Rivista Anarchica Online
Quali banditi,
quale Sardegna
di Giuseppe Gessa
"C'è un
principio su cui non ho bisogno di essere istruito. È il principio
umano e libertario del rifiuto della violenza, della fede nella
fratellanza e nell'amore". Queste parole, contenute nell'ultimo
lavoro dello scrittore sardo Ugo Dessy sulla sua terra (Quali
banditi 1977/83 Bertani, Verona 1984),
proseguimento di altri due volumi che prendono in esame la storia
sarda degli ultimi due secoli, indicano lo spirito col quale ha
combattuto per tutta la sua vita la menzogna e la violenza contro gli
sfruttati. Il volume che qui
segnaliamo è dedicato in particolare alla campagna repressiva
portata avanti negli ultimi anni contro i gruppi che lottano per la
difesa dell'identità del popolo sardo, attraverso il tentativo di
accomunarli al fenomeno terroristico nazionale, peraltro
assolutamente inesistente in Sardegna. Assistiamo quindi al rituale
delle incarcerazioni in mancanza di qualsiasi prova o indizi,
avvenute subito dopo la celebre scorrazzata con relativa sparatoria
fatta dai futuri pentiti delle Brigate Rosse Antonio Savasta ed
Emilia Libera. I fatti si svolsero nel marzo '80 e da allora si
affiancano all'opera degli inquirenti i giornalisti (disinformati o
velinari) che presentano farneticanti e inesistenti terroristi sardi
pronti a diffondere la guerra civile nell'isola. Scrive Dessy a
proposito del MAS, il fantomatico Movimento Armato Sardo che ha
rivendicato una serie di sequestri ed omicidi: "Una cultura come
quella sarda, che per sopravvivere ha esasperato i valori di coesione
comunitaria e ha basato ogni suo progresso in forme selettive
naturali favorendo le capacità (balentia) dell'individuo ha propri
modi di opposizione al potere dello stato italiano (quando non
dovesse accettarlo). Modi che non sono mai di "attacco" ma
sempre di "difesa"; di "rifiuto più che di
destabilizzazione" attraverso atti terroristici. Modi che sono
scevri da influssi marxisti o marxisti-leninisti - come dimostra
(oltre all'assenza di una vera e propria classe operaia indigena)
anche l'incapacità di dare vita a organizzazioni proprie
dell'ideologia marxista, e per essere più precisi a qualunque forma
organizzata di risposta politica armata, di classe". L'autore prosegue
la sua analisi ricordando che, nonostante la netta opposizione che si
è avuta in Sardegna al fascismo e alla sua ideologia, non c'è stato
tuttavia il fenomeno della lotta armata partigiana. Ancora oggi
queste caratteristiche del popolo sardo non sono state stravolte dal
mutare delle strutture economiche in certe zone (la truffa della
petrolchimica ad esempio). Non si è avuto un mutamento dell'uomo nel
suo dato psicologico, etico e sociale. L'inesistenza di una struttura
terroristica sarda è stata dimostrata dal crollo di tutte le accuse
contro gli arrestati, alcuni dei quali non sono usciti indenni da
questa sporca vicenda: chi è impazzito, chi è morto di crepacuore
per l'assurdità delle accuse, chi è stato pestato in aula durante
il processo. Il libro di Dessy
consente inoltre di comprendere le caratteristiche del variegato
mondo delle organizzazioni autonomiste e indipendentiste sarde ed è
corredato da una cronologia della storia del movimento. Altri
capitoli sono dedicati al problema del bilinguismo, a quello delle
servitù militari e ai tentativi di impiantare industrie estranee in
modo assoluto al tessuto culturale sardo. Non poteva mancare inoltre
una chiara risposta a quanti, o per animo razzista o per
disinformazione non meno colpevole, si ostinano a considerare il
sequestro a scopo di estorsione un reato specifico della criminalità
pastorale, non considerando che ogni atto criminoso è legato al
tessuto economico e sociale del territorio. Di qui il risorgere di
sentimenti razzisti e xenofobi che, in momenti di crisi economica e
di incertezze per il futuro come quello attuale, possono risolversi
in nuove cacce all'untore o nella ricerca di un "colpevole"
per tutti i mali della società.
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