Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 12 nr. 101
maggio 1982


Rivista Anarchica Online

Anarchismo e rivoluzione nonviolenta
di Howard Clark

"Making nonviolent revolution" (letteralmente, "facendo la rivoluzione nonviolenta") è il titolo di un opuscolo dell'anarchico inglese Howard Clark, uscito per la prima volta nel '77, quindi ripubblicato lo scorso anno con un'aggiunta dello stesso Clark tendente a smorzare l'eccessivo ottimismo di quella prima edizione. L'opuscolo è uscito nell'ambito delle iniziative editoriali di Peace News ("Notizie di pace"), un periodico antimilitarista inglese che esce dal 1936 e sul quale trovano spazio spesso comunicati e analisi di segno nettamente libertario.
Al di là delle differenze di impostazione (legate anche al diverso contesto storico-culturale) e di divergenze su singoli aspetti, riteniamo valida la pubblicazione, in queste pagine, di ampi stralci dell'opuscolo (nella traduzione di Andrea Chersi). Howard Clark (da non confondersi con l'americano John Clark, di cui abbiamo pubblicato un lungo saggio su "A" 96), infatti, si colloca in quel filone di ricerca critica sull'anarchismo anni '80 che è particolarmente vivace nel movimento di lingua inglese.


Devo chiarire alcuni punti di dissenso nei riguardi dei consueti principi socialisti sulla rivoluzione. Innanzitutto, non sono d'accordo con il concetto di rivoluzione basato sulla conquista del potere statale. La tendenza intrinseca di ogni gruppo detentore di potere è di cercare di consolidare ed ampliare tale potere: nessuno Stato decreterà mai la propria morte. Quindi "l'estinzione dello Stato" deve cominciare subito con il rifiuto della gente di seguirlo e con il renderlo superfluo. E' fondamentale, per ogni vera rivoluzione, che ogni dominio su altre persone venga rifiutato e che la gente impari ad assumersi le responsabilità delle proprie azioni.
In secondo luogo, la rivoluzione non dovrebbe essere considerata un vulcano scatenato da una crisi economica in pieno capitalismo. La rivolta francese del 1968 mostra come possa nascere all'improvviso un moto popolare di ribellione e con quale velocità possa diffondersi fino a minacciare le strutture di potere anche in assenza di una crisi economica. Le tensioni nella società urbana industriale sono tali che la possibilità di simili esplosioni non può essere scartata, ma d'altronde non possiamo neppure ipotizzare che siano inevitabili o che riusciranno a catalizzare una rivoluzione sociale. Molto probabilmente occorrerà molto tempo prima che la gente lotti per cambiare la propria vita così come le strutture sociali. Anche in periodi di grande sconvolgimento, quando si spezza il controllo dell'autorità, dovremo già aver sviluppato forme sperimentali di organizzazione sociale non gerarchica, cooperativa, poiché in un vuoto di potere sociale la gente spesso perde l'orientamento e ritorna a seguire il capo (anche se è un capo nuovo).
In terzo luogo, la rivoluzione nonviolenta non significa soltanto diffondere la tradizionale lotta di classe attraverso mezzi non violenti. Non concordo con la prospettiva della rivoluzione che vede nel proletariato industriale maschile il protagonista, la forza trainante la cui missione storica è abbattere il capitalismo. Gruppi di persone sono oppresse per ragioni che portano l'analisi di classe ortodossa fino alla rottura e all'interno dei gruppi oppressi c'è sempre gente doppiamente oppressa (donne, bambini, omosessuali).
Settori della sinistra parlano ancora di assumere il controllo di "aree decisionali" o di posizioni nella società, ignorando a qual punto, sotto una tecnocrazia, la gente sia tagliata fuori persino dalle decisioni abituali riguardanti la propria vita e quanto sia soggetta alla manipolazione. Pochi sono disposti a considerare la possibilità dei cambiamenti necessari per porre fine al predominio delle metropoli sulle aree rurali, su intere generazioni, degli esperti professionali sugli "inesperti" e sugli analfabeti, sulle minoranze razziali e culturali, della "normalità" eterosessuale sugli omosessuali, sui malati di mente, sugli handicappati. La sinistra britannica è fondamentalmente meno critica, riguardo allo sviluppo economico, di certi gruppi della destra, nonostante la minaccia ecologica e nonostante il perdurante imperialismo britannico. E, ancor più importante, così facendo sottovaluta il peso del patriarcato e di rado riconosce che, per prima cosa, deve essere messa in discussione adesso la supremazia maschile, il potere maschile nell'intera società, nelle istituzioni, nella famiglia nucleare, anche all'interno della classe operaia.
