Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 14 nr. 123
novembre 1984


Rivista Anarchica Online

Dove va la psichiatria?
di Giorgio Meneguz

Questi appunti vogliono essere una proposta di riflessione sul ruolo che riveste la psichiatria nell'attuale momento storico, in particolar modo in Italia, ma anche in Europa.
La situazione italiana va analizzata per le sue caratteristiche peculiari anche se non è possibile desinserirla da contesti internazionali che ne influiscono lo sviluppo. Ma desiderei arrivare al suo specifico un poco lentamente, attraversando per esempio la significatività del Réseau di Alternativa alla Psichiatria che si è tenuto a Roma dal 2 al 6 maggio scorso.
Può esserci utile un po' di storia.

Il primo réseau alternativo
0.1. Nel 1975 in Belgio si sviluppa il «settore»: alcuni operatori che lavorano in un quartiere a nord di Bruxelles organizzano, con altri stranieri, un incontro nella loro città sul tema l'«Alternativa al settore». Grazie alla numerosa presenza di più figure sociali venute da ogni parte d'Europa, si insiste sulla necessità di non limitarsi ad una critica alla psichiatria fine a se stessa, ma di allargare il discorso nei riguardi dei processi di emarginazione perpetrati dalla famiglia, dalla scuola, dalla fabbrica, ecc .. Gli psichiatrizzati spingono verso la costituzione di un coordinamento a livello internazionale contro la repressione psichiatrica. Nasce il réseau. Che da «Alternativa al settore» viene ribattezzato «réseau alternativo alla psichiatria». Non ha un programma preciso, non ha intenzione di diventare un partito né un sindacato. Interessante è conoscere il texte constitutif del réseau. In questo si può leggere che il réseau riunisce gli psichiatrizzati ma anche tutti i gruppi decisi a lottare contro l'oppressione che i primi subiscono o hanno subito; tutti i promotori e gli animatori di esperienze collettive, psichiatriche o no, che costituiscono delle alternative al settore o dei tentativi di distruzione del manicomio; tutti quelli, operatori psichiatrici o no, che si rifiutano di inserirsi come agenti di un ordine psichiatrico repressivo ed esigono che i vari problemi non vengano trattati con interventi tecnocratici. Dice il testo: «Crediamo che le lotte per la sanità debbano inserirsi nell'insieme delle lotte che conducono i lavoratori per la difesa della loro salute ed essere in collegamento con tutte le lotte delle forze sociali e politiche per la trasformazione della società». «La pazzia è l'espressione delle contraddizioni sociali contro le quali dobbiamo lottare. Senza una trasformazione della società non ci sarà mai una psichiatria migliore ma sempre una psichiatria oppressiva. Ci rifiutiamo di rinchiudere nella terminologia psichiatrica i problemi dell'alienazione e dell'emarginazione alimentati dal sistema socio-politico. Dobbiamo smettere di essere gli agenti passivi di un sistema che reprime gli emarginati con l'alibi della cura e del reinserimento».
Si legge più avanti che l'esistenza stessa degli psichiatri, degli infermieri, degli educatori, ecc. fa parte dei sistemi generali di controllo, di normalizzazione, di repressione. La pazzia pone problemi per i quali occorre cercare le risposte ad un livello completamente diverso da quello in cui invece si situano gli apporti degli specialisti. E' necessario dunque bloccare ogni nuova costruzione di ospedali psichiatrici e di servizi specializzati; iniziare fin d'ora un processo di riconversione degli ospedali psichiatrici esistenti.
«Ciò non dovrà essere una liquidazione burocratica del tipo di ciò che è stato fatto in California. Non è questione di ledere uno strato sociale di lavoratori e di gettare la gente in mezzo alla strada. Questo processo di riconversione dovrà essere preso in carico da tutti quelli che vivono la pazzia, da quelli che vivono per la pazzia, da quelli che vivono con la pazzia, con i diversi gruppi sociali interessati a tale riconversione che non necessariamente devono essere dentro lo specifico psichiatrico».
Per quel che riguarda l'infanzia, essa è un fronte di lotta essenziale per il réseau. «L'attuale funzione della psichiatria infantile è di trattare medicalmente dei bambini che sono approdati ad essa perché «ritardati» o «inadatti» per la struttura scolastica. Nella nostra lotta la scuola ha un'importanza strategica essenziale». Occorre costruire più gruppi internazionali al fine di analizzare precisamente la situazione della psichiatria infantile e della scuola nei diversi contesti nazionali, locali, ecc.; per riunire le esperienze che, appena si trovano isolate, vengono recuperate immediatamente; per pensare a delle possibilità di contatti concreti, nel quartiere, con i lavoratori, i gruppi politici, i gruppi d'azione, gli insegnanti, ecc.; per elaborare delle forme di lotta e la possibilità di costruire una pratica alternativa; infine per lasciare lo spazio maggiore alla parola dei bambini, che sono i più interessati.
Infine, per quanto riguarda gli psichiatrizzati, si può leggere nel texte: «Gli psichiatrizzati e gli internati non sono solo degli emarginati, poiché essi sono lavoratori o disoccupati che hanno subito lo sfruttamento o la represione della società capitalistica. Solo una trasformazione sociale, una lotta di classe, a condizione che essi ne siano partecipi, potrà sopprimere l'istituzione psichiatrica con le sue ramificazioni (manicomio criminale, ospedale psichiatrico, settore, prigione, ecc.). Dobbiamo lottare contro l'ideologia psicoanalitica che recupera i discorsi degli psichiatrizzati e le loro lotte di una nuova forma sottile di repressione e di inquadramento poliziesco: il passaggio dall'ospedale psichiatrico al settore. Dobbiamo sopprimere i rapporti curante-curato in quanto riproducono la dominazione di classe».

