Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 113
ottobre 1983


Rivista Anarchica Online

La tecnologia è neutra (o no?)

«Scusate il ritardo, stavo giocando a Crazy Kong» (sullo scorso numero di «A», pag. 40): vale la pena dedicargli un briciolo di riflessione. Non amo l'arroganza insita in quella lettera, la presunzione, ma cederò sicuramente alla polemica.
Inizio con i miei desideri: io vorrei vivere in una società che mi possa dare stimoli diversi da quelli che dominano nella nostra, dove la distribuzione dei beni sia diversa dall'attuale e siano radicalmente diverse le responsabilità politiche della gestione sociale e persino i rapporti interpersonali. Vorrei lottare per questo e credo che ovunque nella quotidianità esistano le possibilità di farlo. Così anche sul lavoro come nel tempo che qualcuno osa definire libero. Non è facile.
Non è facile perché è sempre più difficile avere le idee un poco chiare sulle dinamiche politiche e sociali che ci avvolgono e ci stritolano nel loro dolce abbraccio; difficile capire quale tornaconto, quali gratificazioni abbiamo per cui accettiamo acriticamente tutti gli stimoli che il potere ci propina (però magari critichiamo il sistema capitalistico in generale costruendoci idealmente sistemi alternativi).
Credo che l'anarchismo quotidiano sia anche un processo dinamico secondo il quale un individuo opera costantemente una serie di rifiuti e, di conseguenza, relative scelte. Gli anarchici non sono manichei, sicuro. Nulla è cattivo in sé, come nulla è buono. Un coltello può servire ad affettare il pane come a sgozzare una persona: non è il coltello ad avere qualità ma il suo uso in relazione ad un codice particolare, morale, culturale, ideologico ... Non è vero dunque, se accettiamo per valida questa premessa, per esempio che il videogioco è cattivo; come non è vero il contrario, naturalmente. Oppure che non si possa coniugare la tecnologia con l'anarchia, o la tecnologia con l'anarchismo (questo argomento potrebbe aprire un infinito numero di porte riguardo l'uso reazionario che il potere «necessariamente» fa di alcune professioni, penso a ciò che concerne la scienza, la tecnologia, la medicina, la psichiatria, eccetera). Vi sono innumerevoli combinazioni di possibilità, ad un livello di analisi. Nel minestrone di possibilità in questa tollerante capitalistica civiltà occidentale è possibile accettare tutto, usare qualsiasi prodotto a nostro piacimento (finanze personali permettendo). Certo se alziamo lo sguardo verso un livello superiore, o lo abbassiamo verso uno inferiore - poco importa -, potremo accorgerci dell'esistenza di alcuni elementi che presi nella considerazione generale della nostra inevitabile «visione del mondo» possono apparire estremamente interessanti. Ciò è attinente al rifiuto e alla scelta.
Prima di tutto l'ovvio: la tecnologia è uno strumento nelle mani del potere, il quale la usa sempre a suo vantaggio. La classe dominante tende a dare soluzioni tecnologiche a problemi che risolti in maniera politica tenderebbero a destabilizzare i rapporti di potere. Questo da noi non è ancora evidente, ma in USA ha già raggiunto altissimi livelli e sappiamo quanto la situazione americana anticipi di solito sviluppi simili in Italia, soprattutto per quanto riguarda l'uso delle scienze da parte della classe dominante. La tecnologia diffusa aumenta la confusione circa la possibilità di definire questa fatidica classe dominante; per cui non sempre possedere i mezzi di produzione significa far parte del potere, con la conseguenza che la permeabilità tra le classi diviene notevolissima.
Io credo che la cultura possa essere usata per definire i confini di classe. Questo perché credo si possa sviluppare una cultura antagonista che già esiste, la quale produce inevitabilmente quei modi di essere dell'anarchismo quotidiano che sono il rifiuto e la scelta.
Tornando alla tecnologia, io credo sia possibile fare di essa un buon uso (buono nel senso di quella cultura che ho definito antagonista). Io lavoro nel settore della sanità e, per esempio, nuove tecnologie possono essere utili per quanto riguarda l'analisi in laboratorio o l'assistenza agli handicappati, per citare applicazioni in due campi tra loro distanti. Teniamo presente, comunque, che la classe dominante cerca soluzioni tecnologiche, anche nel campo dell'assistenza sanitaria, per esigenze economiche e di controllo dei conflitti sociali. Per esempio: inserire nel mercato nuovi servizi; disinnescare il potere eversivo della richiesta sociale alla soddisfazione di bisogni di tipo sanitario/sociale; mistificare, sotto il profilo della «salute del Paese» o del «decentramento sul territorio dei servizi sanitari», interessi economici di classe e coprire con interventi sanitari carenze politico-sociali (e qui, a proposito di gioco, si potrebbero dire molte cose sulle attività ludiche nelle comunità terapeutiche o negli hospital day psichiatrici - dove ci sono! - in relazione ad una carenza politica nella costruzione di spazi sociali, non sanitari e addirittura specialistici, per il «tempo libero»).
Personalmente non mi divertono i videogiochi, non mi piacciono i casinò, la discomusic, i films «coscialunga», i vari «dallas» e cartoni spaziali giapponesi alla tivù, non amo il lusso e le grosse automobili, le sale da gioco elettronico, il football dei professionisti, ... E credo che questi, ed altri, siano stimoli appartenenti ad una sfera culturale che non è la mia. Non li considero cattivi in sé, sia chiaro. Ma l'appropriazione di questi stimoli non riguarda me né la mia cultura. Per cui reagisco ad essi con il rifiuto e scelgo altre attività per il mio «tempo libero».
Certo non posseggo un catechismo rivoluzionario, né mi sogno di suggerire il Decalogo del perfetto rivoluzionario. E' solo una questione di scelte: chi ama pisciare nel cesso, chi contro il muro, e chi le sue pisciate le fa controvento. E c'è pure chi scrive pubblicamente quanto è un duro lui che non rinuncia ai flirt con la ragazzina per una partita al «Crazy Kong». Ognuno è libero di fare ciò che vuole (?) e di giocare come gli pare: perlamordidio!

Giorgio Meneguz (Orta)