Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 110
maggio 1983


Rivista Anarchica Online

Il prezzo della verità
di Monica Giorgi

E' uscito, per conto della Moizzi editore, un romanzo fino ad ora inedito di August Strindberg, Solo, del 1903, a cui il drammaturgo svedese riserva il privilegio di far parte, fra le altre opere, della sua autobiografia artistica, come raccomanda nella lettera del 1904 a Schering.
Espressamente riconosciuta è, quindi, l'importanza attribuita dallo scrittore a questo suo prodotto, collocabile in una stagione artistica che non riguarda esclusivamente l'estetica ed il messaggio-contenuto, ma in specifico la matura ed equilibrata capacità espressiva dell'autore, in grado di condensare tecnica e sensibilità, strumento ed intuizione reale. Evidentemente Strindberg è consapevole di aver raggiunto un livello che gli permette di spaziare con disinvoltura anche fuori della consueta e congeniale forma teatrale, dando visualità alla prosa psicologica.
Attraverso Solo, Strindberg mette in pratica, rimuovendola in veste artistica, l'allucinata, dolente e consapevole percezione da lui stesso così dichiarata: «La mia intera vita mi pare spesso che sia stata messa in scena solo per me; perché io insieme la patisca e ne dia relazione».
Solo sperimenta con successo e con coerente conduzione stilistica il rovesciamento prospettico di rendere palcoscenico il tempo interiore del soggetto narrante e di fare dell'esteso, fluente ritmo descrittivo un punto di aggancio per l'identità riflessiva e spettatrice dell'individuo, sia esso io-narrante o io-fruitore. In ultima istanza non esiste personaggio principale. Protagonista è il come del tema trattato.
Il romanzo è scritto in prima persona, ma non è assolutamente autobiografico. Proprio l'espediente tecnico sopra indicato esclude l'intenzionalità autoespressiva dell'autore e non suffraga, inoltre, le superficiali ed affrettate interpretazioni critiche di narcisismo e/o peggio ancora solipsismo strindberghiano. Piuttosto da Solo emergono il difficilissimo proposito e il tormentoso ideale, ormai acquietati nella pace della realizzazione, costantemente ricercati da Strindberg che così annota: «Voglio scrivere bello e luminoso, ma non mi è lecito, non ce la faccio, mi impegno come in un dovere orribile a dire la verità: la vita è indicibilmente brutta.»
Solo è una lettura che prende, proprio per la sua natura di romanzo-visione che facilita l'alternanza ricettiva di una duplice sensitività: una lettura che la si può ascoltare e la si può vedere scongiurando appesantimenti e stanchezze. In definitiva si può ben dire che, affascinati, ci immergiamo in essa.
Il personaggio-tema è la solitudine che, pur non metaficizzandosi, assume carattere cosmico, rimanendo però nell'ambito del filo conduttore intimistico esistenziale in cui si svolge. E questa ulteriore acrobatica mediazione conferisce lirismo all'opera.
Essa risulta tanto più vera quanto più sciolta dai vincoli della concretezza, tanto più poetica quanto più rispettosa della linearità prosastica. Le due composizioni in versi (Ahasversus e Ululano i lupi) inserite nel piano dell'opera, funzionano come valvole di sicurezza per un meccanismo tanto delicato e come oasi rigeneranti per la ripresa del cammino narrativo. Non è un caso che la prima poesia sia collocata a metà e la seconda prima del capitolo conclusivo, il più breve fra tutti gli altri, quale implicita ammissione di sfinimento psico-fisico dopo tanto, e di qual sorta, impegno concentrativo. Sia ben chiaro ciò non significa affatto che l'opera risenta e manifesti una qual si voglia pesantezza narrativa. Solo scorre facile e leggero su fragilissimi binari estetici che però non smarriscono mai il loro parallelismo. Proprio queste sue positive traiettorie rimandano ad una comprensibile, insopprimibile tensione latente; una condizione emotiva scaturita dal rischio di soccombere ad un agguato persistente. Solo cancella la coscienza di leggerlo con il fiato sospeso, senza per questo morire soffocati. Alla fine rimane la sensazione del volo liberatosi dall'angoscia maturata nel timore di precipitare.
