Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 14 nr. 123
novembre 1984


Rivista Anarchica Online

Per un anarchismo an-archico
di Octavio Alberola

«Non c'è dunque, rispetto al potere,
un luogo del grande Rifiuto - anima
della rivolta, matrice di tutte le ribellioni,
unica legge del rivoluzionario.
Ma solo diverse resistenze.

(M. Foucault)

L'esistenza di una filosofia antiautoritaria (vecchia o «nuova») e di correnti anti-Stato estranee al Movimento anarchico non è un fatto nuovo né qualcosa che debba sorprenderci; e neanche il fatto che non facciano riferimento ai teorici dell'anarchismo classico. Il paradosso è che esistono ancora molti anarchici a cui costi tanto riconoscere questa evidenza: che né l'Anarchismo (con la A maiuscola, per dargli un'autorità di corpus dottrinale) è tutta la summa del pensiero antiautoritario, né la pratica Anarchica (per darle un'identità di Movimento), è sempre stata la pratica più consequenziale della libertà e dell'autonomia.
Che lo vogliamo o no, la critica concettuale più dura al Potere e le negazioni più radicali dell'Ordine provengono attualmente da pensatori e gruppi indipendenti che non vogliono essere assimilati a nessuna ideologia e che, per essere precisi, fondano la loro indipendenza e il loro antiautoritarismo sulla negazione della soggettività oggettivata dalla sistematizzazione della libertà assurta a dottrina.
E' vero che il vasto campo di questo nuovo antiautoritarismo teorico e pratico pullula di «pensatori» di molti diversi livelli, e che non sempre tutti sanno evidenziare e porre in pratica tutte le conseguenze della loro posizione antiautoritaria, però è altrettanto vero che all'interno dell'Anarchismo è stato possibile constatare la presenza di pensatori e allo stesso tempo di posizioni molto «singolari». E non bisogna neanche dimenticare che, nel caso della maggior parte di queste nuove correnti anti-Stato, si tratta di un rifiuto unilaterale e superficiale del dogma marxista (1), più che di una globale e approfondita critica al pensiero autoritario. Non abbiamo ritenuto opportuno fare riferimento ai casi più dubbi (anche se per questo non meno significativi) di questi «nuovi» profeti del liberismo antiautoritario «new-look» (2) tanto in voga ultimamente in certi circoli «progressisti»...
Insomma, non c'è alcun dubbio che l'esistenza di queste correnti (di dissidenza e di contestazione antiautoritaria), all'interno delle moderne società post-industriali, è un fatto che non possiamo negare o ignorare, e che a nostro avviso acquista una importanza capitale in questi momenti di crisi e tramonto dell'Anarch-ismo istituzionalizzato e di ripiegamento generalizzato del movimento rivoluzionario. Per questo - hic et nunc - senza fare l'analisi di queste correnti filosofiche, politiche e ideologiche anti-Stato, cercherò tuttavia di evidenziare le cause che - a mio avviso - hanno impedito e continuano ad impedire l'incontro dell'Anarch-ismo con questo antiautoritarismo intellettuale e con l'antiautoritarismo autonomo in generale. Non solo perché può essere utile per capire le attuali contraddizioni e incapacità del Movimento anarchico internazionale, ma anche perché mi sembra necessario, urgente e possibile superare questa frattura assurda e giungere ad una fraterna ed efficace convergenza di tutte le correnti antiautoritarie che lottano contro lo Stato e le tendenze antiautoritarie delle società contemporanee.

