Rivista Anarchica Online
Perché rifiuto la divisa
intervista a Mauro Zanoni
Doveva presentarsi in caserma il 7 ottobre scorso. Non l'ha fatto, motivando la sua scelta di
obiezione totale in una dichiarazione pubblica, che abbiamo pubblicato sul penultimo numero
della rivista. Mauro Zanoni, 20 anni, di Asola (in provincia di Mantova), è stato quest'anno il terzo
anarchico - dopo Orazio Valastro e Pippo Scarso - a rifiutare al contempo il servizio militare e
quello civile. «Radio Popolare» di Milano l'ha intervistato, dopo la lettura della sua dichiarazione.
Ecco la trascrizione dell'intervista.
Quella che avete sentito è la dichiarazione di Mauro Zanoni, un anarchico che ha rifiutato il
servizio militare in blocco, rifiutando anche il servizio civile. Puoi cominciare a spiegare
questa tua scelta, del perché neanche il servizio civile? La lotta contro l'esercito, così come l'hanno portata avanti gli anarchici, si è articolata in tre modi
diversi: l'obiezione totale, il servizio civile e la lotta nelle caserme. Per un antimilitarista ed anarchico, l'obiezione totale è la scelta più coerente, in quanto evita ogni compromesso con
l'autorità; che l'anarchico appunto nega. Per quanto riguarda il servizio civile voglio innanzitutto
fare chiarezza sui termini: per obiettore intendo un individuo che rifiuta il servizio militare; chi
sceglie il servizio civile, non rifiuta il militare, ma lo evita. Perché il servizio civile non è una
scelta, ma un obbligo; o meglio, è la scelta tra due obblighi diversi. Io ho deciso per l'obiezione
totale non solo per una semplice questione di coerenza, ma anche perché la ritengo la forma di lotta
che dà maggior fastidio al sistema, in quanto non si accettano le regole del gioco creando notevoli
difficoltà all'apparato giuridico-amministrativo dello Stato: l'obiettore totale è un prigioniero
politico, in carcere esclusivamente per le proprie idee e convinzioni, in carcere perché rifiuta di
apprendere l'arte della guerra, l'arte di ammazzare ed è quindi difficilmente giustificabile agli occhi
dell'opinione pubblica.
Quindi tu non ti riconosci nella LOC, non hai portato avanti questa lotta con la LOC? No, assolutamente. La mia è una lotta rivoluzionaria, non riformista e non ha niente a che vedere
con le istituzioni come la LOC, che tra l'altro nemmeno si occupa degli obiettori, anzi se ne frega.
Hai parlato di scelta antimilitarista ed antiistituzionale, questo vuol dire anche nonviolento? Non necessariamente. Vi sono stati casi di obiettori «nonviolenti» e casi di obiettori antiviolenti;
cioè di individui che, pur avendo come fine la costituzione di una società dove non esista la
violenza, e non propagandando la violenza come forma di lotta erudita, riconoscono l'uso della
forza come autodifesa.
Il tuo è un caso isolato, o inserito in un contesto più ampio? C'è una presa di posizione
pubblica con motivazioni? La tradizione anarchica è ricca di episodi simili: Franco Pasello, Sergio Cattaneo, Matteo Danza
sono solo i più conosciuti tra gli ultimi casi. Attualmente altri stanno portando avanti questa lotta
oltre a me: Giuseppe Scarso, Orazio Valastro, Ettore Sanità. Accanto a questi casi, molti altri
rimasti sconosciuti soprattutto negli anni pre-'70. Casi cioè di persone che, come il recente caso di
Massimo Chierigatti, sono giunti a questa scelta isolati, senza avere alle spalle un lavoro politico o
sociale.
Nella tua dichiarazione hai fatto un accenno alla situazione generale, al movimento per la
pace da cui ti distacchi; puoi spiegare meglio? Medio Oriente, America Latina, Afghanistan, Indocina sono solo alcuni esempi che testimoniano
che la pace nel mondo è una menzogna. Dovunque i governi sono in guerra o preparano la guerra.
Con decisioni che passano al di sopra delle nostre teste riempiono gli arsenali, incrementano le
spese militari, decretano guerre o false paci. Ma questo è naturale: è nella logica del potere, degli
stati, di rafforzarsi, di espandersi, di dominare altri stati. La realtà drammatica, che mi fa pensare, è
la passività della gente, che lascia agire indisturbati i «signori della morte». Non si tratta di lottare
di volta in volta contro le singole decisioni del potere né tantomeno di farlo con inutili
interrogazioni parlamentari, con marce per la pace che sono in realtà enormi calderoni (c'erano
persino i libici con i ritratti di Gheddafi e gli iraniani con quelli di Khomeini), o con altri cortei
«pacifisti» unicamente contro la NATO per un militarismo di sinistra. Certo nessuno vuole la
guerra, ma bisogna vedere cosa si intende per pace: Reagan e Breznev vogliono la pace; Lagorio
parla di pace come Lama, come il Papa; i sindacati vogliono la pace, come la chiesa, come i partiti.
La realtà è che si sta facendo passare il bisogno di pace, minacciata dalla follia dei potenti, per pace
sociale, funzionaIe al sistema. Bisogna rendersi conto che finché la società sarà basata su una
struttura autoritaria, verticistica, il destino dell'umanità sarà nelle mani di chi sta in alto, negli
apparati politico-militari. Alla logica del potere bisogna opporre l'etica della libertà, della
solidarietà, del mutuo appoggio. Ma questo non deve rimanere un'indicazione, un auspicio: deve
concretizzarsi in atti di rivoltà, di insubordinazione individuale e collettiva. Alla pratica
dell'obbedienza bisogna rispondere Signornò. E per farlo non sono necessarie particolari
convinzioni politiche o religiose: basta un minimo di dignità e di rispetto per se stessi.
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