Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 14 nr. 120
giugno 1984


Rivista Anarchica Online

Parole e analisi non bastano
di Stefano Fabbri

«Le Terre di Nessuno - Controllo Sociale tra Intervento ed Abbandono»: nel corso del quarto Reseau Europeo di Alternativa alla Psichiatria svoltosi a Roma dal 2 al 6 maggio, sono state nominate nove Commissioni di lavoro.
Un vasto spettro di punti all'ordine del giorno è stato posto a garantire i margini di un dibattito (che solo in parte ha rispettato le attese) serpeggiante fra i temi della legislazione e del diritto, del superamento degli Ospedali Psichiatrici, della formazione e del ruolo professionale, dell'assistenza, delle esperienze di base, dell'handicap, delle tecniche psichiatriche, psicologiche e psicofarmacologiche in relazione al controllo sociale della follia e della sua immagine culturale, delle tossicodipendenze.
Tutta la scuola di Basaglia si è mobilitata per questo evento e grossi nomi stranieri, vedi Felix Guattari, ne hanno sostanziato lo sforzo. Una grossa delusione ai convenuti è stata data dalla defezione di David Cooper, grande atteso.
Molti i limiti. In una sorta di «Estate Romana» dell'antipsichiatria, di nicoliniana memoria, circo all'aperto realizzato all'interno di un'area che fino a qualche anno fa ospitava il mattatoio della capitale, fra le pieghe di una organizzazione tecnica inesistente, grazie allo scarsissimo impegno del Comune, sorretta solo dal volontarismo encomiabile di alcuni operatori di Trieste, si è avvertita essenzialmente la preoccupazione di «far fronte» davanti all'attacco che da più parti viene oggi portato alla legge 180 (per mezzo della quale venne ottenuta la chiusura dei manicomi).
Fra un sussulto e l'altro, molta gente accalcata, curiosa di riconoscere, sotto capanni un tempo occupati da bovini ritrosi, le grandi firme della «nuova scienza», impegno di studio, lotta e denuncia contro le più pericolose tecniche del controllo sociale, è emerso fra gli usati riti del conformismo progressista (o «di sinistra»), tipici dell'ambiente universitario e tardo-scolastico, ove le spinte corporative e «l'adeguarsi» assumono purtroppo più valore della ricerca in sé e della tensione al cambiamento. Per dirla con Musil: Certo si ama e si ricerca la verità; ma intorno a quel lucido amore c'è tutta una preferenza per la delusione, per la coercizione, l'inesorabilità, la fredda minaccia o l'asciutta censura, una preferenza diabolica, o almeno un'involontaria irradiazione di sentimenti del genere.
«Tardo '68» a parte, tutti si sono ormai resi conto della crisi irreversibile del «Welfare», dello stato di benessere: vigorose spinte restauratrici, fine della politica dei servizi, strozzatura della «spesa pubblica», marginalità e «terzo mondo interno», repressione ed impoverimento sempre maggiore del diritto, ne sono i risultati.
Prospettive non certo rosee per chi coltiva fiducia nelle istituzioni della politica e nella dinamica delle «riforme», nell'avanzamento degli «equilibri democratici». Logorato dalla delega di potere irreversibile e da un rapporto sfalsato, a volte unicamente strumentale e demagogico, con le «strutture di base», imbrigliate perché non sfuggano al controllo del «tecnico» e del «politico», il giocattolo rischia di rompersi. Senza scampo si presenta la necessità di operare una scelta implacabile: rassegnarsi ad «abbassare il tiro» o rompere gli indugi?
Qui si pone, per «l'operatore», il problema della posizione più coerentemente antiistituzionale ma meno scontata: anche questo non è facile. Troppe volte, noi compagni, siamo scaduti in un semplicismo quanto meno dozzinale. Affrontare le questioni concrete in modo adeguato richiede, al di là del «moralismo rivoluzionario», una preparazione ed un'apertura (sono due condizioni fondamentali, ma la mancanza di una ne esclude l'altra), notevoli. Impegnarsi all'interno delle situazioni di marginalità sociale, significa anche sapere/potere dare alternative concrete che, sebbene inserite in una strategia d'ampio respiro (nessuno si illuda di cambiare il particolare senza tener conto del sistema nel suo insieme), possano servire «qui ed ora». Le istituzioni non sono invincibili ed il «lavoro di massa», nel quale è necessario cimentarsi, deve far leva sulle contraddizioni che esistono nella fisiologia del dominio, con la coscienza che ciò significa basarsi principalmente sul conflitto e sulla dinamica del rapporto di forze che si determina di volta in volta, ma senza ritenersi sconfitti in partenza «perché tutto può essere fagocitato». Cadere preda del massimalismo vuol dire, questo si, divenire compatibili col potere in un'illusione di scontro in realtà manovrato, reso spettacolo. Il gradualismo è assai più compatibile con l'azione diretta di quanto non lo siano forme astratte di purismo.
Sul piano concreto tutto ciò significa «praticare» i bisogni ed organizzarsi per soddisfarli, per crescere la coscienza nelle proprie forze, per far sì che la lotta «paghi». Conoscere le carenze e le storture dei servizi d'assistenza ed operare su ciò. Intervenire in questi momenti di discussione ove tecnici di stato tendono ad avocarsi ogni diritto decisionale. Non generalizzare: la realtà degli operatori non è piatta e uniforme ed alcuni di essi sono disponibili ad una logica di rottura rispetto all'alienazione, allo sfruttamento, a patto che si scenda nello specifico, che si sappiano fornire indicazioni valide. Lottare per la massima possibilità di sperimentazione e contro le strozzature normative. Formare cooperative e gruppi di lavoro che ottengano finanziamenti. Sperimentare l'autogestione e livelli di scambio culturale ed assistenziale tesi in avanti, creare socialità antagonista. Realizzare forme stabili e funzionali di coordinamento fra quanti, libertari, operano nello stesso settore ed allargare la presenza ed il dibattito il più possibile all'esterno del Movimento coinvolgendo altre realtà.
Per uscire dall'impotenza e dall'immobilismo che soffocano i nostri giorni, non è più possibile usare categorie d'analisi e strutture astratte.