Il risultato è che, nonostante l'occasionale retorica per sostenere il contrario e le escursioni in altri "problemi", la Sinistra britannica segue da vicino i sindacati e si comporta come se combattere la Destra, aumentare i salari e difendere il posto di lavoro fossero l'essenza e il fine stesso della lotta rivoluzionaria e una militanza operaia fosse buona per se stessa. A volte si dimentica persino che l'opposizione al potere delle burocrazie sindacali è parte della lotta di classe.
Persino in campo operaio, altri problemi sono rimasti indietro; ad esempio la questione dell'autogestione dei lavoratori non è un'esigenza rivoluzionaria assoluta da porre improvvisamente allo scoppio dell'insurrezione. Si possono fare passi immediati per ottenere dei cambiamenti nella divisione del lavoro, per eliminare le differenze salariali, per un lavoro più collettivo e di squadra che elimini le gerarchie professionali in modo che i lavoratori comincino a contribuire a progettare ciò che producono, opponendosi all'innovazione tecnica fine a se stessa. Forse tali misure possono essere adattate all'interno del capitalismo, ma allontanano dall'assunto che un maggiore risultato possa provenire solamente da una maggiore somma di denaro; e inoltre è probabile che ogni aumento nel controllo dei lavoratori sulle proprie condizioni di lavoro mostri loro che sono in grado di unirsi tra di loro per gestire insieme la propria occupazione.
Per i sindacati, il lavoro domestico e la cura dei figli (solitamente i lavori non retribuiti) rimangono invisibili. Richieste di appropriate retribuzioni e di sicuri lavori part-time, come pure le licenze per paternità (come per la maternità) sono essenziali se un gran numero di persone deve porre fine alla divisione sessuale del lavoro in casa.
Poi i problemi su cosa e quanto si produce. Nel nome del "diritto al lavoro" finiremo con gente che spreca tutta la vita a costruire più armi, più auto, più imballaggi, all'inseguimento dello sviluppo economico; e i neri e gli altri giovani, che rifiutano il lavoro salariato nei termini in cui viene offerto, saranno "integrati" coercitivamente in fondo alla piramide.
Comunque, non è solo il contenuto della maggior parte dell'attività sindacale che deve essere riesaminato. Non servirebbe proprio a nulla chiudere un occhio sull'esistenza di vertici sindacali che cercano di conservare i loro privilegi, l'intero modo di agire dei sindacati dev'essere ripensato attraverso forme più dirette e partecipative.
Comprendo che sto cercando di affermare più che discutere; non sto cercando di presentare una critica dettagliata della sinistra britannica o del "movimento operaio", ma di distinguere tra asserzioni generalmente sostenute dalla sinistra e gli obbiettivi dell'anarchismo nonviolento.

Ma quali masse
Non facciamoci illusioni sulla naturale solidarietà della "gente", le mitiche masse. La maggior parte delle persone non condivide le aspirazioni dei rivoluzionari e ciò non si può semplicemente attribuire alla scarsa diffusione o all'incomprensione delle proposte rivoluzionarie né al fatto che le contraddizioni del capitalismo non sono maturate abbastanza perché la gente si liberi della propria "falsa coscienza". Il carattere della gente si forma in un ambiente autoritario, viviamo in una società mercificata in cui i nostri migliori impulsi rimangono sepolti sotto il superfluo e i nostri migliori istinti vengono negati e quindi alterati. Ciò avviene anche per quelli tra noi che hanno visto la luce rivoluzionaria; noi non siamo eccezioni.
