Rivista Anarchica Online
L'utopia selvaggia
di Maria Teresa Romiti
Dopotutto non
bisogna dimenticare che il cambiamento per loro fu di un governo
accentrato, gerarchico, teocratico, ma pur sempre attento alle
esigenze delle varie comunità alla dominazione spagnola che di
preoccupazioni non ne aveva affatto, a parte la rapina, l'assassinio
e il genocidio. Forse si può capire come il governo incaico possa
venire paragonato ad un paradiso, e forse anche come la comunità
(Ayllu) può sembrare un ideale socialista. Ma è anche ideale di una
società trasparente, in cui il tutto schiaccia e distrugge
l'individuo. Più che un'utopia la chiamerei una distopia. E che
fossero liberi dalla fame, dalle privazioni, dalla disoccupazione non
basta a trasformarla in una società libertaria. La differenza
invece risuona nel nord, nelle parole della dichiarazione delle
cinque contee Cherokee all'inizio degli anni sessanta: "...Noi
Cherokee abbiamo sempre saputo che un popolo libero parla, sia con la
voce di tutto il popolo che con la voce dei singoli. Tra i Cherokee
ciascuno ha il suo modo di pensare. Noi non parliamo come popolo fino
a quando non possiamo parlare per ogni singolo Cherokee e per ogni
singola organizzazione. Noi lasciamo svolgere a ogni individuo e ad
ogni organizzazione tra noi la propria mansione senza porre ostacoli
o interferenze...". È
l'individuo al quale viene riconosciuto il suo posto. Non è solo il
membro al servizio del collettivo, ma un essere che partecipa e forma
il collettivo con il diritto di dire no, di staccarsene, di non
accettare ciò che va bene agli altri. Una volontà generale che può
essere solo la somma di tutte le volontà particolari. Forse
proprio per questo risulta facile capire perché in Sud America, almeno
nell'area andina, è stato più facile accettare e fare propria la
cultura e le ideologie europee. Se all'apparenza la cultura spagnola
poteva sembrare molto diversa dalla cultura incaica, i valori
fondanti delle due culture erano simili anzi, forse, spinti al
parossismo nella cultura incaica che arriva a perdere l'individuo nel
collettivo. Ambedue gerarchiche e statali si sono riconosciute e
accettate. Ma il Sud America
non è solo cultura incaico andina. Esistono tutte le culture
amazzoniche che sono molto più omogenee con quella dell'America
Settentrionale. E non è infatti un caso che le poche testimonianze
che si avvicinano di più a quelle nordamericane vengano dal
Paraguay, dal Brasile. Sono però le culture "tribali" quelle che
non trovano posto, a parte pochi casi, in questo libro. Forse perché
troppo impegnate a difendere se stesse e quello che rimane del
proprio mondo oppure perché definitivamente uccise dalla grande
trituratrice: la cultura occidentale bianca. Sono però ancora queste
culture mute che parlano attraverso la parola simile dei loro
fratelli nordamericani. A quando anche a
loro la possibilità di parlare in prima persona? Il silenzio può
essere più importante di un lungo discorso. Anche i libri capita che
dicano molto di più per quello che tacciono. Credo che ciò che mi
ha stimolato in L'Utopia Selvaggia a cura di Emanuele Amodio
edito da La Fiaccola (pagg. 215, lire 15.000) sia stato proprio
questo, quello che non ho trovato. Il libro è una panoramica,
ovviamente limitata, delle testimonianze delle organizzazioni
indigene oggi presenti in Sudamerica, un quadro che copre circa dieci
anni, dai primi anni 70 ai primi anni 80. La caratteristica
che mi ha subito colpito è stata una certa aria familiare, un
respiro europeo che spesso si manifesta in una carica ideologica in
senso classico estremamente pronunciata e che comunque troppe volte
fa suoi i parametri della logica occidentale. È
difficile riuscire a far parlare culture in bilico fra morte
(culturale e/o reale) e rinascita, popolazioni da troppo tempo
oppresse che hanno perduto le loro radici ritrovandosi sballottate in
un mondo che non è il loro, in una cultura che privilegia valori
opposti al loro. Si corre il rischio dell'incensamento acritico del
passato (il famoso "buon selvaggio"), del pianto vittimistico sul
presente oppure di optare per l'abbandono della cultura "antica"
per una nuova via, vincente, anche se estranea. Forse
è stato proprio il mio approccio, che considera queste culture