Contestazione antiautoritaria e dissidenza
Dal maggio del '68 assistiamo ad un vasto processo di contestazione del settarrismo e dell'autoritarismo, di tutti gli apparati dirigenti e delle burocrazie che hanno confiscato, a proprio esclusivo beneficio il potere - sia direttamente, attraverso lo Stato, o semplicemente all'interno dei Partiti e Organizzazioni sindacali. Inoltre, da quando Solgenitsin costrinse gli stessi Partiti comunisti occidentali ad ammettere l'esistenza e la grandezza del Gulag, «il continente storia all'interno della teoria scientifica, il Socialismo (con la S maiuscola)», non ha cessato di generare dissidenza...
Questa contestazione e questa carne sacrificata (in nome del Socialismo) hanno ottenuto alla fine, come risultato, di far cadere le maschere e di aprire gli occhi a molti intellettuali e operai marxisti, costringendoli a riconsiderare la loro storia: ben diversa da quella che, in nome della Teoria, ha dettato legge sulla Storia del Movimento Operaio (non dimentichiamo le maiuscole) e non ha parlato delle generazioni di operai, di contadini e di intellettuali che marciavano ben scortati verso i campi di sterminio; costringendoli a pensare alla loro storia... e a rimettere in discussione l'ideologia e il processo di interiorizzazione dell'autoritarismo da parte del movimento rivoluzionario.
Non deve sbalordire quindi, che questo processo di scoperta e presa di coscienza degli «eccessi» del Potere (qualsiasi Potere) abbia condotto numerosi intellettuali e militanti operai a scoprire e a usare a loro volta l'autoritarismo implicito in qualsiasi progetto (riformista o rivoluzionario) che pretenda di conquistare il «benessere» degli uomini a prescindere da loro. L'inevitabile conseguenza è stata che la maggioranza ha dissentito.
Così, in modo diverso a seconda dei diversi contesti, i dissidenti testimoniano in favore della libertà contro l'autoritarismo, anche se tutti non lo fanno negli stessi termini né adottano gli stessi atteggiamenti di resistenza e di negazione del Potere. Non va dimenticato che i vecchi residui autoritari e le vicissitudini della vita quotidiana continuano a determinare, in molti casi, discorsi e atteggiamenti paradossali e contradditori che finiscono per accomunare la dissidenza con un marginalismo folkloristico o con una semplice opposizione di potere al Potere. E ce n'è altri che, a causa della loro incapacità di avere un valido rapporto con la realtà o perché prematuramente delusi e scoraggiati dagli anatemi e persino dalle aggressioni fisiche di cui sono stati vittima, non fanno altro che distillare il loro pessimismo ... In questo senso sono una buona occasione per farci ripensare al nostro ingenuo ottimismo più che per una lucida riflessione destinata a sfociare in una azione contro la menzogna e la barbarie.
Tuttavia - in questi tempi in cui l'Ordine democratico e l'Ordine totalitario collaborano su tutto il pianeta per instaurare un ordine cosmico -, qualsiasi apporto alla critica dell'autoritarismo diventa prezioso. Maggiore è il numero di coloro che si chiedono: «Perché sempre il Potere?» e «Perché si risolve sempre in barbarie?», più potente ed efficace sarà la resistenza contro tutte le manifestazioni della Razionalità e dell'irrazionalità autoritarie. Perché ci sembra che, più che sapere se ci sono, o se ci possono essere, società senza Potere, è più urgente oggi scoprire da dove viene la sua perennità, perché si trasforma invece di scomparire, perché, radicandolo nel corpo degli uomini, il Destino e la Cultura lo fissano nel firmamento dei nostri orizzonti ...

