEM in un cantiere a terra. In quest'ultima fase i sindacati, all'inizio assenti e successivamente "saltati su" (più per litigare tra loro che per difendere i lavoratori), non hanno perso l'occasione per cantar vittoria e per presentarsi come i naturali difensori degli interessi delle maestranze. E invece - denuncia Luigi - anche in fase processuale hanno mostrato la loro vera natura: noi lavoratori avevamo dato loro la documentazione necessaria per inchiodare la SAIPEM sul discorso della sicurezza (che era un po' il cavallo di battaglia aziendale), ma loro non li hanno presentati.
Con il sindacato i rapporti Luigi li ha tesi da un po' di tempo. L'anno scorso - racconta - hanno iniziato la pratica per la mia espulsione: ai loro occhi ero colpevole di non so che cosa, perché avevo iniziato a prendere contatti diretti con i lavoratori più combattivi del settore, con l'obiettivo di arrivare a creare un coordinamento orizzontale tra chi è veramente interessato a portare avanti le lotte. Noi sentiamo molto forte l'esigenza di avere contatti con gli altri impianti e per questo avevamo chiesto al sindacato stesso di farsi promotore di due/tre riunioni annuali tra i vari delegati, e questo al di là delle convocazioni che ci fanno in vista delle trattative per il contratto (al tavolo con la controparte ci vanno poi solo i dirigenti sindacali, noi delegati siamo solo consultati in anticipo). A questa nostra richiesta il sindacato ha risposto picche. E noi, allora, approfittando dei periodi trascorsi a casa e anche del fatto che spesso sullo stesso pozzo ci sono lavoratori provenienti quasi tutti dalla stessa zona (è un retaggio della politica occupazionale di Mattei 20/30 anni fa), abbiamo iniziato a trovarci, a discutere, a elaborare il nostro giornale ("Piattaforma libera"). È con questo spirito e grazie a questi contatti che abbiamo portato avanti e alla fine vinto la nostra lotta di febbraio: la prima di questa portata, da quando lavoro alla SAIPEM.
Il discorso con Luigi prosegue a ruota libera. Si parla, fra l'altro, della paga: dopo 5 anni in azienda (sempre su e giù dalle piattaforme) Luigi guadagna un milione e quattrocentomila lire al mese, compresa l'indennità di trasferta, quella di turno (perché si fanno i turni) e gli straordinari (perché si fanno almeno 8 ore fisse al mese di straordinario). Ma ci sono anche dei manovali, che dopo dieci anni di lavoro a bordo, con condizioni di vita ancora peggiori, senza garanzia del posto di lavoro (hanno il citato contratto a termine), prendono sulle ottocentomila al mese.
Luigi denuncia poi l'atteggiamento repressivo della direzione aziendale, anche per cose apparentemente assurde. Cita per esempio il fatto che chi chiede di poter andare a lavorare sulle piattaforme all'estero (in Arabia Saudita, per esempio: 3 mesi via, 20 giorni a casa, molti straordinari e guadagni più che buoni) viene spesso lasciato qui, mentre gente che ha motivo di chiedere di restare a lavorare in Italia viene spedita chissà dove. C'è poi il fatto - aggiunge - che il sindacato ha accettato e firmato che se il lavoratore dichiara di essere disponibile a lavorare all'estero, allora devi accettare qualsiasi destinazione proposta dall'azienda. Con il risultato che appena c'è gente che dà fastidio, viene sbattuta all'estero. Un'arma in più lasciata nelle mani dell'azienda.
Sempre a proposito di cose (solo apparentemente) assurde, c'è la storia della bandiera. Fino allo scorso dicembre, infatti, il Perro Negro 2 batteva bandiera liberiana: con la conseguenza, tra l'altro, che per telefonare a casa dalla piattaforma i lavoratori dovevano pagare la tariffa intercontinentale (oltre 5.000 lire ogni tre minuti) invece di quella italiana (poco più della metà). Quando però nell'ottobre '81 venne a bordo una troupe della RAI - ricorda Luigi - la SAIPEM pensò bene di far scomparire la bandiera liberiana ed i documenti (liberiani) affissi in bacheca. Venne issato uno sfavillante tricolore, vennero filmati "i nostri coraggiosi lavoratori italiani in mezzo al mare" e poi - quando la RAI se ne fu andata - nuovo cambio della bandiera. Per motivarci la bandiera liberiana ci hanno parlato di esigenze legate al leasing. Boh.
Luigi ci tiene a smentire la tesi aziendale, sostenuta in una relazione fatta avere all'INAIL (che aveva chiesto informazioni in merito all'inquinamento acustico), secondo cui a bordo vigerebbe una specie di regno del silenzio, interrotto solo per due minuti al giorno dallo sbuffo dell'aria compressa. Il rumore sulla piattaforma è forte e costante, tanto che molta gente soffre di un forte calo dell'udito. Una volta siamo riusciti a fare un rilevamento a terra (dove c'è maggiore dispersione) e abbiamo rilevato che si era 8 punti al di sopra del massimo ammissibile. A bordo il rumore è tale che nemmeno dopo le tue 12 ore quotidiane di lavoro puoi davvero riposarti. Altro che regno del silenzio.