A nulla possono i confini geografici di una Svezia decentrata di fronte alla pervasività del clima culturale europeo tra la seconda metà dell'ottocento e il primo decennio del XX secolo: tensioni politiche ed ideologiche al limite della guerra civile e della guerra imperialista. I freddi vuoti di valori collettivi e le calde gestazioni di idealità interiori influenzano, nella loro incommensurabilità, l'opera di Strindberg, caratterizzata, appunto, dalla mediazione estetica delle contraddizioni reali.
La generazione degli anni '90 si ribella al positivismo naturalistico in nome di una neoromantica e neomistica ricerca della soggettività che sembra confermare, sul piano letterario-filosofico, quanto Weber puntualizza su quello storico-sociale: (...) E' il destino dell'epoca nostra col suo disincantamento del mondo che proprio i valori supremi e sublimi siano divenuti estranei al gran pubblico per rifugiarsi nel regno extramondano della vita mistica o nella fraternità dei rapporti immediati e diretti tra i singoli. Non è a caso che la nostra arte migliore sia intima e non monumentale e che oggi soltanto in seno alle più ristrette comunità, nel rapporto da uomo a uomo, nel pianissimo, palpiti quell'indefinibile che un tempo pervadeva come un soffio profetico e una fiamma le grandi comunità. (Max Weber, «La scienza come professione»).
Sotto altra forma di indagine il recupero dell'inconscio trova espressione nella ricerca scientifica della teoria psicoanalitica di Freud e nella metafisica intuizionista del Bergson. A grandi linee la prospettiva di questo quadro storico si conclude nell'esperienza del Weiner Gruppe di Kraus, Andrian e del contemporaneo Handke, dilatandosi fino a quella logico empirista del Weiner Kreis con la ancor oggi assai referenziata teoria del linguaggio del Wittgenstein.
Dalla critica dominante è dato per scontato e considerato inconfutabile l'antifemminismo di Strindberg. Non si conoscono interpretazioni diverse. In virtù delle riflessioni su precedenti teorici e per consapevolezza storica, è lecito diffidare delle capacità di affermati ed autorevoli critici nel cogliere temi e aspetti antifemministi in tendenze e in filoni letterari, tanto quanto disprezzano il fatto che non siano stati colti, se non addirittura volutamente taciuti, autori carismatici ed intoccabili per e dalla cura patriarcale. Così, per motivi (e se pur possono apparire parziali non abdico, tuttavia, ad essi) di incredulità giustificata e di orgogliosa diffidenza, una rilettura di Strindberg diviene necessaria.
Innanzi tutto Strindberg è difficilmente inquadrabile in una qualche precisa scuola e perfino corrente letteraria. E' piuttosto lui ad esserne l'involontario precursore e - suo malgrado - il ricercatore geniale che muore prima di usufruire dei benefici della propria realizzata scoperta. Questa è una prima ragione oggettiva, spazio-temporale, per cui Strindberg sfugge all'operazione integrativa dello schematismo critico presente anche nella fattispecie antifemminista. Ogni definitiva qualifica risulta inappropriata.
Il più delle volte succede che gli autori minori siano il quadro fedele di un'epoca e che la loro produzione renda possibile quella di un grande autore, il quale, a sua volta, si scopre tale da una sua opera minore. Ciò vale anche per Strindberg, per il suo Solo e per quell'altra espressione di raggiunta obbiettività della visione che è Gente di Homsoe.
Il periodo «antifemminista» di Strindberg comincia con il distacco dagli ideali romantici che avevano accompagnato la sua giovinezza e prosegue attraverso i Racconti svizzeri, Matrimoni, Undici atti unici, Creditori, Il padre, Delitto, La danza dei morti, la seconda parte di Verso Damasco fino a raggiungere il parossismo interpersonale della coppia trattato nell'opera Lampi (ovvero, in base ad altre due diverse traduzioni, intitolata anche Temporale e Maltempo), facente parte della tetralogia del Teatro da camera.