diverse, a farmi notare di più l'aria occidentale che segna alcune
teorizzazioni. D'altra
parte mi è tornato alla mente un libro letto molti ani fa "Scritti
e racconti
degli Indiani d'America" edito da Jaca Book che è pure una
raccolta di testimonianze
(anche se abbraccia un periodo molto più lungo)
di indigeni. Un libro che fin dalla prima lettura mi aveva colpito
per la "diversità" dello stile e dei contenuti di molti degli
scritti raccolti. Annotazioni, esegesi, teorizzazioni si ritrovano
anche in questo libro, ma l'atmosfera è diversa. È
un altro mondo che parla attraverso queste testimonianze. Un esempio
per tutti. L'Utopia selvaggia inizia con un saggio che analizza il
problema indigeno oggi da un punto di vista culturale e si potrebbe
certo dire che è una buona analisi. Anche il primo saggio di
"Scritti e racconti degli Indiani d'America" analizza il problema
culturale: la diversa valenza della parola e del silenzio nel
mondo indigeno e nel nostro e le differenze che si riflettono nella
cultura stessa. E quasi a darci un esempio di questa diversità il
saggio si evolve più che per dimostrazioni e teorie tra ricordi,
sensazioni, aneddoti, figure poetiche. Alla fine la dimostrazione
c'è, ed anche rigorosa, ma la strada usata è profondamente diversa.
Vale certo la pena ricordare che i curatori del libro della Jaca Book
(una dei quali è l'autrice del saggio citato) sono amerindi,
partecipi quindi della loro e della nostra cultura, forse, in un
certo senso, in una posizione privilegiata per poter vedere le
differenze. Ma la diversità va
ben oltre un misero dettaglio tecnico, tanto più che rimane anche
negli articoli indigeni. Dopotutto l'articolo di Ramiro Renaga
(amerindo anche lui) riporta una visione del mondo occidentale e
marxista conducendo la teorizzazione sui tipici binari della nostra
cultura e del nostro amore per la razionalizzazione dimostrando che
per la liberazione indigena occorre recuperare il marxismo in forma
indigena. Non tutte le testimonianze raccolte sono simili a questa,
ma solo poche riescono ad avvicinarsi allo stile nordamericano.
Sembra quasi di vedere due facce della stessa medaglia: al sud teoria
e logica, l'ideologia al primo posto, al nord testimonianze di vita
vissuta, aneddoti, la capacità di coniugare il quotidiano con il
generale, di stravolgere la vita di tutti i giorni in epica,
leggenda. Sono dimostrazioni del profondo amore per la parola,
dimostrazioni del convincimento ultimo che essa vive in quanto detta.
Nel momento in cui una parola appare esiste realmente come può
esistere un essere vivente, una montagna, un fiore. Forza della
parola e del silenzio. Non a caso le testimonianze nordamericane sono
da leggere ad alta voce lasciando che i segni scritti ritornino
verbo. La differenza non è
solo di stile, è molto di più, differenza di cultura, di valori.
Chiedersi allora il perché di questa differenza è soffermarsi sul
problema, approfondirlo. Il Sudamerica, a
differenza del Nordamerica, ha visto l'esistere di culture
disomogenee. Accanto a culture "tribali" (le società
contro lo stato di Clastres), si è sviluppata nell'area andina, una
forte cultura centrale, gerarchica, statale a spinta espansionista.
La cultura incaica era cultura del collettivo, una cultura che
inglobava l'individuo fino a cancellarlo. La comunità, vista come un
tutto, era il punto di partenza e di arrivo di ognuno. L'individuo
non era solo un membro di una comunità, ma era al servizio di
questa. L'area andina è rimasta in questa cultura. È per questo che
Virgilio Poel Puenda può dire che gli indios "...cercano
innanzitutto la felicità degli altri (ciò implica il fatto di
essere profondamente socialisti nella pratica di tutti i giorni);
ovvero l'indio prova soddisfazione nel servire i suoi fratelli, la
sua collettività...": Da ciò segue che il governo migliore è
quello che tutela meglio gli interessi della comunità (in senso
globale o generale) e la tesi che Puenda, come altri, fanno
discendere dell'insuperabilità del governo inca non è poi tanto
peregrina. E può essere, come continua Puenda, che "...niente e
nessuno riuscirà a distruggere i buoni ricordi che abbiamo
dell'ineguagliabile governo dei nostri antenati".
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