Per un anarchismo an-archico
No, non si tratta di una tautologia, ma di una legittima aspirazione; perché in realtà, esiste anche un Anarchismo autoritario, esattamente come ne esistono uno folkloristico e uno demagogico. Per trovarli, è sufficiente imbattersi in tutti quegli Anarchici (con la A maiuscola) che non riconoscono altro anarchismo che quello delle Federazioni nazionali o quello che si manifesta attraverso il rituale organico (anatemi ed espulsioni compresi).
Sì, mi pare che sia giunto il momento di pronunciarsi per un anarchismo an-archico, antiautoritario, sostenitore dell'anarchia e non dell'Anarch-ismo; perché attualmente «la distinzione tra i due termini supera di gran lunga il semplice gioco di parole o la sottigliezza semantica» - come dice Fernando Savater (3). E perché, per giunta, «anarchismo» riporta inequivocabilmente a uno di quei metodi o tragitti politici, più o meno istituzionalizzati, che diventano «partiti», di cui si «è», o «ci si può fare» membri, in cui uno si «inquadra» o in cui si «milita» fino al giorno meraviglioso in cui giungano a trionfare e a prevalere su tutti gli altri. E questo senza mai dimenticare che siamo immersi (dalla testa ai piedi) in una società politica e culturalmente autoritaria che ci inganna e ci condiziona fin dalla più tenera infanzia, e che sarebbe assurdo e pretenzioso credere di essere definitivamente e totalmente immunizzati contro tutte le tentazioni autoritarie per il semplice fatto di considerarci e definirci anarchici.
Senza necessariamente far riferimento a una «disciplina di ferro» o ad una «dittatura invisibile» - secondo i dettami di Bakunin - né alle sue società segrete che dovevano essere la forza propulsiva della rivoluzione (Bakunin fu per lo meno un lottatore e un rivoluzionario coerente per tutto il corso della sua vita), e senza nemmeno appoggiarci alla «esemplare» esperienza della partecipazione al governo degli anarchici spagnoli, la persistenza tenace del settarismo ideologico (nei rapporti tra gli anarchici stessi) è una irrefutabile testimonianza dell'esistenza di questo Anarchismo autoritario che dobbiamo denunciare e combattere affinché l'anarchismo sia veramente un movimento di riflessione e di prassi antiautoritarie, e non la negazione di tutto questo.
Al punto in cui ci troviamo, è ampiamente dimostrato che mentre la mentalità dell'uomo non cambierà, mentre la sua formazione (sociale e culturale) continua ad essere autoritaria, una tale forma di organizazione avrà sempre la tendenza a diventare un'Organizazione (con la O maiuscola) e le sue strutture, per semplici e aperte che si dimostrino, tenderanno a trasformarsi in apparato burocratico. L'errore, la trappola, continua ad essere la sottrazione dell'azione e la rappresentatività di un gruppo da parte di una minoranza o di un individuo, sia per abdicazione «liberamente scelta», sia per imposizione più o meno subdola.
La sottomissione al sistema gerarchico della «responsabilità organica» si ottiene con l'approvazione dei militanti, della «base», sia perché non le rimangono altre alternative, sia perché in qualche modo le fa comodo. Così, questa sottomissione genera inevitabilmente la dicotomia dirigenti/diretti. E questo senza bisogno di ricorrere apertamente a quello che i comunisti definiscono per antifrasi «centralismo democratico». Lo stesso Bakunin lo aveva capito quando diceva: «Quanto più gli anarchici si organizzeranno, tanto più si allontaneranno dall'anarchia».
