Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 127
aprile 1985


Rivista Anarchica Online

Il prezzo da pagare
di Maria Teresa Romiti

"Una mobilità più spinta sul mercato del lavoro (chiamate nominative, part-time, salario d'ingresso)...)" sono le condizioni necessarie per frenare la disoccupazione secondo Lucchini, presidente della Confindustria; "Adozione di contratti speciali per i giovani, il part-time, la differenziazione dei salari per fascia d'età e per settore produttivo e la "deregulation" del mercato del lavoro" sono le risposte di Lang, presidente della Federmeccanica, ai problemi dell'economia, che in questi giorni ha rincarato la dose sostenendo che è necessaria "...la liberalizzazione del mercato di entrata e di uscita, il licenziamento considerato come un momento normale della vita lavorativa e non come un trauma caricato di significati psicologici, morali ed anche religiosi". Il costo del lavoro, ma soprattutto la possibilità per le aziende di usare in modo flessibile, senza rigidità, assunzioni e licenziamenti torna al centro del dibattito; con una variante: questa volta, sono le aziende a parlare, proporre, condurre il gioco di fronte ad un sindacato diviso, disorientato, essenzialmente bloccato e ad un mondo politico senza risposte.
Cosa sta succedendo? È il riflusso che una volta ancora colpisce? Un golpe delle aziende sull'onda del neo-liberismo americano? Magari la risposta fosse così semplice!
In realtà gli industriali stanno cercando a tentoni qualche soluzione di fronte a un problema molto più vasto che sta colpendo tutti i paesi occidentali ad esclusione del Giappone, cercando di copiare il loro modello preferito: gli Stati Uniti. Del resto, se il tasso di disoccupazione in Italia è al 10,3%, in Gran Bretagna è all'11,6, in Francia al 9,3 e in Germania all'8,3. Perfino gli Stati uniti, nonostante tutto il parlare di ripresa, viaggiano sempre ad un tasso del 7,5%. Potremmo dire di essere in buona compagnia. E i dati non sono certo migliori se si considerano le previsioni sia a breve che a medio periodo. Una ricerca della Prometeia prevede nel 1986 la Francia all'11%, la Gran Bretagna all'11,7%, l'Italia al 10,6 e gli Stati Uniti al 7,5. Anche le previsioni dell'istituto di ricerca dell'IBM, che considerano un tempo più lungo (1990), non sono più rosee: Francia al 13%, Germania 8,7%, Gran Bretagna 12,8%, Italia 9,6% e USA 6,2%. Dati che si affiancano a previsioni di crescita economica sotto il 3%. L'unica eccezione è il Giappone, con tassi di crescita costanti sul 4,5% e tassi di disoccupazione sotto il 3%.
La crisi del mondo occidentale è il problema dell'automazione. In effetti i tassi di crescita devono essere più alti di quelli previsti solitamente dagli economisti per invertire la tendenza alla disoccupazione perché l'automazione diminuisce posti di lavoro, tende a portare a zero l'occupazione per industria e l'agricoltura. Non solo, ma i posti di lavoro creati dall'informatica sono super-specialistici, altamente tecnici e in poco tempo obsoleti.
Non è un caso che la situazione statunitense, da tutti considerata positiva (dopotutto ha tassi di disoccupazione in discesa, seppur minima) ad un'analisi un po' più approfondita riveli storture notevoli. Il decremento del tasso di disoccupazione americano (due punti in due anni) è stato pagato soprattutto da operai ed agricoltori. I colletti blu sono in via di estinzione; nella ricca America gli agricoltori stanno conoscendo la peggiore recessione degli ultimi sessant'anni. Il dollaro forte, l'economia che tira sono validi solo per alcune fasce della popolazione, mentre altre stanno pagando la ripresa in termini che sembravano ormai appartenere al passato.
È il prezzo da pagare, l'economia torna competitiva utilizzando in pieno le nuove tecnologie, ma qualcuno, come sempre, paga la ripresa. Un prezzo che non risparmia neppure i tecnici, i lavoratori specializzati dell'informatica, come fa notare incidentalmente il giornalista inglese Jungk, raccontando l'esperienza di un ingegnere della Silicon Valley passato in quattro anni dal paradiso all'inferno. Attirato dal lavoro ben pagato, dalla villetta con giardino messa a disposizione dalla ditta, si è trovato dopo soli quattro anni, senza lavoro e senza casa. Un microprocessore aveva preso il suo posto; faceva il suo lavoro meglio e più in fretta. A lui non restava che arrabbiarsi per aver contribuito a creare questi aggeggi. D'altra parte insegnare un nuovo lavoro ad un tecnico specializzato costa troppo, meglio prenderne uno nuovo, agli inizi, che imparerà il nuovo lavoro almeno finché serve. Il prodotto umano non conta, le cose cambiano a ritmo vorticoso e prima o poi si rimarrà indietro, spodestati da un nuovo strumento più veloce, più elegante, più efficiente. La mobilità americana è questa: io perdo il posto, ma un altro lo trova al mio posto, almeno per un po', la statistica è salva. È un sistema sicuro ed efficiente e, almeno negli Stati Uniti, al riparo da tensioni sociali: i nuovi disoccupati si arrabbiano solo con se stessi, non si ribellano, quasi incapaci di capire cosa sta succedendo.
Ovviamente la situazione italiana non è a questi livelli, anzi, ha ancora una lunga strada da percorrere anche se le direzioni sono obbligate e il modello davanti spinge alla corsa per non perdere l'ultimo treno. L'America, il Giappone non aspettano. L'uomo è ormai merce obsoleta. Bisogna tenerlo a mente perché è l'unica strada per essere competitivi economicamente, per non restare indietro.
Non c'è alternativa, hanno ragione gli industriali. A meno che non si voglia ripensare il progresso, i valori che lo sottendono, l'importanza dell'uomo, dell'ambiente, il significato della tecnologia. Ma questa è la rivoluzione non è vero?