Come va in Europa
0.2. All'aula magna dell'università di Roma, le relazioni dei rappresentanti dei vari Paesi europei hanno offerto un discreto panorama della situazione psichiatrica in Europa. Franca Ongaro Basaglia ha iniziato il suo intervento entrando subito nel merito della proposta governativa di modifica della riforma psichiatrica. Senza conoscere le situazioni concrete e i dati sull'andamento della sua applicazione si propone, dopo soli cinque anni di esperienza, una sua revisione: «Se fossero vere le intenzioni dichiarate nel disegno governativo di voler conservarne lo spirito innovativo, ci si sarebbe premurati, dal '78 in poi, di vedere, capire e soprattutto valutare come funzionano le cose dove la riforma è stata attuata o è in via di realizzazione, quali modelli di servizi siano prevalenti, quali più efficaci in termini di prevenzione, cura, riabilitazione e quali ne siano i risultati». A livello ministeriale i dati si fermano all'80/'81. Ha accennato inoltre al «vuoto di interventi» e al «disagio delle famiglie dei malati», alla mancata attuazione dei servizi territoriali e alla situazione che paralizza l'erogazione di un servizio migliore: «blocco delle assunzioni, mancanza di finanziamenti da parte delle Regioni per le strutture territoriali, immobilismo delle autorità competenti». Una critica al modello medico e alle risposte tecniche e istituzionali a bisogni degli ex-internati che sono di tutt'altra natura. E, infine, ha chiesto: un appoggio dei Paesi presenti al réseau nei confronti della «grande trasformazione culturale e sociale in atto in Italia», e una forte mobilitazione popolare che pretenda l'applicazione della legge 180.
Rotelli ha tracciato una breve panoramica della situazione psichiatrica europea: «La realtà degli ospedali psichiatrici domina la scena dell'iperevoluta Svezia. In Danimarca in questi venti anni lo sviluppo dei servizi esterni all'ospedale psichiatrico è andato esattamente in parallelo con la crescita delle ospedalizzazioni. La Francia mantiene oltre centomila internati. L'Inghilterra denuncia un numero impresionante di elettroshock e di leucotomie nel 1983». L'Olanda ha votato recentemente una nuova legge in cui resta al centro della legislatura di eccezione il concetto di pericolosità del malato di mente. Nella sua relazione era presente inoltre una critica alle politiche di welfare, un accenno al dilagare delle «terapie per normali», all'alto numero di suicidi e di scompensi psichici negli operai in cassa integrazione della FIAT. Ha infine suggerito alcuni obiettivi del convegno: 1) lotta internazionale per la modifica delle leggi (inaccettabilità del proscioglimento per malattia mentale senza processo; rottura del legame tra malattia e pericolosità; costruzione di servizi contro l'abbandono dei pazienti e contro l'intervento istituzionalizzante del ricovero in ospedale); 2) mobilitazione per attivare le risorse locali della popolazione (cooperative, associazioni, istanze comunitarie, ecc., devono essere aiutate anche dagli enti pubblici e dallo Stato), per attivare servizi alternativi all'ospedale; il tutto finalizzato all'intera produzione sociale dei pazienti senza di cui «ogni atto terapeutico diventa caricaturale». E ancora, occorrerebbe moltiplicare le iniziative attorno alla carta delle raccomandazioni al Parlamento Europeo.
Per il Belgio ha parlato Mony Elkaim. La legislazione belga è molto promettente ma anche questa non applicata. Entro l'86 non dovrebbero esserci più posti letto nei manicomi; ma ha citato i dati dell'83 dove i posti in manicomio sono ancora circa 8.500, i posti letto riservati alla psichiatria sono circa 10.000 negli ospedali generali e ci sono 6.400 letti in «sezioni aperte». Per quanto riguarda il territorio, erano previsti 41 Centri di Igiene Mentale ma a tutt'oggi solo due sono stati realizzati. In Belgio tutti i partiti sembrano d'accordo per quanto riguarda la psichiatria: creare strutture extra-ospedaliere, lottare contro le istituzioni, responsabilizzare la gente; ma non c'è alcun riscontro sul piano pratico. Secondo la Elkaim bisogna che gli operatori psichiatrici affrontino la politica (ma non quella partitica) e colleghino, mediante l'appoggio della gente, le iniziative teoriche per riuscire a metterle finalmente in pratica.
Un rappresentante del «Cheval bleu», per la Francia, dopo aver fatto una storia della psichiatria in Francia dal dopoguerra ad oggi, si è soffermato sulla situazione particolare del suo Paese dopo la presa di potere dei socialisti. Attualmente ci sono 107.000 internati e circa 7.000 operatori psichiatrici. Nel recente passato, chi accennava alla lotta alle istituzioni totali doveva fare i conti con la CGT che con l'alibi della difesa del posto di lavoro difendeva gli ospedali psichiatrici. In Francia, dal '38 all'84 sono stati presentati 120 progetti di riforma della legge e finalmente nell'81 il ministro della sanità, comunista, espone i progetti governativi: impegno alla progressiva soppressione degli ospedali psichiatrici, superamento della legge sugli handicappati, impegno per una adeguata formazione del personale sanitario. Si forma una commissione di attuazione, ma finisce tutto nel nulla col cambio del ministro.
«Noi dobbiamo creare luoghi dove si sperimentino nuovi modi di vivere alternativo, e dobbiamo creare una pratica alternativa ad ogni tipo di potere. Il réseau non deve diventare un'istituzione e sbagliamo, oggi, quando mettiamo in primo luogo la psichiatria e non la situazione sociale e politico-economica e le alternative possibili». Claude Cigala è intervenuto senza leggere alcuna relazione. Cigala rappresenta un movimento di alternativa pratica alla psichiatria, il Collectif Réseau Alternative (CRA) che ha sviluppato, nel sud della Francia, una rete di lieux de vie, di comunità terapeutiche autogestite per bambini psicotici. La loro teoria/pratica è interessante e si basa sugli scritti di Paul Robin, E. Reclus, F. Ferrer, S. Faure, Max Stirner, A.S. Neill; ma i teorici «moderni» (alcuni aspramente criticati per l'assenza di un loro lavoro pratico) a cui si rifanno sono la Mannoni, Cooper, R. Gentis, Deligny, Guattari... In collegamento con Fernand Deligny, che nelle Cevennes accoglie dal '68 bambini autistici, nel 1976 nasce il Coral, primo «luogo di vita». In seguito al congresso internazionale di Trieste del '77, gli appartenenti al Coral fondano il Collectif Réseau Alternative à la Psychiatrie (CRAP) che comprende cinque lieux. A tutto l'82 il réseau svilupperà quaranta comuni. Ma i compagni del CRAP avvertono l'esigenza di abbandonare la «P» della loro sigla in quanto «l'alternativa deve estendersi al di là del solo dominio della psichiatria.» I lieux sono microstrutture che non superano i quindici individui e si caratterizzano per: il vivere-con (contrapposto al lavorare-su bambini autistici), l'autogestione economica (nessun salario), le attività artigianali o agricole, il principio comunitario, la non specializzazione e la non medicalizzazione, il tentativo d'inserimento nella realtà sociale, l'attenzione al desiderio dei bambini e non a quello della struttura, gli aspetti di dinamica e circolazione nei vari lieux. «Non si tratta di creare una neoistituzione o di fare una riforma istituzionale, ma tentare un'avventura di vita dentro nuovi spazi partendo da una domanda reale posta da individui non-normalizzati». Nell'82 si è riunita a Nîmes la prima assemblea generale dei lieux; nell'ottobre dello stesso anno, il Coral ormai conosciuto (all'assemblea erano presenti più di 300 persone) è oggetto di una montatura e i responsabili di questo «luogo» vengono messi in galera per più di quattro mesi. All'inizio dell'83 il potere pubblico emette una circolare che regolamenta i lieux: si tenta quindi di recuperare queste alternative secondo criteri di «sicurezza» e «specializzazione». A tutt'oggi sono rimasti una quindicina di «luoghi di vita».
Il rappresentante greco ci ha raccontato la storia dell'incredibile situazione psichiatrica nel suo Paese. Pochi manicomi ma stracolmi di gente; strutture arcaiche; psichiatri organicisti e impreparati socialmente; enormi interessi finanziari... Esiste qualche esperienza «pilota» ma copre solo il 3% degli utenti psichiatrici.
Il governo inglese si è impegnato per gli ultimi vent'anni nell'eliminazione degli O.P. senza però organizzare finora alcun progetto territoriale. Il relatore ha affermato che la scelta dell'eliminazione degli ospedali psichiatrici rientra nell'ideologia del risparmio economico, mentre al contrario «la 180 italiana è indiscutibilmente rivoluzionaria».

