Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 113
ottobre 1983


Rivista Anarchica Online

Tra ideologia e realtà
di Nico Berti

Fino al 1924 Borghi è in Francia, poi va in America in esilio, e ritorna, come sapete, alla fine del 1945. Tutto questo periodo, il periodo dell'esilio, nel nostro Convegno non viene ricostruito perché mancano documenti in proposito e la ricerca è molto difficile. C'è quindi un vuoto di studi non indifferente, un vuoto che crea delle difficoltà di interpretazione a me che devo esaminare Borghi nel secondo dopoguerra, cioè l'ultimo Borghi.
Qui devo fare una premessa che ritengo necessaria.
Le relazioni che avete ascoltato fino ad ora - a parte l'intervento di Carlo Doglio - riguardano il Borghi fino al 1922, ossia il Borghi più importante, quando egli fu, dal 1914 al '22, segretario dell'Unione Sindacale Italiana, un personaggio dunque di primo piano nella storia del nostro paese. Diversamente, il Borghi del secondo dopoguerra, quello che io devo ricostruire, non ha più questo rilievo, non è più cioè un «protagonista» perché non riesce più a incidere nella realtà del nostro secondo dopoguerra.
La domanda da porsi è dunque questa: perché Borghi perse la capacità di determinare la vita sociale italiana?
E' vero che l'intero movimento anarchico del secondo dopoguerra non era certamente influente come lo era stato nel primo dopoguerra: nel secondo dopoguerra, per esempio, non c'è più l'U.S.I.
Però è anche vero che Borghi, attraverso i suoi ricordi, e attraverso la riconsiderazione di tutta la sua vicenda personale, rivede anche tutta la vicenda dell'anarchismo di mezzo secolo. Sono appunto queste riflessioni la causa determinante della posizione emarginata (estraniata) di Borghi del secondo dopoguerra, e sono perciò l'oggetto della mia indagine.
Innanzitutto Borghi ricostruisce la storia dell'anarchismo dividendola all'incirca in tre fasi: una prima fase va, grosso modo, dagli anni '70 del secolo scorso alla fine del secolo; una seconda fase che comprende l'età giolittiana e il primo dopoguerra; una terza fase che è quella degli anni dell'esilio.
Qui ciò che conta è che Borghi adotta come criterio di scansione di queste tre fasi il susseguirsi dell'integrazione e della scissione delle masse rispetto allo Stato.
Dice Borghi: abbiamo un anarchismo fino alla fine dell'800 che rappresenta la rottura di tutte le masse popolari con lo Stato liberale. L'età giolittiana cercherà di portare queste masse popolari nello Stato liberale attraverso il veicolo dei Partiti. Questo tentativo viene interrotto dallo scoppio della prima guerra mondiale, e nel primo dopoguerra il tentativo di Giolitti di allargare le basi dello Stato liberale fallisce portando alla fine lo Stato liberale e quindi alla nascita del fascismo.
Il disegno di condurre le masse dentro lo Stato riesce invece perfettamente al fascismo. Come ci è riuscito? .
Attraverso il sindacalismo, il sindacalismo corporativo. L'attenzione di Borghi si appunta perciò ora sul sindacalismo come chiave di interpretazione del rapporto tra le masse e lo Stato nel secondo dopoguerra. Il sindacalismo fino al 1920-22, afferma Borghi, rappresentava bene o male una rottura che le masse popolari esprimevano verso lo Stato. Nel secondo dopoguerra questa frattura non c'è più perché il sindacalismo viene perfettamente mediato dai partiti politici. Si ha la cattura completa del sindacato da parte dei Partiti. Il sindacato del secondo dopoguerra è perfettamente funzionale al disegno complessivo dei Partiti della sinistra, di conquista del potere. Questo vuol dire che si può dare sindacalismo anti-capitalistico, ma non si dà più sindacalismo anti-statale, anti-istituzionale. Quindi evidentemente Borghi a questo punto, da anarchico, non può più appoggiare il sindacalismo così come esso si esprimeva nel secondo dopoguerra. Questo sindacalismo non si muove più contemporaneamente contro lo Stato e contro il capitale, ma solamente contro il capitale, in funzione della conquista del potere da parte delle sinistre. Abbiamo cioè la continuazione, da parte dei Partiti di sinistra, di quella statalizzazione delle masse già iniziata dal corporativismo fascista.