La maggior parte della gente è integrata nel sistema. Alcuni addirittura si fidano di esso; la loro fiducia non è rimasta scossa dalla bomba, dalla povertà del mondo, dal disastro di Aberfan, dalla potenza nucleare, dall'inflazione, dalla corruzione, dalla "giustizia" che distrugge la vita della gente per proteggere la proprietà. D'altra parte moltissima gente appare malcontenta, è sotto stress: il sistema è sempre sotto stress. Ma moltissimi vi sono rassegnati; non hanno altra scelta che continuare con ciò che trovano. Il lavoro in casa e la cura dei figli, una catena di montaggio, le case-alveari, il cibo industriale, la scuola coercitiva, l'industria automobilistica, l'eterosessualità invadente. Molti chiedono la "sicurezza" promessa dalle ideologi di Autorità e Ordine e trovano capri espiatori da incolpare per la loro infelicità.
Nella tradizionale mitologia rivoluzionaria, all'arrivo di una grande crisi economica, la gente non vede altra soluzione che la rivolta. Senza un deciso mutamento di valori, tuttavia, una simile sollevazione sarebbe sessista, imperialista, anti-ecologica, generazionale. Senza uno sforzo cosciente, gli strati della corazza caratteriale non cadrebbero, gli atteggiamenti patriarcali degli uomini non scomparirebbero e le gerarchie verrebbero al massimo sospese temporaneamente. Per una rivoluzione che comprende questi punti nell'agenda solo come Varie ed eventuali da rimandare a dopo che è stato realizzato il programma principale, per una rivoluzione che subordina i problemi del controllo popolare sulla vita quotidiana ad una strategia di conquista dei vertici dominanti dell'economia, per una simile rivoluzione non val la pena di morire; non metterebbe fine all'alienazione (l'esclusione della gente dalla propria vita).
Un gran numero di persone non si impegna nell'attività rivoluzionaria finché non prova il bisogno di cambiare, finché non vede i cambiamenti che desidera e non capisce che può attuare dei cambiamenti. Il nostro punto di partenza deve essere qui e adesso, con l'esperienza della gente, l'alienazione reciproca, la nostra alienazione da quelle basi vitali come la terra su cui cresce il nostro cibo, la nostra alienazione dai nostri stessi desideri. E, naturalmente, dobbiamo esaminare le basi strutturali dell'alienazione (la supremazia maschile, lo Stato, il capitalismo).
In conseguenza di tutto ciò, il primo passo in una prospettiva anarchica nonviolenta, è di contestare i propri rapporti, per farsi valere quando si è calpestati, rivendicare la propria vita e contemporaneamente assumere la responsabilità delle proprie azioni, il che può voler dire toglierle dalle spalle di altri: da un lato, senza lasciarsi emarginare, né dall'altro buttar via le loro energie, sia che qualcuno sia costretto a cucinare o a lavare per noi o che ci si basi sul cibo strappato dall'imperialismo senza alcuno sforzo per rifornirci in proprio. Contestare i nostri rapporti comporta anche il mettere in questione il nostro ruolo in questa società, rendendoci consapevoli delle politiche di dominazione e di sfruttamento (sia di altri paesi che di gruppi in questo paese) a cui aderiamo.
Non è nel significato cristiano di tendere alla perfezione umana che l'anarchismo nonviolento sottolinea l'importanza di modificare noi e i nostri rapporti più stretti. E' piuttosto un trasformarsi attraverso l'edificazione di una cultura di gente in lotta, una cultura che contesti il potere, una cultura in cui la gente si aiuti reciprocamente e cerchi di gestire la propria vita, una cultura in cui la gente possa acquistare un senso di sé come protagonista del proprio destino, elementi attivi con la facoltà di fare cose da sé.
Nel XIX secolo, sembrava che la forza collettiva dei lavoratori neo-proletarizzati potesse favorire una tale cultura, ma più si vive sotto il capitalismo, più privata è la vita familiare e più tecnocratica diventa la società e quindi sempre più veniamo scoraggiati da quel genere di solidarietà collettiva. Il nostro obbiettivo è di crearla e il Movimento di Liberazione delle Donne è su questa strada. Quanto meno, il MLD non ha instaurato nuove gerarchie, né fazioni, ma privilegia il piccolo gruppo, la crescita della coscienza.
Ho imparato un sacco di cose leggendo, ma a volte è nettamente intimidatorio e mistificante sbattere contro una selva di citazioni, rimandi e note. Riflettere collettivamente sulla nostra vita, le nostre situazioni, le nostre attività, i nostri sentimenti, riflettere collettivamente con una determinazione a cambiare: questo è diretto, ugualitario, dà significato alla nostra vita quotidiana, ci sostiene nella lotta. E' un modo rivoluzionario per fare una teoria rivoluzionaria, portando alla superficie tutto ciò che abbiamo di nascosto, solo per scoprire che altri hanno fatto la stessa cosa, unendosi ad altra gente per superare i blocchi che ci sconfiggono come individui, adeguando la nostra linea di azione all'esperienza comune.