Controriforma all'italiana
Agostino Pirella ha letto la sua lunga relazione sulla situazione italiana. Ha parlato un po' più in particolare della proposta governativa di controriforma: «ambulatori con funzione prevalentemente preventiva, reparti di ospedale generale fino a trenta posti letto, infine sono previsti istituti per la riabilitazione, anche nei vecchi manicomi, in cui verrebbero accolti i pazienti provenienti dai reparti ospedalieri dopo 30 giorni di degenza. Il trattamento sanitario obbligatorio sarebbe prolungato fino a questi trenta giorni, mentre i pazienti potrebbero essere accompagnati dalla forza pubblica ai pronto soccorso degli ospedali senza le garanzie oggi previste. Viene inoltre prescritta una 'sorveglianza sanitaria' dei pazienti anche trattati ambulatoriamente. Resta aperto il problema del manicomio giudiziario, per il quale, nella proposta governativa nulla si dice». In seguito, Pirella ha sviluppato quelli che dovrebbero essere i sei punti attorno ai quali è maturato il progetto di riforma prima del '78: a) critica alle nozioni della psichiatria classica perché stigmatizzanti e generate dalla classe dominante; b) organizzazione di spazi che favoriscano la socializzazione dei pazienti; c) lotta contro i processi di internamento, psichiatrico e non; d) non sottovalutato il valore politico della sofferenza del paziente; e) attenzione ai livelli di potere che si esprimono nella sofferenza (richiesta di aiuto ma anche di soggettività e progettualità mancata); f) «collegamento con altre forze sociali e politiche per la trasformazione della vita e per l'organizzazione di progetti di liberazione collettiva», risposta ai bisogni fondamentali (casa, cibo, ecc.).
Vengono riportati alcuni dati, per quanto riguarda il «problema della spesa», che mi sembrano particolarmente interessanti (il quadro è relativo al 1977). Il nostro paese spendeva per gli O.P. 665 miliardi (12.000 lire annue per abitante). «Le regioni nelle quali si era lavorato per il superamento dei manicomi presentavano un tasso più elevato di spesa (Friuli Venezia Giulia e Toscana: 16.000 lire per abitante). Tuttavia poco di meno (lire 14.000) presentavano anche la Liguria e due regioni delle quali poco si sa oggi sulla realizzazione della riforma, e che avrebbero potuto convertire la spesa dal manicomio al territorio e sono la Basilicata e la Sardegna (entrambe attorno alle 14/15.000 lire annue pro capite)». Inoltre vi sono altri terreni in cui «la riforma non ha avuto momenti di applicazione e di sviluppo»: le università, la «mancata trasformazione della pratica medica» (e qui ha citato Maccacaro e il suo grosso impegno tecnico e politico). Infine vengono sottolineati i modelli in cui la 180 si è realizzata: a) ospedaliero (senza servizi territoriali); ambulatoriale (per poche ore al giorno come supporto all'attività ospedaliera); c) «alternativa al manicomio» (lavoro esclusivo nel territorio 24 ore su 24); d) razionalizzazione (mantenimento del manicomio con servizi territoriali di tipo americano o inglese fortemente legati al suo buon funzionamento).
Mayer, per l'Olanda, ha parlato di un welfare funzionante, di uno sviluppo dei servizi. La legge psichiatrica è del 1884 e solo nel 1974 si è potuto organizzare un coordinamento tra ospedali e servizi extra-ospedalieri. Probabilmente entrerà in vigore in autunno la nuova riforma (che sancisce pratiche che di fatto sono già in uso): il concetto di «turbe psichiche» sostituisce quello di «follia», garantiti i diritti dei pazienti, sviluppo di un coordinamento regionale dei servizi. «L'Olanda si trova in una posizione avanzata, ma non voglio riportare queste esperienze come modello per questo réseau». Un paio di problemi potrebbero essere questi: 1) umanizzazione della psichiatria (con la conseguente neutralizzazione della problematica psichiatrica. Scompare dunque il ruolo sociale della follia come «evidenziatore» delle contraddizioni sociali); 2) concetto di «utente partner» (questo concetto dice che ogni cittadino è partner dell'esperto; per cui nel contratto tra il paziente e il curante c'è uno sbandierato «riconoscimento totale» dei diritti dell'utente. Ma «il paziente è sempre subordinato, nei fatti, e il 'cliente partner' è una figura astratta che neutralizza ancora una volta il rapporto di potere tra terapeuta e paziente»).

