Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 113
ottobre 1983


Rivista Anarchica Online

Quanti cammelli vale una donna?
di Tiziana Ferrero

La donna stava accovacciata per terra in un angolo della stanza grande, luminosa e completamente vuota. L'unico arredamento era costituito da un grande tappeto che ricopriva gran parte del pavimento con alcuni cuscini. L'uomo, il marito, aveva insistito per invitarci a bere il caffè, dopo averci dato un passaggio in autostop verso una delle meravigliose spiagge dell'Algeria. Nella sua povera casa, in un villaggio altrettanto povero, vivevano i fratelli dell'uomo, con le mogli, i bambini, tanti, e le sorelle non ancora maritate. Mutua assistenza, penuria di case e tradizioni dure a morire stanno alla base dell'organizzazione famigliare algerina, di tipo patriarcale.
Il caffè, dicevo, era un rito. La donna ci aveva portato su un grande vassoio biscotti, bibite e la tipica cuccuma di caffè. Aveva servito per primo il marito, poi il mio compagno e, per ultima, me. Al marito e al mio compagno aveva persino zuccherato e mescolato il caffè, dopodiché era tornata ad accovacciarsi nel suo angolo-rifugio. La conversazione si svolgeva in francese, seconda lingua ufficiale algerina. La donna non aveva studiato e non parlava che arabo. Era quindi lui, l'uomo, padrone del suo destino, che decideva cosa tradurre alla moglie. Curiosa condizione di arretratezza, mi dicevo, di cultura contadina in cui la donna gioca un ruolo di secondo piano o non lo gioca affitto. Illusa e ottimista, il mio viaggio era appena iniziato e di lì a poco avrei sperimentato, a volte su di me, qual è la vera condizione femminile in quel paese.
Spesso, ad esempio, mi è capitato di parlare con gli algerini per interposta persona: essi si rivolgevano esclusivamente al mio compagno, nonostante ponessero a me le domande e rispondessero alle mie. Ho dovuto adeguarmi agli usi e costumi locali mettendomi in coda con le donne, di fronte a quella di soli uomini; sono stata cacciata da una spiaggia «riservata agli uomini» (nuova forma di apartheid? paura di contaminazione?). Ma se queste possono essere considerate forme superficiali di discriminazione (con una buona dose di ottimismo e tanta fantasia), la situazione reale è più pesante, soprattutto perché il concetto che gli algerini hanno della donna deriva essenzialmente dal loro credo religioso. Ma la cosa peggiore è che le donne stesse non vedono e non concepiscono altro modo di vivere. Un'algerina di poco più di quarant'anni mi raccontava: « ...i figli sono voluti e benedetti da dio e non c'è ragione di opporvisi. Ognuna di noi ha dieci/tredici figli, e non c'è niente di strano. Ora finalmente mi riposo: sono le ragazze più grandi che cucinano e allevano i più piccoli. I figli sono la nostra pensione, non ci faranno mai morire di fame». Dio, dio, dio ... non si sente parlare d'altro. Un altro algerino, un colto burocrate dell'apparato politico, mi diceva: «Voi anarchici volete cambiare il mondo, dite 'ni dieu ni maitre', ma come si fa, soprattutto in un paese musulmano, a sostituire alla religione la ragione, anche se si riuscisse a sostituire al padrone l'autogestione?».
Che il desiderio di libertà sia un fatto biologico e genetico e gli anarchici, razza strana e perversa, abbiano alcuni cromosomi impazziti? Troppo semplice, basterebbe fare tanti figli, come in Algeria, e ci sarebbero tanti anarchici. O forse è un desiderio inconscio e incosciente a cui ogni uomo dovrebbe tendere? O piuttosto un fatto puramente culturale? Questa può essere una delle risposte, spiegherebbe come tanta gente, comprese le donne, algerine e non, non riesca a rappresentarsi in modo diverso da quello che è, o è costretta ad essere. Ma questi sono pensieri troppo profondi per questi pochi e brevi appunti di viaggio. Meglio e più facile continuare con la cronaca.
Un'altra ragazza, dall'età approssimativa di ventidue anni (molti non sanno la loro data di nascita perché i francesi, dopo la «rivoluzione» algerina se ne sono andati portando via tutti gli archivi anagrafici) mi raccontava che in caso di eredità alle donne spetta tre volte meno dei fratelli. La verginità è sacra e una vecchia parente del marito, spesso la zia o la nonna, controlla che tutto sia in regola. D'accordo, d'accordo, riponete le vostre obiezioni, poco al di là del Mediterraneo, nell'Italia Meridionale, ad esempio (ma anche nelle campagne padane), la situazione non è stata tanto diversa fino a pochi anni fa. Anche le nostre nonne e le nostre madri esibivano il lenzuolo dopo la prima notte, facevano dieci figli (poco tempo fa ho contato i miei cugini primi: sono trentadue!) e non toccavano le piante quando avevano le mestruazioni. Tutto il mondo è paese? Mal comune mezzo gaudio? Non c'è di che rallegrarsi. Le donne in ogni cultura hanno sempre contato meno del due di picche, bruciate sui roghi, strumenti di piacere mollemente sdraiate in un boudoir o dietro le grate merlate di un gineceo, cuoche, infermiere, babysitter che puliscono teneri e delicati culi di bambini, assistenti sociali di anziani a carico ... in ogni angolo del mondo governano e amministrano il loro regno con una perizia da far invidia alla migliore impresa economica. Ecco, dirà qualcuno, ora salta fuori qualche vecchio slogan di femminista memoria. Ma no, sono anarchica, perdio!
Forse, però, anche per noi è venuto il momento di riflettere. Dacché la donna ha cominciato ad alzare la testa non c'è stata una sola volta, che mi risulti, in cui il movimento anarchico non abbia scimmiottato quello femminista, ricalcandone gli errori e riuscendo quindi a seguirlo nella sua crisi e nel suo congelamento. Ancora una volta non abbiamo capito quale potenzialità poteva rappresentare la protesta di metà del mondo. Le donne chiedevano essenzialmente di modificare il loro ruolo culturale nella società, ed è a questo che penso l'anarchismo debba tendere oggi: non cambiare il modo di far politica, ma smettere di voler essere dei politici, in un momento in cui la politica è in crisi. Operare delle trasformazioni culturali, anche in quegli ambiti da sempre disdegnati: poesia, musica, arte, ecologia... cercando di cambiarne sempre il segno. In fondo, siamo gli unici ad avere il segreto di un modello che va bene per qualsiasi taglia: il desiderio di libertà per la libertà.
Il mio viaggio finisce ad Orano, città di camusana memoria. Ci sono i bordelli, ma all'università si è costituito il primo «collectif féminin de l'Université» («pas féministe» - non femminista, teneva a precisarmi il mio informatore): faranno gli stessi errori? Forse, ma, per Maometto!, in questa terra di leggende, di Tuareg e di deserto, la donna comincia ad esistere al di là del suo prezzo in cammelli?