Così, in una visione anarchica nonviolenta, il nucleo organizzativo di base è quello che chiamiamo il gruppo d'affinità, un gruppo (non necessariamente un gruppo formale) in cui la gente si sostiene con l'aiuto reciproco nel tentativo di agire in modo differente anche se potrebbe non essere coinvolta nelle medesime situazioni; dove si impara gli uni dagli altri senza istituire nuove gerarchie e nuove barriere di competenza esclusiva. E le prime linee della lotta sono ovunque siamo: a casa nostra, tra i vicini, sul posto di lavoro, nei rapporti sociali, anche come consumatori. E' proprio l'opposto che entrare in un partito: vendere il modulo di organizzazione.

Alla riscoperta del "personale"
Quand'ero studente, dal 1968 in poi, prima che prendesse piede in Inghilterra il Fronte di Liberazione Gay e quando il Movimento di Liberazione delle Donne era appena agli inizi, molti di noi avevano cominciato a riconoscere in certa misura che, rifiutando di prendere il posto assegnatoci nella società dovevano fare una rivoluzione per noi stessi, non per un'idea dell'"oppresso" che si escludeva, perché anche noi eravamo alienati.
Ma le riunioni tendevano ancora ad essere occasioni, per i politicanti maschi, di tenere conferenze, di rivaleggiare con gli altri nell'essere più monolitici e a sparare più nomi; altre (le donne specialmente) non s'azzardavano ad esprimere le loro idee embrionali, intimidite dalla derisione che le accoglieva. Tutti parevano vergognarsi ad esprimere le loro paure, i loro dubbi, le loro emozioni, le loro offese; avevano paura di essere considerati meno rivoluzionari degli altri. Nessuno diceva che il pensiero di essere puniti faceva rinunciare loro ad interpretare una certa azione, nel discutere sui metodi, nessuno confessava quanto nervosismo gli produceva la possibilità di essere ferito, oppure quando intervenimmo ad un programma televisivo, nessuno disse come si sentiva quando i propri genitori lo consideravano uno "studente attaccabrighe". Invece, noi facevamo scattare reciproci sensi di colpa (come puoi preoccuparti perché sei stato espulso quando l'America sta bombardando il Vietnam?) e compensavamo i nostri sensi di colpa gettandoci nella super-militanza.
E poi, come parlavamo poco dei nostri segreti. La destra cercava di invalidare la militanza studentesca attribuendola alla nostra frustrazione sessuale, il che ovviamente non era vero, ma c'era una sindrome diffusissima per cui si era attivissimi nei gruppi politici finché non si trovava un partner e non si faceva fagotto. Ma non discutemmo mai questa sindrome tra di noi se non per sghignazzarci sopra. La verginità e l'omosessualità erano cose su cui la gente di sinistra non si apriva; che qualcuno si sentisse inadeguato perché era vergine, o pervertito perché era gay, non aveva niente a che vedere con la politica. Se discutevamo del sesso politicamente, facevamo riferimento a Reich e alla repressione sessuale delle masse (quella gente là, non noi).
Fu questo genere di situazione che spinse un Gruppo Marxista Internazionalista a scrivere su un documento interno qualche anno fa: "non c'è molta gente con cui parlare nel GMI", una lagnanza che avrebbero potuto far propria moltissimi gruppi politici studenteschi dal 1968 in poi, forse anche adesso. E' in parte per queste considerazioni che un numero sempre maggiore di femministe sta accorgendosi che è impossibile lavorare politicamente con gli uomini.
In una prospettiva in cui assumiamo maggiore responsabilità personale sul nostro modo di vivere, la reciproca funzione di sostegno di un gruppo di affinità è più vitale che mai. Noi abbiamo bisogno di incoraggiamento reciproco per cercare di farla finita con il consumismo e l'opulenza, per annullare le strutture del nostro carattere e per liberarci dai ruoli sessuali, per cercare di mettere in pratica nuovi valori. (...)