La mistificazione del «territorio»
1.0. Un ricoverato dell'O.P. Fatebenefratelli di Cernusco S/N, rimasto a noi anonimo, ha lasciato scritto; «Se togliamo all'infermiere le terapie gli togliamo la giustificazione della presenza, e lo stipendio». Chi conosce anche un poco la situazione degli operatori che lavorano dentro, può afferrare immediatamente il forte significato eversivo di quell'affermazione. Gli infermieri che lavorano ancora dentro l'ospedale psichiatrico o dentro il repartino psichiatrico dell'ospedale generale si tengono tristemente legati a quella logica perversa che riguarda il mansionario e, foraggiati culturalmente dai medici, chiamano «terapia» la quotidiana propinazione di psicofarmaci ai degenti. In una situazione di tale rigidità le contraddizioni di ruolo emergono più violentemente. Allora chi cerca di lavorare in una maniera diversa dentro, o viene stancato e minacciato dai medici e dal primario o gli si offre la possibilità (se c'è un servizio territoriale) forse più creativa di lavorare fuori, sul territorio. Questo in alcune zone geografiche può avvenire grazie alla legge 180 che ha «permesso» di lavorare sul territorio, in altre parti lo si faceva già anni prima del 1978. Fuori, la crisi di ruolo si fa grave e pesante. Dicevo degli infermieri, ma credo che una crisi più grossa sia quella che riguarda il ruolo dello psichiatra. Infatti succede che gli infermieri, soprattutto i più giovani, approdino al lavoro in psichiatria dopo esperienze lavorative le più disparate e un'esperienza di vita sociale molto intensa e significativa, per cui il passato diventa un fertile terreno su cui costruire un modo di lavoro alternativo a quello proposto dalla psichiatria classica. Ma i medici psichiatri, che generalmente provengono da famiglie piccolo o medio borghesi, che cosa hanno alle loro spalle? I valori della borghesia (magari offuscati dall'abbagliamento prodotto dalle sinistroidi illuminazioni intellettuali) poppati dalla famiglia, l'aridità affettiva caratteristica del proprio status, la fredda razionalità, il meccanismo tecnicistico e altri frutti tipici dell'asetticità classi sta delle istituzioni scolastiche. Il ruolo dell'università e il prestigio che gode il medico ospedaliero nell'immaginario sociale sono tra gli elementi che più ostacolano (ma nello stesso momento possono spingere verso) la crisi di ruolo in coloro ai quali si prospetta la possibilità di lavorare in un modo diverso. Lavorare sul territorio mette in crisi il ruolo, l'identità anche di chi non ha alcuna intenzione di mettersi in discussione. Questo è un risvolto fortemente positivo.
Il concetto di «territorio» ha attraversato in questi ultimi quindici anni una variegata gamma di significati. Liberatosi dal dominio esclusivo di architetti e urbanisti il termine «territorio» è diventato ora, come scrive Muratore, «il best seller della chiacchiera politica e del fumismo accademico, fiore all'occhiello degli infiniti protagonisti della 'tavola rotonda' e degli infaticabili animatori dei 'vivaci dibattiti' che oramai affollano, come un castigo divino, le nostre giornate». Tutto è vero: da «invenzione» lo si è trasformato in «mito» e a volte lo si ama mutare in alibi. Ma è anche vero che ciò a cui rimanda il termine territorio nella sua accezione realmente diffusa come oggetto di consumo di massa, non è altro e semplicemente che la complessità del sociale. Allora territorio può significare, per chi lavora in psichiatria, possibilità di interventi allargati mediante pratiche non asetticamente tecniche scaturiti da analisi a rete dei rapporti interpersonali, di potere e di produzione. Da cosa è prodotta la c.d. malattia mentale? Cosa produce la c.d. malattia mentale? Cosa produce il lavoro psichiatrico? Il territorio, inventato o no, con le sue sovrastrutturazioni di complessità, con le sue linee di fuga, le sue limitazioni non limitate, la sua tolleranza repressi va, le sue leggi di composizione interna; questo territorio che con imponenza ci pone problemi strutturali di una complessità sistemica, riesce a disgregare e a mettere in crisi le abituali fantasie di onnipotenza dei lavoratori delle c.d. discipline psy. Ma sappiamo quanto non sia matematicamente vero che crisi significhi crescita, nella pratica. Se da un lato la crisi di ruolo dei lavoratori psichiatrici può sfociare in (o sviluppare) una presa di coscienza politica e quindi attuare tipi di intervento sociale «non psichiatrico», come il lavoro svolto da alcuni a Reggio Emilia che ha portato alle non famose ma estremamente significative «calate» delle popolazioni dei dintorni verso il S.Lazzaro, d'altra parte può supportare la domanda di «nuove» tecniche, più «alternative» e più «liberanti».
Il problema delle tecniche e del loro uso è molto delicato e scottante per la psichiatria «alternativa» soprattutto italiana (ma in modo particolare viene discusso dagli operatori legati a Psichiatria Democratica, che sono bene o male i più ideologizzati). Ma, per esempio, nella commissione «Tecniche psicologiche, psichiatriche, psicofarmacologiche, ecc. e controllo sociale», al réseau di Roma, quando alcuni olandesi e danesi chiesero agli italiani quali fossero le non-tecniche da loro usate per la realizzazione della ormai internazionalmente famosa linea italiana di psichiatria anti-istituzionale, ho avuto l'impressione che riuscirono solo a sollevare un vespaio di analisi epistemologiche che sciamava nell'aria per sfuggire ad una risposta concreta. Personalmente sono convinto che senza un buon rapporto umano non è posisbile utilizzare alcuna tecnica terapeutica. Molto spesso il rapporto umano, caldo disinteressato genuino e soprattutto al di là dei ruoli, è di per se stesso sufficientemente terapeutico. In altre situazioni, in cui la qualità della relazione non basta, ritengo utile l'uso di tecniche (qualcuno crede forse non la sappiano lunga le famiglie c.d. schizofrenogene sull'uso di particolari tecniche per fare impazzire?). E' certamente possibile un uso terroristico, perverso e difensivo di tecniche terapeutiche. E cosa dire sulle tecniche «liberanti» e quelle «manipolanti»? I comportamentisti sono fieri di definirsi tecnologi del comportamento e la stessa definizione viene usata contro di loro, appunto con una connotazione negativa, dai cultori della psicologia del «profondo» o dai lavoratori psichiatrici più politicizzati. Ma non mancano gli anatemi ideologici contro la psicanalisi. Servi del sistema, funzionari della normalizzazione vengono definiti gli psicanalisti dai loro detrattori. Questo per prendere due scuole che vengono situate ai poli estremi delle discipline psy. Psicanalismo contro comportamentismo, o viceversa; oppure non-tecnicismo contro psicanalismo e comportamentismo.
Ma, al di là delle divergenze teoriche, manifeste e illuminanti, e dei parametri ideologici sottesi, è difficile asserire tranquillamente che la terapia psicanalitica non sia anche comportamentale, in pratica. Dire al paziente: «Adesso tu stai allungato, mi dici tutto quello che ti passa per la testa e io ti faccio le interpretazioni», non è fare del comportamentismo, in ultima analisi? La parola dell'analista dopo un lungo silenzio, magari di sedute intere, non dà in quel momento un rinforzo positivo... ? Nella pratica, la mano destra non è contrapposta alla sinistra, anche se non è certamente la sinistra; possiamo fare un percorso più o meno lungo ma l'una porta sempre all'altra, e usarle tutte e due è diverso che usarne una sola: possiamo strozzare meglio ma anche amare e creare meglio. L'iperpsicanalista, ortodosso o no, è un pessimo comportamentista; un buon terapeuta comportamentista può essere considerato alla stregua di un buon analista. Così mi è stato detto: quando un uomo giusto segue la strada sbagliata, la strada segue l'uomo e diventa giusta; quando un uomo sbagliato segue la strada giusta, la strada segue l'uomo e diventa sbagliata.