E qui abbiamo anche, secondo Borghi, una conferma anarchica fondamentale. Nel libro che egli pubblica alla vigilia delle elezioni del 1948, che si intitola appunto Conferma anarchica, dice che questo sindacalismo può benissimo darsi nelle forme anticapitalistiche, ma non necessariamente nella forma antistatale. Si tratta di affermazioni molto importanti, che non implicano un giudizio etico, o umanitario, o aclassista, ma politico. E' in questo giudizio politico e storico che risiede l'avversione di Borghi per il sindacalismo.
Un'altra considerazione fondamentale di Borghi è questa: il secondo dopoguerra non si presenta come una rivoluzione mancata. In questo - mi sembra che Carlo Doglio lo abbia detto, e secondo me è giusto - Borghi smitizza la Resistenza. Non la smitizza come insurrezione eroica contro il nazi-fascismo, ma come rivoluzione mancata. Vent'anni di fascismo avevano diseducato le masse alla rivoluzione sociale, ed essa perciò era ben lontana dall'essere una «minaccia» imminente.
L'unica rivoluzione mancata, se mai, è una rivoluzione in senso bolscevico, cioè come mancato colpo di Stato del bolscevismo, del tipo russo del 1917. Non esisteva affatto la possibilità di una rivoluzione sociale come rivoluzione che investe complessivamente le masse attraverso una coscienza collettiva di trasformazione radicale della società. E qui Borghi doveva constatare una cosa amara, che le masse non erano più rivoluzionarie. Era molto «impolitico» affermarlo, ma era così per Borghi. A questo punto registriamo che se la storia va in direzione opposta a quello che l'anarchico Borghi voleva, ebbene egli ritiene di non poter rincorrere la storia, le masse; egli rimane fermo nella sua posizione.
La posizione di Borghi ora è una difesa di principio. Se la storia va in direzione completamente opposta, egli sostiene, io prima di tutto devo difendere la mia ideologia, i miei principi, non posso assolutamente mediare il mio patrimonio ideologico per rincorrere la storia, per rincorrere le masse che non sono più rivoluzionarie. Ciò non significa che le masse non saranno più rivoluzionarie, ma che non lo erano in quel momento, con vent'anni di diseducazione fascista.
Questo spiega, ripeto, tutta l'avversione di Borghi per il sindacalismo e l'anarco-sindacalismo. Secondo Borghi non vi sono più le condizioni oggettive per ricrearlo. E qual era dunque la lettura complessiva che fa Borghi dell'anarchismo? Se noi andiamo a rivedere quello che egli scrive dagli anni 1952-53, quando ritorna in Italia, fino alla morte, nel suo Mezzo secolo di anarchia, noi vediamo un'interpretazione della storia anarchica nel nostro paese come una storia che si decanta: l'anarchismo nel corso di mezzo secolo ha assunto diverse determinazioni storico-sociali, ma poi queste determinazioni storiche si sono esaurite, e quello che è rimasto alla fine è l'anarchismo, senza più nessun aggettivo. Non c'è più l'anarco-comunismo, l'anarco-sindacalismo, ecc., c'è solo l'anarchismo. Una ideologia portata alla sua purezza estrema. Un'ideologia però paralizzante, evidentemente, perché il tentativo di salvare la purezza dell'ideologia comporta il prezzo della paralisi, il prezzo della non iniziativa. Non tanto dell'iniziativa individuale, perché c'era sempre la volontà di agire, ma la capacità dell'anarchismo di essere dentro la storia, dentro le forze collettive, dentro le forze profonde della trasformazione sociale. L'anarchismo degli anni '50 era veramente diventato un movimento d'opinione. Ma questo è un problema che non riguarda più Borghi, riguarda la storia dell'anarchismo. Problemi complessi che ancora nessuno, a mio avviso, ha affrontato né tantomeno spiegato.