La desacralizzazione dell'amore, successiva al periodo giovanile e romantico investe con approfondita analisi la stessa società borghese, oltre la metodica dei rapporti di classe e sconfina nella drammatica visione della realtà, scaturita da una totalizzante critica dell'esistenza di cui si ha testimonianza ne La sonata dei fantasmi. Eppure, in mezzo a questa età della «follia», Strindberg trova modo e spazio per mettere in bocca a un personaggio di Incendio frasi di una serenità insperata e di un ottimismo inatteso: «...Afflizione dà pazienza, pazienza dà esperienza, esperienza dà speranza e la speranza non permette di perdersi». Solo esula però dal percorso principale in maniera inequivocabile e, benché sia eccessivo non riconoscere nella trafila della produzione strindberghiana il ricorrente aspetto della problematica umana di un vissuto dissociato e schizofrenico tra eros e sentimento, caratteristica più accentuata della psicologia maschile, sarebbe tuttavia altrettanto perentorio e azzardato non sviscerarne le connotazioni profonde ed essenziali su cui attecchisce. In ogni caso con Solo si apre (e si chiude?) una parentesi di equilibrio e di pacatezza, che non ha precedenti, per quei demoni interiori sottoforma di psicologismi descrittivi dell'indole individuale che travagliano con insistenza la produzione del drammaturgo svedese. Ma fare di Solo una perla anomala di una coltivazione asettica sarebbe rendere un cattivo servigio alla razionalità e al senso dell'arte; sarebbe ridurre Strindberg ad un tecnico dell'estetica.
Ecco perché valutare certi aspetti come sicuramente antifemministi è un'operazione conformista e il metterli in discussione in un'ottica meno frettolosa mi sembra giusto ed utile. Non soltanto per restituire a Strindberg quello che gli spetta, ma anche per dare al femminismo quella linfa chiarificatrice che lo sostenga in un leale progredire ideologico e in un'efficace incidenza sociale.
La portata sovversiva del movimento femminista non può, non deve, risolversi in una comoda stagione commemorativa, ma proseguire in una sempre rinnovantesi tendenza storica, refrattaria all'esser data una volta per tutte. Le verità cessano di essere tali quando diventano definitive e la vita si tramuta in morte quando la si vuol assicurare contro le sue leggi di libertà.
La vasta opera di Strindberg ha il pregio dell'arte perché il suo contenuto drammatico e finanche brutale raggiunge toni di veridicità universale e l'angoscia che la permea non è psicopatologia individuale, ma sentimento di fondo; coerente etica del sentimento in relazione alle condizioni reali del mondo e della umanità che l'ha costruito: ... «La vita è indicibilmente brutta». Non si è responsabili dell'orrore solo perché lo si descrive, perché lo si coglie in perfetta lucidità. Celine, per esempio, è inaccettabile quando rimuove l'orrore esistente appiccicandolo addosso all'ebreo; di simili incaute rimozioni si è responsabili e si deve render conto: personificare il male è come esorcizzarlo per paura di non saperlo controllare in noi stessi. Strindberg è estraneo ad un procedimento riduttivo e semplicistico. Il dramma e la grandezza della sua arte sono alimentate dalla ricerca della verità che non si stanca e non accetta la formula gratificante, considerata e respinta al pari della menzogna.
Strindberg sarebbe davvero antifemminista se colpevolizzasse, con una banalizzazione che non gli appartiene, la donna soggettivamente presa per la brutalità competitiva, per l'aggressività sadomasochista, in cui si è manifestato e in gran parte ancora si manifesta l'incontro fra i sessi. Le loro esteriorità sono determinate anche e indubbiamente dal tempo e dall'ambiente. Neppure nelle agitate esperienze matrimoniali di Strindberg c'è traccia di un tale maschilista pregiudizio. Le sue separazioni sono state sofferte come le speranze in ritentate unioni. Quando mai Strindberg si è fatto assertore acquiescente di valori della morale patriarcale? Dove è l'accettazione dell'eterosessualità come obbligo, della monogamia come dovere, o la messa al bando dell'autoerotismo condannato come perverso anziché inteso ed esperito come conoscenza e padronanza di sé?