Un problema di potere
2.0. La crisi di ruolo e di identità può portare ad una evoluzione, ad una maturazione positiva, solo se nel suo sviluppo tiene politicamente conto delle (e si tiene in rapporto con le) complessità socio-economiche esistenti, ma anche di banalità che essendo così semplici sono anche spesso negate e scordate con più facilità e disinvoltura. Eliminare il sintomo indebolisce l'organismo: ecco un ovvio che applicato nella pratica porterebbe al crollo di tutti i presupposti delle «scienze della salute» tipici della medicina occidentale. L'organismo è un sistema in armonia e se la malattia colpisce un organo evidentemente tutto il sistema non funziona. Non solo un organismo è formato da un'armonia di relazioni interne, ma è in continuo feed-back con l'esterno (lavoro, ritmi innaturali, rapporti interpersonali, ambiente, cibo...). Il problema della salute, nella società in cui viviamo, rimanda ad una situazione di esproprio di decisionalità sulla propria salute.
Il problema della salute è un problema di potere: potere del medico che viene delegato a unico depositario della salute (intesa perversamente come «cura» della malattia, cioè eliminazione del sintomo) e possibilità del cittadino di poter decidere che la salute dev'essere intesa concretamente come benessere psicofisico e sociale (poi c'è, naturalmente, il potere economico delle case farmaceutiche, ecc.). Potere in senso oppressivo da una parte e potere in senso autogestionario dall'altra. Finora il potere in relazione alla salute è stato ed è di tipo oppressivo. La riforma sanitaria, in Italia, sulla carta tiene conto di tutto ciò. Il concetto di salute non come assenza di malattia ma come stato di completo benessere fisico psichico e sociale, è stato espresso dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, e si trova ben inserito nei principi della riforma: la tutela della salute è un diritto del cittadino; la tutela della salute va estesa a tutta la popolazione; tutti i cittadini devono essere uguali nella fruizione dei servizi; gli interventi sanitari devono essere unitari e globali (problema della USSL, della deospedalizzazione e della diffusione decentrata dei servizi sul territorio, problema dei momenti di tutela della salute quali la prevenzione, la cura, la riabilitazione); i cittadini devono partecipare alla gestione e al controllo dei servizi. In questa riforma è stata poi inserita la 180.
Ora, la situazione in pratica è molto confusa. Una legge culturalmente elevata in un Paese culturalmente arretrato, si dice.

2.1. Torniamo alla psichiatria. Parecchi sono stati i progetti di riforma alla legge 180, la controriforma del ministro Degan. Progetti che sono nati sulla base dell'ipotesi, non ancora verificata, che un modo completamente diverso di lavorare in psichiatria sia nocivo per la salute dei cittadini (malati e non).
Attualmente (giugno '84) nei servizi si stanno compilando questionari stilati dal Censis. Intanto possiamo dare un'occhiata ai dati che già possediamo.
E' diffusa l'accusa alla 180 di avere «aperto» i manicomi e lasciato all'abbandono pazienti dimessi e famiglie spaventate. Se ben guardiamo, però, ci possiamo accorgere che le dimissioni selvagge sono iniziate molto tempo prima del 1978. Una relazione del CNR, del '79, afferma che le dimissioni dagli ospedali psichiatrici segue la tendenza, già in atto prima della legge 180, di una diminuzione graduale del 17% circa. Nel 1966 il numero di ricoverati negli istituti pubblici e convenzionati era 93.000; nel 1971 era 81.000; nel 1974, 70.000; nel 1976, 56.400; nel 1977, 53.800. Il 16 maggio '78, all'approvazione della legge, i ricoverati erano 51.853; alla fine del '79,
44.450; il 30 giugno dell'81 erano 35.956.
Nel Piemonte, in particolare, i ricoverati in ospedali psichiatrici sono scesi da 4.239 nel '78 a 2.858 nell'83; e nella provincia di Novara, dove io lavoro, al manicomio provinciale c'erano 615 degenti nel '78 che sono diminuiti a 425 (più cinque ospiti) nell'83.
I servizi territoriali sono 334 al Nord, 138 al Centro e 85 al Sud; la spesa per i servizi territoriali è stata, in questi ultimi cinque anni, mediamente del 6,6% della spesa complessiva per la psichiatria. Sono dati che non hanno bisogno né di spiegazione né di elaborazione. Nell'82 per la psichiatria ospedaliera si sono spesi 1.285 miliardi, solo 32 miliardi per i servizi territoriali. Si tratta dunque di fallimento della nuova psichiatria o di un vero e proprio boicottaggio da parte delle forze governative?

