Rivista Anarchica Online
B.R. Campagna d'autunno
di Gabriele R.
Le Brigate Rosse hanno annunciato la "campagna d'autunno", manco fossero un atélier di moda.
Potrebbe sembrare ridicolo, a parte la tragicità del tipo di "campagna" annunciato, se tutto ciò
non rientrasse in una strategia ben precisa: il tentativo da parte del partito armato di ottenere una
"legalizzazione". Legalizzazione che si muove su tre piani. Il primo rispetto allo stato, il secondo
rispetto alla società, il terzo rispetto ai "soggetti rivoluzionari". Sono tre piani connessi tra loro,
ma sono soprattutto tre aspetti ben distinti verso cui si rivolge la strategia delle B.R.. In parole
povere le azioni delle B.R. tendono a contenere messaggi per ciascuna di queste componenti. Va
detto che per legalizzazione si intende una forma di riconoscimento da parte dei tre soggetti sopra
elencati. Il primo binario su cui si muove questo tentativo è quello dello stato. Si pone su un piano
militare, ma è chiaro che lo scopo ed il movente rispondono ad un preciso disegno politico. Lo
stato in quanto tale non può che rifiutare e reprimere chiunque non accetti le sue regole del gioco.
Però c'è stato e stato, o meglio esistono modi diversi di gestione del potere. Lo stato che si dice
democratico deve mantenere continuamente questa "maschera di libertà" e nello stesso tempo
agire per eliminare ogni antagonista diretto e indiretto che, appunto, non accetti le sue regole del
gioco. Il modo più o meno scoperto con cui questo stato può impegnarsi in questa eliminazione
è
direttamente proporzionale al grado di "consenso" che ottiene dalla società. Ma anche in presenza
di questo consenso, dover ammettere l'esistenza politica di questi antagonisti ha dei significati e
dei valori per lui molto pericolosi. Primo vuol dire ammettere di fronte alla società che esistono
dei motivi e delle situazioni "illiberali" che giustificano l'esistenza di antagonisti fuori dalla
legalità (dello stato). Secondo, riconoscere, anche solo militarmente, questi antagonisti vuol dire
riconoscere l'esistenza in senso politico cioè come forza politica, con un proprio disegno politico
e sociale, un proprio progetto, una propria struttura. Dato che è impossibile che la società non si
chieda, "ma questi cosa vogliono?". Del resto se lo stato non può accettare che le B.R. si facciano
a loro volta stato, se non accettandole nel proprio ambito il che è un assurdo trattandosi di due
poteri che escludono l'esistenza dell'altro; le B.R. non possono a loro volta comparire come un
potere. Perlomeno in questo momento. Per cui la colpa della loro clandestinità e dei loro metodi
di lotta viene addossata al sistema che è stato secondo loro il primo ad usarli (strategia della
tensione, piazza Fontana, ecc.) essendo incapace di accettare una "opposizione rivoluzionaria"
(notare la contraddizione dei termini) costringendola quindi alla clandestinità ed alla lotta armata. Per
far cadere questa maschera democratica e mostrare il vero volto di potere assoluto, senza nel
contempo mostrare il proprio di potere antagonista, le B.R. usano la tecnica del "divide et
impera". Facendo esplodere le contraddizioni esistenti tra le varie strutture dello stato: partiti,
sindacati, istituzioni ecc. esse cercano di mettere a nudo agli occhi della società cosa si nasconde
dietro il paravento della "libera dialettica democratica": la lotta per il potere. Trascinare lo stato
sul piano dello scontro armato vuol dire costringerlo ad accettare regole che in realtà è costretto a
rifiutare se vuole mantenere intatta la sua "maschera democratica" rispetto alla società, se vuole
mantenere il suo aspetto di garante della libertà di fronte alla società. Non a caso chi si dimostra
più attento a non cadere in questo tranello e allo stesso tempo più intransigente nel mantenere
vivo il concetto di stato democratico come entità, è il PCI. Il quale, per tradizione storica e per
interesse politico attuale, ha più forte questo senso dello stato come centralizzazione, "delegata"
dal popolo, del potere. Il fatto di fare esplodere questi contrasti per mostrare il volto di "sistema di potere" dello
stato,
non significa però che le B.R. siano contro il concetto stesso di stato, anzi. Come detto prima
quella tra B.R. e stato democratico è una lotta di potere, non contro un potere. Far esplodere le
contraddizioni per indebolire il sistema al suo interno e agli occhi della società è funzionale ad un
progetto di partito aggregatore di tutti coloro che non solo non si riconoscono più in questo
stato,
ma che se ne vedono oppressi. Dato che il processo di disgregazione e di attacco allo stato porta
sempre ad un restringimento delle "libertà" che esso... concede. Quello che però le B.R.
perseguono come fine più immediato è strappare allo stato democratico il "diritto" di affermarsi
rappresentante del popolo. Non certo perché le B.R. neghino che lo stato non possa rappresentare
il popolo, bensì perché considerano questo stato come non rappresentante del popolo.