Quando la nonviolenza e' lotta
La nonviolenza non cerca di evitare i conflitti, ma non procede neppure con una strategia di continuo aumento di conflitti in modo da provocare sempre più profonde polarizzazioni. Naturalmente ci sono dei conflitti fondamentali: tra gente che dà ordini e gente che li riceve, tra gente che possiede proprietà e gente che le chiede in affitto, tra esperti che monopolizzano le loro conoscenze e gente che ha bisogno di accedere a quella conoscenza e alle sue fonti. La prospettiva nonviolenta è di impegnarsi in quei conflitti per porre termine alla dominazioni, perché la gente recuperi la possibilità di gestire la propria vita.
Allo stesso tempo, comunque, è importante non esasperare l'antagonismo. Per non dir di più, può essere imbarazzante quando un fascistone si rivela un liberale che in qualche modo risponde alle nostre esigenze. Troppo spesso i movimenti d'opposizione sono caricati con le immagini tipiche del "nemico" invece che con un'interpretazione sociale, con il risultato che questi movimenti hanno bisogno che le autorità si uniformino a quell'immagine, fanno affidamento sulla repressione e spesso non riescono a reggersi se contrastati dal guanto di velluto invece che dal pugno di ferro. A volte si utilizzano appelli all'unità contro la linea politica o un'istituzione per evitare le divisioni interne, così alcuni socialisti accusano le femministe, i gay, i neri, i protestatari e gli occupanti di case di essere "scissionisti", "settari" o "deviazionisti" quando si lamentano di venire trascurati.
L'azione nonviolenta richiede un rapporto con gli altri, un senso di contatto reciproco. La gente ha bisogno d'essere in grado di esprimere le proprie lagnanze e le proprie ansietà. Il sostegno che arriva improvviso grazie alla deformazione non solo è probabile che cadrà velocemente, ma è basato sulla manipolazione, che cerca di trasformare gli altri in strumenti della propria personale prospettiva di rivoluzione. Quando vengono adottate tattiche che seguono la gonfia retorica delle riunioni di massa piuttosto che essere analizzate a fondo in piccoli gruppi, un altro processo di alienazione ha trovato posto nella Rivoluzione. Forse la caratteristica più significativa dell'occupazione dell'area nucleare di Seabrook da parte di 1.400 dimostranti fu il suo modo di organizzazione: la Clamshell Alliance, che indisse la dimostrazione volle che ogni dimostrante prendesse parte in qualche misura alla sua preparazione e entrasse in un piccolo gruppo di "affinità" per discutere l'azione. Un portavoce di ogni gruppo poi riferì agli altri rappresentanti degli altri gruppi le tattiche concordate e quindi ritornò a riferire ai piccoli gruppi.
Nell'affrontare i conflitti in modo nonviolento, abbiamo anche bisogno di qualche idea del nostro avversario. Senza farci illusioni sulla crudeltà dello Stato che si sente minacciato, gli anarchici nonviolenti sostengono che spesso è possibile fermare le autorità che seminano il panico con l'immediata brutalità. Con la nostra volontà di discutere e la nostra continua assicurazione che non intendiamo uccidere, possiamo esercitare qualche influenza moderatrice, forse persino un freno morale, a volte. Quando un antagonista è evidentemente in una posizione più debole i nonviolenti avranno interesse ad aiutare i suoi seguaci ad uscire dalla propria intransigenza, a volte offrendo una formula che salvi la faccia.
Il potere sociale si basa sull'obbedienza della gente e questa obbedienza può essere volontaria, abituale o coatta. Non è necessario distruggere fisicamente né umiliare un tiranno per distruggere la tirannia. L'azione nonviolenta può spingere qualche governante a mettere in dubbio la moralità del proprio potere. Ciononostante pochissimi governanti rinunceranno al loro potere e ai frutti del loro potere facilmente o volontariamente. (...)

Dieci, cento, mille controstrutture
Non sono tanto illuso da credere che potremmo trasformare tutta una classe dominante capitalista tramite l'autogestione dei lavoratori. Ma val la pena di fare qualche tentativo per metterli d'accordo, anche solo per ridurne la resistenza. Quali che siano i capitalisti singoli che possano decidere, comunque, ogni tentativo di una basilare ed estesa ridistribuzione del potere nella società è destinato a vedersi addosso tutta la forza dello Stato e del suo apparato repressivo.