L'abuso di psicofarmaci
2.2. In Italia il livello di contraddizione tra psichiatria organicista e psichiatria «alternativa» è molto alto. Non vorrei si pensasse che la situazione stagni nella contrapposizione pratica o teorica tra comportamentismo e psicanalisi o tra P.D. e psicanalisi: il problema ha uno spessore di gran lunga maggiore. L'abuso degli psicofarmaci è un dato di fatto nei manicomi che ancora esistono (per inciso: quando si dice che i manicomi sono chiusi significa chiusi per le entrate ma non vuoti) come nei repartini dell'ospedale generale, come in alcuni malfunzionanti servizi territoriali. I neurolettici a effetto prolungato propinati con una media quindicinale o mensile a pazienti in «libertà controllata» sono vissuti da troppi operatori come panacea magica nei riguardi di complicate situazioni familiari. I trattamenti sanitari obbligatori non sono certo nello spirito della legge e, d'altra parte: quanti trattamenti volontari non sono altro che trattamenti obbligatori nei quali il paziente viene mistificato, confuso, ingannato? Inoltre conviene riflettere sul numero di giovani suicidi (che non hanno conosciuto la manicomializzazione) che a mio parere è tragicamente rilevante, almeno tra gli utenti del servizio in cui lavoro - ma non conosco statistiche ufficiali e neppure so se siano mai state fatte.
Infine, la situazione dei manicomi privati è più che attiva, violentissima e incontrollata, così quella dei Manicomi Giudiziari, dove dal '76 al '78 viene registrato un calo di giornate di presenza dell'11,2%, mentre la tendenza si inverte nel successivo triennio '78/'81 con un incremento del 13,7%.

La psichiatria tecnica repressiva
3.0. L'oggettivazione da parte della psichiatria è nata nel nome della liberazione. Alla fine del settecento, Pinel tolse le catene ai «furiosi» e separò i pazzi dal miscuglio di devianti internati alla rinfusa durante l'epoca classica. Ai pazzi, che erano ormai considerati ufficialmente «malati», veniva concesso l'interesse della scienza medica. Ma anche nella «libera» espressione dei folli scatenati (dentro le mura manicomiali) Pinel applicò la punizione della «seconda reclusione» per le colpe classiche: disobbedienza per fanatismo religioso, resistenza al lavoro, furto. Ciò potrebbe aiutare a dimostrare quanto il manicomio non sia un bubbone da estirpare in una società sana, ma lo specchio che riflette in maniera neppure tanto estremizzata le regole della stessa società borghese che l'ha costruito. Il potere ha voluto una psichiatria «onniscente», ora la desidera anche onnipotente. Ma gli antichi manicomi non sono più necessari. Ora gli psichiatri «democratici» lottano per convincere la gente e per aiutare il paziente a liberarsi dalla necessità del manicomio, lottano per ridare soggettività al paziente. E in effetti la lotta contro qualsiasi segregazione ma anche contro l'assistenzialismo psichiatrico dovrebbe impegnarci tutti.
In nome della libertà adesso lottiamo affinché i manicomi scompaiano; e credo che abbastanza presto scompariranno sciogliendosi nel «terricomio». Ottimismo? Cecità? Certo la realtà è ancora un'altra, ed è comunque un'altra ancora da quella che si potrebbe descrivere: infatti adesso al potere c'è chi li vuole mantenere (magari più belli e ammodernati) e lavora in quella direzione. Il pericolo è che, nell'educazione alla socializzazione insita nel progetto di assistenzialismo socialdemocratico dei partiti di sinistra, le future generazioni vengano allevate con un manicomio interiorizzato (più finemente di quanto lo sia già da tempo). Un manicomio dentro la testa di ciascuno, dove la creatività, il desiderio e la fantasia possano venire rinchiusi perché creatività-desideri-fantasia dovranno essere quelli che «offrirà» il Potere. Allora non sarà più necessario trasgredire perché penseranno a tutto i colonializzatori del corpo, della mente e delle emozioni. Tutti saranno felici, comodi e protetti.
A parte le fantasie, stiamo vivendo un periodo storico particolare ed è bene pensare che è in questo che agiamo la nostra esistenza. La psichiatria «democratica» lotta faticosamente e senza tregua (ora, effettivamente, lotta molto più a livello istituzionale partitico che «sul campo»), e per questo alcuni psichiatri si illudono di fare il loro mestiere in modo rivoluzionario.
Voglio concludere riportando a proposito ciò che ha affermato Basaglia in una conferenza tenuta a San Paolo nel 1979: cioè che un medico e uno psichiatra non possono cambiare, resteranno sempre un medico e uno psichiatra: non esistono medici e psichiatri democratici perché la psichiatria è una tecnica altamente repressiva che lo Stato usa per reprimere i proletari che non producono.


Brunetta, malgrado la lobotomia

«Non ho l'arma che uccide il leone...» è il titolo di un libro scritto dallo psichiatra Giuseppe Dell'Acqua («allievo» di Basaglia, lavora al Centro di salute mentale di Barcola) e pubblicato dalla Cooperativa Editoriale (via Gambini, Trieste). Ne riproduciamo qui le pagine dedicate alla storia di Brunetta. Una storia che non ha bisogno di commenti.

