Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 126
marzo 1985


Rivista Anarchica Online

L'utopia selvaggia
di Maria Teresa Romiti

Dopotutto non bisogna dimenticare che il cambiamento per loro fu di un governo accentrato, gerarchico, teocratico, ma pur sempre attento alle esigenze delle varie comunità alla dominazione spagnola che di preoccupazioni non ne aveva affatto, a parte la rapina, l'assassinio e il genocidio. Forse si può capire come il governo incaico possa venire paragonato ad un paradiso, e forse anche come la comunità (Ayllu) può sembrare un ideale socialista. Ma è anche ideale di una società trasparente, in cui il tutto schiaccia e distrugge l'individuo. Più che un'utopia la chiamerei una distopia. E che fossero liberi dalla fame, dalle privazioni, dalla disoccupazione non basta a trasformarla in una società libertaria.
La differenza invece risuona nel nord, nelle parole della dichiarazione delle cinque contee Cherokee all'inizio degli anni sessanta: "...Noi Cherokee abbiamo sempre saputo che un popolo libero parla, sia con la voce di tutto il popolo che con la voce dei singoli. Tra i Cherokee ciascuno ha il suo modo di pensare. Noi non parliamo come popolo fino a quando non possiamo parlare per ogni singolo Cherokee e per ogni singola organizzazione. Noi lasciamo svolgere a ogni individuo e ad ogni organizzazione tra noi la propria mansione senza porre ostacoli o interferenze...". È l'individuo al quale viene riconosciuto il suo posto. Non è solo il membro al servizio del collettivo, ma un essere che partecipa e forma il collettivo con il diritto di dire no, di staccarsene, di non accettare ciò che va bene agli altri. Una volontà generale che può essere solo la somma di tutte le volontà particolari.
Forse proprio per questo risulta facile capire perché in Sud America, almeno nell'area andina, è stato più facile accettare e fare propria la cultura e le ideologie europee. Se all'apparenza la cultura spagnola poteva sembrare molto diversa dalla cultura incaica, i valori fondanti delle due culture erano simili anzi, forse, spinti al parossismo nella cultura incaica che arriva a perdere l'individuo nel collettivo. Ambedue gerarchiche e statali si sono riconosciute e accettate.