Il nemico della libertà non è solamente l'autoritarismo degli altri, ma anche e soprattutto il nostro, anche inconfessato. Per cui, se l'autoritarismo (degli uni e degli altri) ammazza la libertà e impedisce all'uomo di realizzare i suoi desideri e di «vivere l'amore e l'appagamento di se stesso come qualcosa di quotidiano all'interno della società», è chiaro che non si risolve il problema con un semplice rifiuto delle strutture esistenti e dell'organizzazione. In altre parole: non è sufficiente invertire i termini della frase di Bakunin per ottenere il contrario, cioè quanto meno gli anarchici si organizzeranno, tanto più si avvicineranno all'anarchia. L'individualismo ad oltranza, l'emarginazione totale, l'evasione dalla società o l'inciviltà non risolvono il problema che solleva l'autoritarismo, e non servono nemmeno per favorire la nascita e la difesa di «isolotti» di libertà in questa mappa dominata interamente dalla razionalità autoritaria: perché non c'è alcun dubbio sul fatto che la libertà, o la viviamo tutti, o non la vive nessuno. Per giunta, dimenticare che il nemico esiste, che ci minaccia continuamente e che se non lo arginiamo in qualche modo finirà per farci sprofondare nella più cupa barbarie, significa aprirgli la strada ed essere complici del suo trionfo.
Se le cose stanno così, mi pare che il problema non sia tanto quello di confrontare la spontaneità con l'organizzazione, quanto quello di impedire che quest'ultima diventi Organizzazione, cioè struttura capace di annientare la spontaneità e l'autonomia dei suoi membri. Il problema è quello di riuscire a intraprendere una lotta contro la morte senza per questo sacrificare la vita, e per riuscirvi mi pare indispensabile conservare ed esaltare i valori della vita (spontaneità, autonomia e fraternità) in ogni istante e ad ogni livello di lotta.
Tutti i tipi di lotta sociale più significativi di questo momento storico hanno una caratteristica in comune: non sono diretti da organizzazioni potenti e ben strutturate e non hanno nessuna intenzione di rivolgersi allo Stato per ottenere determinate concessioni, ma al contrario sono decisi a privarlo del suo potere in un punto ben preciso. Cosi facendo dichiarano pubblicamente la loro volontà di organizzare l'attività del gruppo ai margini dello Stato e di qualsiasi controllo ideologico attraverso il recupero della libertà d'azione di cui sono stati privati. Ne consegue che antiburocratismo, antidirigismo, autodeterminazione, autonomia e autogestione sono le parolechiave rivendicate dai protagonisti di questi tipi di lotta e da quelli che vogliono teorizzarci sopra.
Nonostante le trappole e la capacità di seduzione che sa esercitare la società dei consumi, le rivendicazioni antiautoritarie tornano ad essere il nucleo essenziale dell'aspirazione rivoluzionaria, anche all'interno dello stesso movimento operaio schiavo del sistema. L'antiautoritarismo non è dunque un atteggiamento esclusivamente individuale, ma può essere anche una pratica collettiva nella misura in cui l'impulso e l'orientamento, più che la realizzazione, vengono sempre dalla base, dall'insieme di tante individualità che costituiscono la collettività.
La caratteristica più peculiare del movimento libertario spagnolo, per esempio, è stato il suo carattere di massa, il fatto che sia andato sviluppandosi, nell'arco di più di mezzo secolo, attraverso organizzazioni di massa. Però, contrariamente a quello che alcuni pretendono, non è stato il numero di affiliati alla CNT a dare forza all'anarchismo in Spagna, ma è stata piuttosto la coincidenza tra idee anarchiche e carattere della società spagnola che ha permesso questa aderenza di massa. «Senza questa felice coincidenza la CNT non sarebbe stata possibile» (4). Dirò di più: senza una prassi anarchica di questo tipo, contro il burocratismo, il dirigismo e la manipolazione, la CNT sarebbe stata un'altra organizzazione sindacale e niente più. Ne è la dimostrazione il fatto che, una volta abbandonata questa linea, ha avuto inizio il declino.
Il problema fondamentale dell'anarchismo, dunque, è quello dell'ipocrisia: il fatto di non essere veramente un anarchismo an-archico, antiautoritario, antisettario, antiburocratico, antidirigista, aperto a tutte le correnti e a tutte le pratiche antiautoritarie, libero da idoli e da bandiere, senza complessi di superiorità, senza dei né padroni.