La storia che racconto è quella di una bambina gravemente handicappata, ricoverata in un istituto già a tre anni e trasferita in manicomio, dove tuttora vive, all'età di quattordici anni, nel 1963. Ho conosciuto Brunetta nel 1972 e credo sia utile, oltre che singificativo, riportare integralmente la sua storia fino a quella data così come risulta dai dati ufficiali, conservati nella cartella clinica. In breve la storia di ventitré anni di vita.
Trieste, 2 gennaio 1963
Ospedale infantile
Oggetto: M. Bruna, nata a Trieste il 19.10.1949, abitante a Muggia
Alla Questura di Trieste
Si certifica che la minore di cui all'oggetto dall'età di tre anni degente presso la sezione cronici di questo ospedale infantile, dal 10.9.1954, per frenastenia di grado elevato e mutismo, turbolenza motoria, presenta accentuato aggravamento. Ha gesti di violenza verso le compagne, tenta la fuga dal reparto e di sottrarsi alla sorveglianza. Lacera abiti ed oggetti. Compie atti pericolosi a sé ed alle compagne.
Dato lo stato attuale di agitazione psicomotoria è da considerarsi pericolosa a sé ed agli altri, per cui necessita il ricovero urgente all'ospedale psichiatrico.

Firmato: Il Dir. Sanitario

Questura di Trieste
Il Questore
Vista la richiesta della direzione dell'ospedale infantile, visto il certificato medico del direttore sanitario, dal quale emerge che M. Bruna è affetta da frenastenia di grado elevato e mutismo, turbolenza motoria, pericolosa a sé ed agli altri, urge il suo ricovero al locale ospedale psichiatrico.
Visti gli articoli 2 della legge 14 febbraio 1904, n. 36 sugli alienati e i manicomi e 42 del realtivo regolamento di esecuzione, ordina il ricovero di urgenza in via provvisoria dell'alienata M. Bruna nel locale O.P.

Firmato: Il Questore


Trieste, 2 gennaio 1963
Dalla cartella clinica - 2 gennaio 1963
Disordinata, sudicia. sempre irrequieta, infastidisce le condegenti con la sua turbolenza motoria priva di finalità.
Non parla, emette solo grida.
Chiamata per nome, risponde al richiamo, ma non riesce ad eseguire nemmeno gli ordini più semplici. Dimostra di riconoscere alcuni oggetti comuni e di saperne l'uso. Mangia da sola, deve essere lavata e vestita. Non controlla gli sfinteri.
1967
Attualmente dimostra un affetto limitato verso la madre, accoglie di buon grado le sue visite, ma non si sofferma mai con la stessa fino alla fine dell'ora di visita.
Dalla sua mimica sembra riconoscere i parenti che di tanto in tanto vengono a visitarla.
Si propone la paziente per un intervento neurochirurgico di lobotomia frontale bilaterale.
A questo punto, prima di riportare gli altri documenti in merito, mi sembra opportuno spendere qualche parola a proposito dell'intervento chirurgico sopramenzionato.
Tra le tante torture che gli psichiatri hanno immaginato e praticato per i malati di mente, ce n'è una particolarmente «raffinata» che si chiama psicochirurgia (lobotomia, leucotomia, ecc.). Si tratta di uno scellerato intervento chirurgico al cervello praticato per interrompere le connessioni nervose tra parti dell'encefalo.
Tale tortura, messa in pratica da un neurochirurgo portoghese intorno agli anni Quaranta, benché si fosse rivelata subito inefficace, anzi spesso dannosa perché provocava seri ed irreversibili danni, è stata praticata fino agli anni Sessanta e da qualche scienziato ancora oggi, forse solo perché le cavie da operare sono malati di mente senza alcuna difesa e senza alcun diritto.
10 aprile 1967
Al reparto Neurochirurgico dell'Ospedale Maggiore di Trieste
Oggetto: M. Bruna
Si trasferisce d'urgenza in codesto reparto neurochirurgico la paziente M. Bruna di anni 18, afflitta da grave agitazione psicomotoria, soggetto altamente frenastenico da cerebropatia, affinché venga sottoposta all'intervento chirurgico di lobotomia frontale.

Firmato: Il Dir. dell'O.P.P.

Seguono alcuni allegati. Tra questi mi sembra estremamente significativo riportare quello relativo al consenso scritto che la madre dava all'intervento chirurgico.
Su un pezzo di carta si legge:
O.P.P. Sezione Femminile - Reparto «O» (reparto agitate)
La sottoscritta, madre della degente M. Bruna, acconsente che la stessa venga sottoposta a loboectomia.