Il problema è questo: perché negli anni '50 ci sia questo progressivo esaurimento dell'anarchismo come movimento sociale. Io ricordo che quando quindici anni fa mi sono avvicinato al movimento anarchico l'ho trovato praticamente morente. Non perché non ci fossero gli anarchici, o perché fossero inattivi, ma perché non erano più dentro le forze sociali. E se noi andiamo a sfogliare tutte le annate di Umanità Nova, noi vediamo che a mano a mano che c'è questa decantazione dell'anarchismo, questa evoluzione verso una purezza sempre maggiore sotto il profilo ideologico - si veda per esempio l'importanza fondamentale che Borghi dà alla qualità piuttosto che alla quantità, al movimento specifico piuttosto che al movimento di massa, al fattore educativo, al fattore della spontaneità, la sua avversione a ogni forma di organizzazione perché ritenute tutte forme surrettizie, artificiali, incapaci di risolvere ciò che concretamente occorre, cioè la coscienza, la spontaneità vera, ecc. - ebbene, noi vediamo una sempre maggiore enfatizzazione dell'idea anarchica, portata alle sue estreme conseguenze come ideologia pura, come rivolta dello spirito, come rivolta perenne del libero pensiero. C'è una polemica ad esempio di Borghi coi GAAP sulla radice storica dell'anarchismo: i GAAP sostengono che esso ha una radice di classe, cosa che Borghi nega. Chi aveva ragione? Io non mi sento di dare torto completamente a Borghi. Sono problemi complessi, perché dare un'interpretazione globale, come davano i GAAP, di radice di classe dell'anarchismo (ma poi dopo dover constatare concretamente, come Borghi andava a dimostrare, che questa radice di classe si era via via esaurita, che nelle sue determinazioni storiche era venuta meno, mentre ciò che era rimasto era l'ideologia, quella sempre pronta, integra, ripetibile, disponibile a una nuova esperienza storica), oppure sostenere, al contrario, la negazione assoluta della radice di classe dell'anarchismo è una questione tuttora aperta. Anche oggi, lo sapete benissimo, si scontrano l'interpretazione dell'anarchismo ormai classica di Nettlau, di tipo umanistico, e quella di altri che vedono l'anarchismo come ideologia di classe, o meglio, come movimento di classe.
E' un problema aperto dunque, che nella visione di Borghi aveva questa enfatizzazione specifica.
Un altro problema grave che noi possiamo cogliere nelle pagine di Borghi e in buona parte dell'anarchismo che si identifica con lui, è quello della scelta tra Oriente e Occidente.
Gli anarchici non optavano per l'uno o l'altro schieramento, ma anche questa estraneità produceva oggettivamente una paralisi; essa significava, concretamente, non scegliere e perciò non agire. Il problema era drammatico. Scegliere infatti avrebbe significato dover mediare l'ideologia con la realtà, e questo era appunto il prezzo che Borghi non voleva pagare. Egli non lo diceva, ma evidentemente ancora una volta la sua convinzione era che piuttosto che stare dentro la storia per farsi travolgere da questa, era preferibile starne fuori.
Un'ultima considerazione e concludo, riguarda la posizione di Borghi rispetto ad alcuni avvenimenti internazionali del secondo dopoguerra.
Per esempio quando c'è la rivolta in Ungheria la posizione di Borghi, lo stare sempre dalla parte dell'ideologia e di tutti gli anarchici, è ovviamente, di appoggio alla rivolta; una settimana dopo quando, come sapete, scoppia la questione di Suez, la posizione di Borghi è di avversione all'imperialismo anglo-francese.
Abbiamo sempre dunque questa puntualizzazione da parte di Borghi, lo stare sempre dalla parte dell'ideologia senza però riuscire effettivamente, secondo me, ad agire nella realtà storica.
Lo stesso accade con il problema di Cuba. Quando il 23 aprile c'è il tentativo di invasione di Cuba nella Baia dei Porci, Borghi scrive il famoso articolo su U.N. «Giù le mani da Cuba». Questo fatto smentisce intanto il presunto filo-americanismo di Borghi, accusa che io ho sentito ripetere per anni. Dov'è questo Borghi filo-americano?
Armando Borghi scrive feroci articoli contro il tentativo degli Stati Uniti di invadere Cuba. Borghi motivava questa posizione di difesa della rivoluzione, pur non essendo d'accordo con i metodi dittatoriali di Castro, sostenendo di voler ripetere l'atteggiamento che gli anarchici avevano assunto nel primo dopoguerra di difesa della rivoluzione russa pur criticando i metodi autoritari di Lenin.
C'è il ripetere della posizione anarchica in ogni occasione, sempre contro ogni forma di autorità, di oppressione.
L'insegnamento complessivo che si può ricavare perciò dalla vicenda di Borghi nel secondo dopoguerra è che il prezzo che egli e tutta una parte del movimento anarchico hanno pagato per non mediare con la storia, che purtroppo in quel momento non andava a favore dell'anarchismo, è stato quello di stare fuori dalla storia. Il nostro problema è di stare dentro la storia, ma bisogna essere come Borghi, cioè come tutti i veri anarchici: dentro la storia, ma per essere contro la storia.