Ma il Sud America non è solo cultura incaico andina. Esistono tutte le culture amazzoniche che sono molto più omogenee con quella dell'America Settentrionale. E non è infatti un caso che le poche testimonianze che si avvicinano di più a quelle nordamericane vengano dal Paraguay, dal Brasile. Sono però le culture "tribali" quelle che non trovano posto, a parte pochi casi, in questo libro. Forse perché troppo impegnate a difendere se stesse e quello che rimane del proprio mondo oppure perché definitivamente uccise dalla grande trituratrice: la cultura occidentale bianca. Sono però ancora queste culture mute che parlano attraverso la parola simile dei loro fratelli nordamericani.
A quando anche a loro la possibilità di parlare in prima persona?
Il silenzio può essere più importante di un lungo discorso. Anche i libri capita che dicano molto di più per quello che tacciono. Credo che ciò che mi ha stimolato in L'Utopia Selvaggia a cura di Emanuele Amodio edito da La Fiaccola (pagg. 215, lire 15.000) sia stato proprio questo, quello che non ho trovato. Il libro è una panoramica, ovviamente limitata, delle testimonianze delle organizzazioni indigene oggi presenti in Sudamerica, un quadro che copre circa dieci anni, dai primi anni 70 ai primi anni 80.
La caratteristica che mi ha subito colpito è stata una certa aria familiare, un respiro europeo che spesso si manifesta in una carica ideologica in senso classico estremamente pronunciata e che comunque troppe volte fa suoi i parametri della logica occidentale. È difficile riuscire a far parlare culture in bilico fra morte (culturale e/o reale) e rinascita, popolazioni da troppo tempo oppresse che hanno perduto le loro radici ritrovandosi sballottate in un mondo che non è il loro, in una cultura che privilegia valori opposti al loro. Si corre il rischio dell'incensamento acritico del passato (il famoso "buon selvaggio"), del pianto vittimistico sul presente oppure di optare per l'abbandono della cultura "antica" per una nuova via, vincente, anche se estranea.
Forse è stato proprio il mio approccio, che considera queste culture diverse, a farmi notare di più l'aria occidentale che segna alcune teorizzazioni.
D'altra parte mi è tornato alla mente un libro letto molti ani fa "Scritti e racconti degli Indiani d'America" edito da Jaca Book che è pure una raccolta di testimonianze (anche se abbraccia un periodo molto più lungo) di indigeni. Un libro che fin dalla prima lettura mi aveva colpito per la "diversità" dello stile e dei contenuti di molti degli scritti raccolti. Annotazioni, esegesi, teorizzazioni si ritrovano anche in questo libro, ma l'atmosfera è diversa. È un altro mondo che parla attraverso queste testimonianze. Un esempio per tutti. L'Utopia selvaggia inizia con un saggio che analizza il problema indigeno oggi da un punto di vista culturale e si potrebbe certo dire che è una buona analisi. Anche il primo saggio di "Scritti e racconti degli Indiani d'America" analizza il problema culturale: la diversa valenza della parola e del silenzio nel mondo indigeno e nel nostro e le differenze che si riflettono nella cultura stessa. E quasi a darci un esempio di questa diversità il saggio si evolve più che per dimostrazioni e teorie tra ricordi, sensazioni, aneddoti, figure poetiche. Alla fine la dimostrazione c'è, ed anche rigorosa, ma la strada usata è profondamente diversa. Vale certo la pena ricordare che i curatori del libro della Jaca Book (una dei quali è l'autrice del saggio citato) sono amerindi, partecipi quindi della loro e della nostra cultura, forse, in un certo senso, in una posizione privilegiata per poter vedere le differenze.
Ma la diversità va ben oltre un misero dettaglio tecnico, tanto più che rimane anche negli articoli indigeni. Dopotutto l'articolo di Ramiro Renaga (amerindo anche lui) riporta una visione del mondo occidentale e marxista conducendo la teorizzazione sui tipici binari della nostra cultura e del nostro amore per la razionalizzazione dimostrando che per la liberazione indigena occorre recuperare il marxismo in forma indigena. Non tutte le testimonianze raccolte sono simili a questa, ma solo poche riescono ad avvicinarsi allo stile nordamericano. Sembra quasi di vedere due facce della stessa medaglia: al sud teoria e logica, l'ideologia al primo posto, al nord testimonianze di vita vissuta, aneddoti, la capacità di coniugare il quotidiano con il generale, di stravolgere la vita di tutti i giorni in epica, leggenda. Sono dimostrazioni del profondo amore per la parola, dimostrazioni del convincimento ultimo che essa vive in quanto detta. Nel momento in cui una parola appare esiste realmente come può esistere un essere vivente, una montagna, un fiore. Forza della parola e del silenzio. Non a caso le testimonianze nordamericane sono da leggere ad alta voce lasciando che i segni scritti ritornino verbo.
La differenza non è solo di stile, è molto di più, differenza di cultura, di valori. Chiedersi allora il perché di questa differenza è soffermarsi sul problema, approfondirlo.
Il Sudamerica, a differenza del Nordamerica, ha visto l'esistere di culture disomogenee. Accanto a culture "tribali" (le società contro lo stato di Clastres), si è sviluppata nell'area andina, una forte cultura centrale, gerarchica, statale a spinta espansionista. La cultura incaica era cultura del collettivo, una cultura che inglobava l'individuo fino a cancellarlo. La comunità, vista come un tutto, era il punto di partenza e di arrivo di ognuno. L'individuo non era solo un membro di una comunità, ma era al servizio di questa. L'area andina è rimasta in questa cultura. È per questo che Virgilio Poel Puenda può dire che gli indios "...cercano innanzitutto la felicità degli altri (ciò implica il fatto di essere profondamente socialisti nella pratica di tutti i giorni); ovvero l'indio prova soddisfazione nel servire i suoi fratelli, la sua collettività...": Da ciò segue che il governo migliore è quello che tutela meglio gli interessi della comunità (in senso globale o generale) e la tesi che Puenda, come altri, fanno discendere dell'insuperabilità del governo inca non è poi tanto peregrina. E può essere, come continua Puenda, che "...niente e nessuno riuscirà a distruggere i buoni ricordi che abbiamo dell'ineguagliabile governo dei nostri antenati".