Firma (madre analfabeta): X


Trieste, 2 aprile 1967
E' inutile dire che, dopo l'intervento, Brunetta, oltre ai disturbi che già presentava, ha cominciato a camminare male, spesso cadeva ed ha accentuato la scoordinazione dei movimenti degli arti.
1973 giugno
Brunetta non è più nel reparto agitate. Non esiste più il reparto agitate. Con altre tre ragazze, come lei ricoverate sin da bambine, comincia a vivere in una casetta nel parco dell'ospedale. Vivono insieme a sei giovani, infermieri e studenti.
Brunetta ha cominciato a correre nel parco. E' andata in macchina con l'infermiera a comprare un paio di scarpe molto belle. A volte porta i pantaloni jeans, altre volte gonna e maglietta, sempre bei calzettoni.
Non parla ma, a gesti e con la modulazione dell'unico suono che riesce ad emettere, è possibile comunicare con lei.
1974 gennaio
L'esperienza della casetta è finita. Brunetta va in reparto, un reparto aperto (già dal 1972 tutti i reparti sono aperti). Ormai in ospedale sa come trascorrere la giornata. Corre da un punto all'altro. Va a salutare le persone che adesso conosce. Va al bar. Prima di andare chiede a me, all'infermiere, a chiunque incontri in reparto qualche soldino per la Coca Cola o per il jukebox che è la sua passione. Spesso va in giro in macchina con gli infermieri.
Alla Villa Revoltella, il parco pubblico della città, ha visto tanti bambini che correvano, correva anche lei con loro.
E' molto golosa, in bar ruba sempre le paste. Se arriva qualche ospite in reparto è Brunetta a fare gli onori di casa. Chiama l'infermiere, il medico e, preso l'ospite per un braccio, lo «trascina» in giro per il corridoio.
Vuole molto bene alle persone che le stanno vicino. Mi ha fatto capire che desidererebbe tanto una radio. Ama la musica. Quando sua madre o qualcuno di noi le porta un regalo, Brunetta è felice.
1974 settembre
In estate ci sono molti concerti e feste nel campo sportivo dell'ospedale e in teatro. Al concerto jazz è seduta al pianoforte con Giorgio Gaslini. Nessuno può toglierla di lì.
Allo spettacolo di Gino Paoli continua a camminare sul palco, quasi ballando. Alla farsa di Dario Fo è sempre in prima fila per tutti e tre gli spettacoli. Nel teatro per molti mesi un gruppo di giovani attori prova uno spettacolo e fa esercizi dal tardo pomeriggio a tarda sera. Brunetta non perde una serata. Per mesi, seduta in platea, è l'unico spettatore alle prove. Quando i giovani provano qualcosa di dinamico, usando molto il corpo, Brunetta si inserisce nel gioco. E' affascinata. A tarda sera un giovane attore la riaccompagna in reparto.
1975 maggio
Siamo in un reparto nuovo, Brunetta ha un suo armadietto e tanti vestiti che un'infermiera, Wanda, si occupa di tenere in ordine. Qualche giorno fa, correndo, ha battuto la testa in una porta a vetri. Un vetro si è rotto procurandole un lungo e profondo taglio sulla faccia: ho dovuto ricucirla con quindici punti di sutura. Qualche volta Brunetta è contrariata, vorrebbe chissà cosa, corre su e giù per il reparto.
Ama molto fare il bagno nelle vasche nuove con l'acqua calda ben regolabile.
Quando, in reparto, devo visitare qualcuno, Brunetta cerca di aiutarmi, mi regge l'apparechio della pressione, il fenendoscopio, il laccio emostatico. Nei panni di infermiera è davvero buffa.
1975 novembre
E' andata dall'estetista, nell'istituto di bellezza che si trova dentro l'ospedale, ha pedalato sulla bicicletta da camera. Ha toccato tutte quelle strane macchinette, poi si è lasciata pettinare e fare la pulizia del viso. Dall'estetista ha rubato una parrucca. Con la parrucca bionda è andata in giro per tutti i reparti dell'ospedale a trovare i suoi amici; era molto soddisfatta del divertimento che provocava la sua figura grottesca.
1975 dicembre
E' già la terza volta in questi anni che Brunetta esce sola dall'ospedale. Che vada fuori sola è pericoloso per le macchine, il traffico e poi le persone hanno paura di lei, del suo strano modo di camminare, di gesticolare, di parlare. E' andata in autobus, da sola, addirittura fino a Muggia e da lì a piedi al vicino valico di San Bartolomeo per la Jugoslavia. Ci hanno telefonato le guardie di finanza perché andassimo a riprenderla. Un ragazzo che ha viaggiato con lei in autobus ha fatto all'indomani, a scuola, il compito che riporto e che, per caso e per una serie di circostanze, mi è capitato tra le mani:
Tema: quella povera ragazza
«L'altro ieri andai alla stazione per aspettare un mio amico; egli però non era venuto, quindi presi la corriera e vidi che dentro c'era una ragazza, era pazza, e ognuno che entrava in corriera la guardava come per disprezzarla. Essa guardava con uno sguardo malinconico e con un viso tutto sporco, poi andò da una donna e, senza parole, le fece motto di sedersi vicino a lei; quella donna non ci fece caso; lo stesso fece a me, anch'io rifiutai. Essa guardava la gente come esseri sconosciuti, la gente la disprezzava come se fosse da buttar via. Io sentii un gran dolore sentendo tutto questo; guardandola un po' meglio vidi che i suoi occhi erano bagnati dalle lacrime. A una ragazza scappò una risata dicendo «vara che gente che va in giro». Il fattorino, sentendo questo, la rimproverò con grandi parole, poi io scesi e pensai tra me che nel mondo non c'era più amore, eppure quella ragazza era una di noi, perché disprezzarla? Anzi si dovrbbero aiutare questi poveri disgraziati e, prima di finire, vorrei discutere questo argomento in classe per vedere cosa ne pensano gli altri».

Dario Cossich - classe I G Scuola Media «Nazario Sauro»

Brunetta in reparto, con la sua irrequietezza, rende molte volte il lavoro difficile agli infermieri. Fa cadere le sedie che urta, correndo, spinge, involontariamente, le persone che incontra, fa cadere il piatto o il bicchiere.
Sto cercando di farle capire che deve sempre mangiare a tavola e con le posate. Quando ci sono le salsicce o le pol pette per pranzo le mangia prendendole con le mani e cor rendo via. Quando la rimprovero sa bene farsi scusare: le mani giunte, mi guarda con gli occhi bassi, accenna un sorriso timido e poi affettuosamente mi abbraccia.
1976 febbraio
E' arrivato un gruppo di ragazzi della scuola media Codermaz di San Giovanni, in visita di studio all'O.P.P. Al primo incontro con Brunetta i ragazzi si impauriscono e si tirano indietro. Bruna arriva correndo, il corpo innaturalmente inclinato in avanti, le braccia ciondoloni, ridendo per la felicità di vedere tante facce nuove. Dopo le prime difficoltà Brunetta li accompagna al bar. Chiama tutti al jukebox. Nessuno dei ragazzi si avvicina. Brunetta ne prende uno per mano e, con gesti eloquenti, gli chiede un bacio. Poi si siede e il ragazzo vicino a lei. A poco a poco tutti si fanno intorno a Brunetta. Brunetta bacia e abbraccia tutti. Ascoltando la musica invita i ragazzi ad un grande giroton do. E la festa è fatta.