Di interessante, di importante, di non trascurabile sta il fatto che Strindberg non mette mai in ridicolo l'intrinseca potenzialità generatrice di gioia dell'amore. Non deve sfuggire ad una critica seria e attenta che la lotta fra i sessi, analizzata con l'approfondimento ossessivo tipico dell'intimismo strindberghiano, è inserita nel contesto del rapporto matrimoniale e familiare e nella ristretta forma della coppia. E' questo inserimento istituzionale a riscattare il presunto antifemminismo di Strindberg. Come dire: non i soggetti ma il condizionamento statuale rende asfittico e stravolge l'istinto di solidarietà e d'amore. Tale strutturalità è tutt'altro che un'impostazione scorretta o una premessa contraria alle tematiche del movimento femminista. Il risvolto politico del personale, o meglio dire, la politicizzazione del privato passa proprio attraverso la portata antistituzionale di cui è carico il discorso libertario e femminista.
Non la specificità biologica dei soggetti, dunque, ma la loro coazione entro gli schemi imposti del potere conducono alle aberrazioni sessiste e alla ruolizzazione dell'individuo e dissolvono la pariteticità del rapporto fra persone, fra uguali nelle loro differenze. La premessa di fondo della istituzionalizzazione come causa-scenario della rivalità sessista rende possibile la scoperta ed il successivo passo in avanti (che per certo Strindberg non ha né abbozzato né sviluppato) della (auto)coscienza della donna, che nel separatismo e nell'autonomia del quotidiano ha meso a fuoco l'inaccettabilità del sesso in esclusiva funzione procreativa, del Principio di Realtà a discapito di quello del piacere e la dannazione della schizofrenia fallica fra sentimento e sessualità. E' l'immagine in negativo della prospettiva unidirezionale dell'amore, messa senza mezzi termini sul tappeto del naturalismo strindberghiano, a dare l'immagine capovolta di qualcosa d'altro. E se di più non è riuscito a dare questo non significa che abbia impedito la rottura di quanto le donne siano riuscite e riuscianno a rompere.
Niente nell'opera di Strindberg si è frapposto a quella pregnante qualità dell'amore individuata pochi anni dopo dalla Alexandra Kollontaj: L'amore - scrive la sconfessata interlocutrice di Lenin - è una grande forza creatrice; perché esso diventi appannaggio di tutta l'umanità è necessario passare attraverso una difficile, nobilitante «scuola d'amore». Questa scuola si concretizza nell'amore-gioco: «l'amore- gioco» esigendo un'attitudine molto più attenta, delicata e riflessiva dell'uno verso l'altra, farà disimparare agli uomini l'egoismo senza fondo che oggi è la caratteristica di tutti i sentimenti d'amore.
Il nichilismo di uno Strindberg non è arrivato a fare dello specifico femminile quanto ha fatto (e non ha fatto) della questione femminile il bolscevismo del Gran Padre della rivoluzione d'Ottobre e con lui i suoi successivi esegeti della sinistra storica e di classe.
Preme ribadire perciò che il conclamato, presunto antifemminismo di Strindberg si annida più che altro nelle menti interpretative che intendono il rapporto uomo-donna nella fissità di un eterno astorico e completamente avulso dall'altrettanto problematico rapporto fra persona e persona. Ora è proprio questo intendimento collocativo antifemminista. Strindberg in Solo non ghettizza il rapporto uomo-donna immunizzandolo da e/o responzabilizzandolo per il tema della solitudine. La solitudine, la scelta solitaria è appunto una scelta e si tratta pertanto di un modo di porsi e una forma di ribellione dell'individuo contro l'inappagante ipocrita convivenza nel conformismo sociale.
L'eroismo tragico della solitudine strindberghiana travalica la dimensione sessuale ed intimista per assumere uno spessore pluridimensionale che rende Strindberg senz'altro meno antifemminista dei suoi commentatori sessisti.
Questa solitudine ricercata e voluta, raggiunta e accettata, anche se spesso avversata nella sua angosciante irreversibilità, funziona da specchio di Perseo. Per sconfiggere il male lo strattagemma del cuscinetto riflettente consente all'eroe mitico di affrontare il malvagio, rappresentato dalla Medusa, senza esserne contaminato. Lo specchio è l'espediente per la vittoria. La solitudine è il prezzo per la verità.