Questo è uno dei motivi per ribadire che fondamentale ad una prospettiva anarchica nonviolenta è la continua erosione del potere dello Stato attraverso la crescita di controstrutture accanto ad una continua lotta all'interno delle istituzioni per contrastare la gerarchia e rafforzare la nostra coscienza collettiva. Ma dinanzi alla reazione, se mai fosse possibile resistere, io ritengo che sia possibile resistere in modo nonviolento. Inoltre, se una strategia nonviolenta ci porta allo scontro con lo Stato armato, moltissima gente avrà conoscenza della varietà di tattiche nonviolente (scioperi, occupazioni, boicottaggi, sciopero degli affitti, rifiuto delle tasse) e sarà preparata e in grado di attenersi a una disciplina nonviolenta. E' anche probabile che molta gente diserterà o sarà sul punto di disertare lo Stato.
La non collaborazione nonviolenta di massa ha paralizzato e fatto crollare governi, metodi quali il rifiuto di pagare le tasse e gli scioperi hanno impedito la realizzazione di politiche impopolari. Quando la Norvegia e la Danimarca erano sotto l'occupazione nazista nella seconda guerra mondiale, la non-collaborazione di popolo impedì ai nazisti di insistere su certi metodi. Il governo può esistere solo quando la gente glielo permette, quando acconsente ad essere governata piuttosto che organizzare la propria vita da sé. Contrastato da una risoluta disobbedienza nonviolenza di massa, un governo può cercare di spezzare la volontà dei suoi oppositori attraverso il puro terrore oppure può tentare di corrompere alcuni leaders. Ma, contemporaneamente, la fedeltà delle sue truppe spesso vacilla, soprattutto quando diventa chiaro che è il potere dello Stato che vogliamo distruggere, non gli agenti umani del potere dello Stato.
Così, nel 1953, le truppe polacche rifiutarono di entrare in azione contro i lavoratori tedesco-orientali in rivolta contro lo stalinismo. Coscientemente legati ad un metodo nonviolento i lavoratori misero sotto chiave fucili e munizioni che avevano trovato abbandonati o che erano stati forniti loro. Quando i soldati russi si presentarono, molti di loro si rifiutarono di obbedire agli ordini, alcuni furono trascinati dinanzi alla corte marziale e almeno trentadue vennero giustiziati.
Le truppe russe in Cecoslovacchia riuscirono alla fine a schiacciare la resistenza spontanea nel 1968, ma dopo una settimana che erano sul posto furono giudicate inaffidabili: avevano visto troppo e cominciavano a volere discutere gli ordini. Dovettero essere sostituite.
In Ungheria, nel 1956, le truppe russe al centro di Budapest furono prese da una totale confusione e permisero agli ungheresi di sedersi sui loro carri armati, di fraternizzare, di innalzarvi persino bandiere ungheresi. Quando la polizia ungherese aprì il fuoco, comunque, i russi pensarono che si sparasse a loro e non agli insorti e reagirono di conseguenza, come se fossero caduti in una trappola. Anche così, alcuni carri russi furono abbandonati e consegnati agli ungheresi.
Ognuno di loro era impreparato e disarmato. Se fossero stati più preparati, chi può dire quanto maggior successo avrebbero avuto? Se fossero stati armati, sono sicuro che sarebbero stati schiacciati ancor più sanguinosamente. Dove le truppe provengono principalmente dalla classe lavoratrice di un paese sicuramente è più sensato sovvertire l'esercito e così disarmare lo Stato piuttosto che cercare di contrastarlo con le armi.
Non è una cosa insolita che le truppe si mettano dalla parte della popolazione in una sollevazione. Ci sono stati casi in cui, affrontate da un folla disarmata, le truppe governative hanno persino rifiutato di obbedire agli ordini. A Pietroburgo, nel febbraio del 1917, i cosacchi ebbero l'ordine di disperdere la folla. Al loro assalto, la folla si aprì in colonne per far entrare i cavalli dei cosacchi, alcuni cominciarono a parlare con loro e alcuni addirittura fraternizzarono! I cosacchi ritornarono indietro e disobbedirono ai loro comandanti. Il giorno seguente, essi cambiarono lato e difesero la popolazione disarmata contro la polizia a cavallo! Ovviamente non avevano fiducia che il metodo che li aveva convinti avrebbe funzionato coi loro ex-colleghi.