Contro le certezze tranquillizzanti
Se non vogliamo diventare colpevoli di quell'ipocrisia che denunciamo negli altri (dalla Sinistra all'estrema sinistra), dobbiamo riconoscere francamente che se l'anarchismo si fosse istituzionalizzato, come già ha fatto il socialismo, è molto probabile che sarebbe sfociato anche lui in qualche gulag o in simili società burocratiche, monolitiche e totalitarie. Per fortuna l'anarchismo non è stato istituzionalizzato né dalla Storia né dal Potere, tranne che in qualche forma caricaturale e marginale di qualche gruppo-setta che ha preteso di farne una specie di Chiesa ... Il che dimostra il peso e la perennità degli abiti mentali e comportamentali di imposizione e sottomissione.
In questo senso, l'ottimismo e il pessimismo storici appaiono come tipi di manifestazioni diverse della stessa rassegnazione di fronte alla fatalità dell'ordine costituito, e da lì la tenace persistenza dei vecchi «topoi» ideologici, che, tanto nel campo marxista, quanto in quello libertario hanno funzionato e funzionano tuttora da ultimo baluardo, ultima consolazione per una fedeltà alla dottrina ogni volta più dogmatica e settaria: «la lotta di classe come motore della storia», per i marxisti, e «il pensiero è anarchico e verso l'anarchia va la storia» per i libertari.
Allora diciamo che, anche se questa impossibilità di sfuggire alla tentazione di appoggiarsi alle certezze tranquillizzanti e alla speranza di un domani migliore è comprensibile, non possiamo però fare a meno di denunciare il suo carattere fatalista e fuorviante nei confronti del presente (ciò che è doveva essere). Accettare questi «topoi», rifugiarvisi e sperare che il Tempo e la Storia ci portino la Rivoluzione sul vassoio, è il modo più comodo e pericoloso di rimandare a domani e dopo («quando le condizioni oggettive ci saranno tutte») la resistenza al potere e di adagiarsi nella situazione contingente - con il vantaggio di continuare a proclamarsi rivoluzionari!
Mi pare quindi che sia giunto il momento di denunciare l'illusione di questa Storia portatrice di speranza e di un radioso futuro, di questo Ottimismo che afferma che la Storia ha un senso proprio e che tende sempre al meglio... Perché, definendo l'Uomo come un viandante del destino che lui stesso si costruisce con le sue mani, leggendo la Storia come la progressiva conquista che si effettua procedendo nel vagabondaggio, non si fa altro che affermare e confermare l'ideologia della classe dominante - ideologia che fonda sul «lavoro» il principio del suo dominio e che allo stesso tempo rende legittimo il potere di questo lavoro e la dignità del nuovo Potere che fonda su di lui la sua priorità (il credo liberale). E perché, definendo l'uomo come il protagonista di un'interminabile genesi, considerando il tempo come la forma di un'implicazione continua di cause dove tutto si sviluppa secondo una necessaria applicazione di principi, si riconosce il ruolo determinante della Tecnica e dei suoi poteri demagogici, che è quanto la borghesia ha sempre sostenuto.
I ribelli che lottano contro la Dominazione e che non aspirano ad instaurare altre forme di dominazione, non lottano in nome della Storia. In modo più o meno confuso pensano ai fini della Storia; perché mi pare che non c'è mai stata ribellione, intesa come tensione alla libertà, che non sia stata ribellione contro il Tempo ... «Dato che, com'è risaputo, non c'è altro mondo all'infuori di questo, e che da lui stesso scaturiscono tutti i ricordi e i miti degli uomini e la loro successiva sistematizzazione scientifica in Storia, come anche l'attesa del Giorno Finale della Giustizia o le minacce del Giudizio Universale o dell'Apocalisse: tutte queste fantasticherie o immagini di altri mondi fanno parte anch'esse di questo mondo, e non possono certo essere di aiuto nel nostro tentativo di rapportarci a lui o di negare in modo evidente lo Stato e l'Idea del suo Tempo», come diceva Garcia Calvo (5).
Predicare l'attesa e la speranza, invitare il proletariato a prepararsi e ad irrobustirsi, inibire la furia rivoluzionaria in nome di un momento che non arriva mai, vuol dire dimenticare di fatto una cosa molto semplice: un momento che non giunge è un momento che diventa eterno, una contraddizione che matura è una crisi che si risolve, una classe che si prepara è - sempre - una classe che si integra. Insegnare ad avere pazienza significa imparare a collaborare. In altre parole: per «riacquistare la pienezza del nostro essere individuale e collettivo», per realizzare le nostre aspirazioni di libertà, per aprire le porte del futuro all'immaginazione, dobbiamo cominciare oggi stesso, o non lo faremo mai.

