Rivista Anarchica Online
Mare vostrum
di Paolo Finzi
Beirut, ormai, è alle nostre spalle. Partiti «i nostri», tutto è rimasto come prima: drusi, maroniti,
siriani, palestinesi più o meno dissidenti, israeliani, tutti continuano a spararsi, cannoneggiarsi,
scannarsi. Ma «i nostri» non ci sono più, sono tornati eroicamente a casa: e si sono sprecati gli
articoli lacrimevoli sulla solita ingratitudine del nostro popolo, che non ha saputo essere abbastanza
orgoglioso dei suoi giovani ma intrepidi missionari di pace. «I nostri» non ci sono più e il Libano
non fa più notizia: che continuino a scannarsi quelli laggiù, ormai chi se ne frega? Beirut, dunque, è alle nostre spalle. E quel brav'uomo del generale Angioni, il militare-dagli-occhi-profondi-che-piace-tanto-alle-madri-italiane, può finalmente farsi scrivere in santa pace le sue
memorie, che poi Rizzoli pubblica con la sua firma ma che tutti sussurrano che gliele ha scritte il
giornalista tal dei tali (solite malignità dell'ambiente editoriale milanese?). Ci mancavano solo le
memorie del generale-papà. Beirut è alle spalle. Ma le nostre orecchie, sottoposte per mesi ad un martellante concerto
patriottardo che ci aveva disgustato, non avranno lungo riposo. Una nuova missione di pace aspetta
le nostre forze armate. Un nuovo impegno militare internazionale, al di fuori dei sacri confini, darà
la stura alla propaganda militarista: la funzione insostituibile delle forze armate, il nostro senso di
responsabilità che ci porta ad accorrere ovunque ci sia una battaglia di pace da combattere, il
Mediterraneo mare nostrum, ecc. Nel frattempo si accelerano i lavori di costruzione bellica rimasti
indietro, si preparano nuovi stanziamenti per i più sofisticati e micidiali armamenti, si utilizza
sapientemente la rivalità tra le tre armi. Questa volta tocca alla marina, stufa di esser relegata al
ruolo di cenerentola (le è destinato solo il 22% del bilancio della difesa, rispetto al 45%
dell'esercito e al 33% dell'aereonautica). All'orizzonte il Mar Rosso. Siamo in buona compagnia: ci sono gli inglesi, i francesi, gli americani.
I soliti, insomma: quelli di Beirut. Non che la cosa cambierebbe se, come richiede la «ferma
opposizione» del PCI, oltre ai suddetti ci fossero magari i danesi, gli esquimesi o l'invisibile ONU.
La compagnia non modifica la sostanza di un'azione. Ma noi andiamo con il ramoscello di pace in bocca, continuano a ripetere. Certo, certo. Già sentita
un po' di volte questa storia. Mai visto, o quasi, un esercito che inizi a mettersi in moto dicendo
esplicitamente che il suo fine è quello di fare la guerra. Si sa: tutti vogliono la pace, se riempiono
gli arsenali (ricordi la solenne dichiarazione, tu che stai lassù?) è solo per garantire la stabilità
internazionale, se tutti i giorni dobbiamo sorbirci sempre più numerose trasmissioni esaltanti le
forze armate è solo per consolidare il loro legame con la gente. Non per prepararsi comunque alla
guerra: questo lo possono pensare solo quei quattro imbecilli degli anarchici e qualcun altro loro
degno compare. Eh già. Voi la presentate sempre così. Ma l'esperienza storica non è trascorsa invano. Quando l'idra
militarista si risveglia, inizia ad alzare le sue molte orribili teste, a richiedere sempre più soldi per
alimentarsi, ingrandirsi, conquistare nuovi territori, non è certo perché si rifà un po' il trucco che
noi lo scambiamo per l'agnelletto di evangelica memoria. Queste palle andatele a raccontare ai
gonzi (e in giro non mancano). A noi, per favore, no. Altri possono farsi intenerire dalla vostra
propaganda patriottarda. Noi siamo più che certi, con Dürrematt, che «quando lo stato si prepara ad
assassinare, si fa chiamare patria». All'orizzonte, dunque, il Mar Rosso. Una nobile missione di pace: ricercare e disinnescare le
terribili mine sottomarine messe da oscuri quanto criminali terroristi. Esatto. Ma, se per ora non si è
riusciti a sapere chi le ha messe, sappiamo almeno chi le costruisce. Se non tutte quelle che
infestano il Mar Rosso, almeno una parte. O comunque (il che fa lo stesso) altri mari. Ci sono
almeno quattro aziende italiane che esportano con pieno successo tali prodotti. I radicali le hanno
individuate e denunciate all'opinione pubblica. Nessuna ha smentito. Al massimo qualche
precisazione. Inessenziale. Niente di strano. L'Italia è tra i primi tre/quattro paesi esportatori d'armi. E come tutti i bravi
mercanti vende a tutti, senza discriminazioni, al miglior offerente. In fondo, forse, andare a tirar su
quelle che giacciono nel Mar Rosso darebbe una boccata d'ossigeno all'industria del settore.
Creerebbe nuova domanda. Perfetto. Una bella missione di pace che ridà fiato all'industria bellica. La pace al servizio della guerra. Non è forse questa la regola-base della vostra convivenza pacifica?
La vostra, appunto. Noi non ci siamo mai stati a questo vostro gioco al massacro e non ci stiamo
nemmeno questa volta. Quanto riusciremo a contare dipende dalla nostra volontà, dalla nostra
capacità di chiarificazione e di mobilitazione, ecc. Ma di una cosa potete star certi. Refrattari alla vostra propaganda, non smetteremo mai di chiamare pane il pane, vino il vino. E
pace la pace, guerra la guerra.
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