Chiaramente, ogni governo ha le sue truppe o la sua polizia speciale (in Gran Bretagna, il reggimento paracadutisti, gli Special Air Services e lo Special Patrol Group) forze che non è possibile attirare dalla nostra parte. Ma proprio quelle truppe sollevano l'ostilità delle altre: alcuni dei poliziotti di Grunwick odiavano lo SGP più di quanto odiavano i picchetti degli scioperanti, Neppure i paracadutisti sono troppo popolari tra il resto dell'esercito. E anche se oppongono resistenza alla rivoluzione nonviolenta, anch'essi capiscono presto che il gioco è finito quando si accorgono di essere in sovrannumero, come i generali che tentarono un colpo di mano per fermare l'indipendenza algerina nel 1961. Accolti dalla non-collaborazione della maggior parte dell'esercito e con scarso seguito tra i civili, il colpo fallì in quattro giorni.
E' anche chiaro che lo Stato britannico fa parte di un sistema di potere globale; a sostenerlo sono le altre grandi potenze e il loro apparato militare. Questa è una ragione per sviluppare collegamenti con i rivoluzionari nonviolenti di tutto il mondo per lavorare insieme su progetti congiunti. La non-collaborazione potrebbe contrastare una forza occupante; le truppe occupanti potrebbero essere affrontate e rovesciate unicamente con la resistenza nonviolenta, forse ci sarebbe qualche costrizione sulla grande potenza interessata. Ma, fondamentalmente, il mondo è troppo interdipendente perché si sviluppi l'anarchia in un solo paese e il successo di qualsiasi rivoluzione nonviolenta dipende ancor più dall'espansione di aree di libertà nel mondo di quanto non dipenda il successo della rivoluzione leninista in un solo paese dal successo del leninismo altrove. (...)

Perché no alla lotta armata
Scrivendo tutto ciò, ho ovviamente aggirato alcune difficoltà. Non voglio nascondere i miei dubbi sulle prospettive della rivoluzione anarchica nonviolenta in Gran Bretagna, ma ogni volta che i miei dubbi sono più grandi vedo che non c'è alcuna buona alternativa.
La nuova alternativa a sostenerci sviluppando una cultura e, un frammento dopo l'altro, a costruire una contro-società, è di organizzare un partito. Le organizzazioni centraliste, elitiste, gerarchiche che cercano di guidare il corso della lotta e istruiscono i loro membri formeranno il nucleo di un nuovo stato se riuscirà la loro rivoluzione e i loro membri saranno i nuovi burocrati. La gente non acquista il senso della propria capacità ad influire sui problemi attraverso l'appartenenza ad un partito di massa; non impara a fidarsi più del proprio giudizio, nonostante conosca meglio la propria situazione, che di quello dei leaders che hanno studiato le grandi opere.
Riguardo alla lotta armata essa richiede ancora strutture di obbedienza, gerarchia, gradi di comando, disciplina militare. Ha bisogno di linee segrete di rifornimento e, quando ci si appoggia a rifornimenti dall'esterno, l'indipendenza viene fatalmente compromessa. La lotta armata richiede una crudeltà, una brutalità, una mascolinità di fatto che rende ancor più distante qualsiasi tentativo di dissolvere la cultura maschilista.
Una volta qualcuno obbiettò alla presenza di un gruppo di anarchici nonviolenti in un convegno: "Come possiamo collaborare con un gruppo che vuole disarmare la gente?". Qualcuno parlò a nostro favore, o così pensava: "Siamo tutti nello stesso treno" disse "il fatto è che loro scendono una fermata prima". Spiacente, fratello, Non siamo affatto sullo stesso treno. Puoi usare quelli che chiami mezzi nonviolenti finché non giunge il momento in cui puoi sopraffare lo stato con la forza fisica, proprio come nel passato dei gruppi hanno usato mezzi nonviolenti per conquistarsi l'aiuto di massa che pensavano poi potesse portare alla lotta armata. Ma l'anarchismo nonviolento non è una prospettiva in cui puoi fermarti sull'orlo della violenza. Richiede un tipo diverso di rivoluzione, fatta in uno stile differente: resistere ed indebolire l'autorità, assumersi la responsabilità delle nostre azioni in collaborazione con altri.