Vivere l'anarchia oggi?
Abbandonate le chimere topiche di un rivoluzionarismo teorico che non ha saputo o che non è stato in grado di tenere in considerazione tutta la complessità della natura umana e della società, non ci resta altro da fare se non posare saldamente i piedi su questa realtà che ha fatto vacillare tanti e ha fatto abbandonare tante certezze, e cercare di sperimentare, con spirito critico, nuove risposte.
In questo modo, «affermare la vita contro la mera sopravvivenza a cui siamo condannati», come si afferma comunemente oggi, può essere già un modo di cominciare a vivere l'anarchia. Tenendo ben presente che per affermare la vita bisogna ripudiare l'immobilismo e la sclerosi del pensiero e dell'azione, e l'autocompiacimento di colui che è convinto di detenere la Verità e di marciare sulla Retta Via.
Oggi sappiamo che la pulsione esistenziale, cioè quella spinta che garantisce la continuità della specie, è questa prodigiosa capacità di dubbio, di stato d'allarme, di ribellione di fronte al fatalismo naturale, sociale o metafisico. Ne consegue che la critica alla politica e all'ideologia, come quella alla scienza, deve essere un esercizio continuo e un continuo porre in discussione le nostre certezze e i nostri dubbi, in «una articolazione di vacillamenti» e in «uno scetticismo attivo» (6). Contrariamente alle teorie complete, chiuse, e ai progetti rivoluzionari ben rifiniti e pronti per l'attuazione, la nostra critica deve essere aperta, senza nessuna pretesa di infallibilità e con una grande dose di sincera incertezza.
Di sicuro, ritrovarsi di colpo come alla fine di un lungo viaggio, con la testa e le mani vuote, come è già successo a molti dei dissidenti rivoluzionari, non dev'essere né molto piacevole, né tantomeno tranquillizzante. Meno male che il Marxismo e l'Anarchismo avevano qualcosa di «buono»: dispensavano dal fatto di dover pensare, facevano da bussola, permettevano di trovare, in qualsiasi punto ci si trovasse, il Nord... Con simili strumenti non si aveva mai alcun dubbio e non ci si sbagliava mai. La nostra Scienza e il nostro Ideale, e quindi la nostra Coscienza, avevano sempre ragione. Anche noi anarchici eravamo come tutti gli altri: possedevamo la Verità. E non aveva alcuna importanza il fatto che l'anarchismo, portato alle sue estreme conseguenze, non potesse essere altro che un atteggiamento di rifiuto di qualsiasi forma di autorità politica o concettuale, e di conseguenza, di qualsiasi certezza e sistematizzazione del pensiero.
Allora, vivere l'anarchia oggi è denunciare le contraddizioni autoritarie dell'Anarch-ismo e contribuire alla ricerca e alla formulazione (senza formule, però con principi validi per tutti) di un anarchismo an-archico coerente con i suoi principi fondamentali; cioè: senza dogmi né atteggiamenti settari, aperto a tutte le problematiche e le esperienze di libertà, antiautoritario e che infine permetta e renda possibile l'incontro degli anarchici con tutti quelli che si oppongono più o meno coscientemente alla prevaricazione dell'uomo sull'uomo. E questo non solo per semplici ragioni di etica libertaria (l'anarchia deve essere il risultato del desiderio e dell'azione di tutti e non solo l'«opera» volontaristica di un gruppo o di un'avanguardia di illuminati), ma anche perché davanti all'estrema complessità del mondo in cui viviamo e l'opprimente presenza e permanenza delle forze di sfruttamento e dominazione, la nostra azione rivoluzionaria non può fare altro (una volta abbandonata l'illusione della Grande Sera che sarà domani o dopodomani) che affermare, estendere e al massimo coordinare le «diverse resistenze»...
Vivere l'anarchia oggi, significa introdurre, all'interno dei gruppi (che pretendono di essere antiautoritari e rivoluzionari), la pratica di una critica e di un'autocritica quotidiane, senza discriminazioni né anatemi, e senza petulanti paternalismi; lasciando un po' da parte la facile denuncia ideologica dello Stato, del Capitale, della Religione, dei Partiti, ecc., e cercando di capire cosa c'era ancora di attraente nella tentazione autoritaria, per trovare una spiegazione al fatto che l'autoritarismo ha ancora tanti seguaci e che continua a comparire anche all'interno dei discorsi e delle pratiche (individuali e collettive) che hanno la pretesa di negarlo e di combatterlo. Come dice Garcia Calvo «Per non giungere mai a conclusioni o a progetti, o a consegne di nessun tipo attraverso la deduzione ma lasciando che la teoria produca quanto ha da produrre: azione, attuazione, lotta, prassi rivoluzionaria e dèmoni scatenati».
Forse tutto questo non è sufficiente a potenziare l'influenza che noi esercitiamo sulla storia quotidiana e a porre fine alla Storia che ci impongono quelli che ci sfruttano e che comandano; però smetteremo per lo meno di essere la caricatura paradigmatica degli utopisti della libertà. Sia perché nella nostra lotta per ottenerla saremmo consequenziali nella teoria e nella pratica, sia perché, facendo coincidere le nostre parole con i nostri comportamenti, potremmo magari, alla fine, essere presi sul serio (da tutti quelli che si oppongono in modo più o meno cosciente alla dominazione), se la smettessimo di arrabattarci a vuoto, o di negarci a noi stessi - come invece è successo molte volte fino a questo momento.

(traduzione di Tiziana Tosolini)

(1) Come dice A.G. Calvo: «Non si diventa marxisti solo leggendo (o iscrivendosi al Partito), ma spesso lo si nasce» (Apotegmas a proposito del Marxismo).
(2) Dai resuscitati Milton Friedman, Friedrich von Hayek, Bertrand de Jouvenal, ecc., fino ai «nuovi» economisti antiStato degli U.S.A., passando per tutti i socialisti che hanno rivalutato il capitale e l'impresa privata.
(3) Il «Para la Anarquia».
(4) Felipe Orero, in «Reflexiones sobre lo libertario al margen de una encuesta», in «EI movimiento Libertario Español» pubblicato da Cuadernos de Ruedo Ibérico.
(5) «Che cos'è lo stato».
(6) Fernando Savater, op. cit.