Dove
rappresentante del popolo è, secondo l'ottica brigatista, chi lo guida. Da buoni stalinisti essi
hanno un concetto molto più verticistico dello stato. Non a caso il principale rimprovero che essi
muovono a questo stato è di essere inefficiente, incapace di mantenere l'ordine sociale,
incapace
di stabilire dei valori morali con cui "educare" il popolo. Perché? Perché questo stato non è
il
rappresentante del popolo, ma il rappresentante di un sistema di sfruttamento "legalizzato": il
sistema di sfruttamento capitalista. Per cui ad essere privilegiata è una classe su un'altra, un
gruppo su un altro, ecc.. Per di più con l'impiccio e l'impaccio di un ingombrante maschera
"democratica" che lo costringe a concedere troppe libertà indebolendosi e corrompendosi. Da
bravi leninisti essi eliminano questa disparità tra le classi riconoscendone una sola e
concentrando nello stato e nella sua dirigenza il compito di guida e di gestione di questa società
monoclassista. Naturalmente guida che agisce esclusivamente per il bene di questa società! Ma come
possono credere e pretendere che la società italiana accetti un progetto del genere? A
loro non interessa affatto che la società accetti e creda in questo progetto, a loro interessa il
potere e la lotta per ottenerlo. Non vi è però in ciò la stessa sete di potere che anima gli
arrivisti e
i maggiorenti che costituiscono la classe di governo attuale, bensì l'ambizione messianica del
ruolo di guida del popolo, di avanguardia rivoluzionaria. Ambizione di chiaro stampo cattolico
con la sua carica manichea. Ambizione che riveste i panni della ineluttabilità e della missione
"divina", per cui considerazioni di ordine morale, od obiezioni di ordine pratico e qualitativo che
si possono fare al loro progetto, non li toccano e non li fanno scomporre più di tanto. Tutto ciò
non significa che non tengano conto della società, anzi. Pur non essendo questa la società di cui
vogliono essere guida, essi la vogliono come interlocutrice, proprio perché ciò è funzionale
al
loro progetto. I brigatisti sanno benissimo che la realtà sociale italiana non è una realtà di
tipo
sud americano o terzomondista. Essi sanno benissimo che si trovano in una società la cui realtà
è
quella di una società dell'abbondanza di tipo industriale occidentale, pur con contorni tutti
italiani. Ma per loro è valido qualsiasi strumento, cosa o persona che sia, che si riveli utile e
funzionale a questo progetto. Quando questa funzionalità cessa, lo strumento viene abbandonato
o distrutto. Si pensi ai discorsi fatti in questa fase dalle B.R. sul "proletariato prigioniero" e si
ragioni sulla fine che farebbe questo, divenuto "criminalità degradata e irrecuperabile, se le B.R.
ottenessero il potere. L'esempio della Cambogia è ancora fresco! Dato che viviamo in quella che viene
comunemente definita la società dello spettacolo, è giusto,
secondo l'ottica brigatista, che si utilizzino gli strumenti e i linguaggi tipici di questa società.
Caratteristica di una società dello spettacolo è l'esistenza di una scala di valori indotti che
contraddistingue ogni suo aspetto: morale, sociale, politico, economico ecc.. Valori indotti che
hanno chiaramente un significato simbolico, ovviamente funzionale a chi li produce. Questo
rappresentare e parallelamente creare la realtà per simboli (positivi a cui attenersi, negativi da
combattere) ha bisogno di un linguaggio che si esprima per simboli. Di un codice di linguaggio
che aiuti a capire questi simboli. In questo senso è da intendersi la società dello spettacolo,
cioè
una società in cui la realtà non è quella che vediamo, ma quella che viene rappresentata da
ciò
che i valori indotti simboleggiano. È chiaro quindi che chi produce questi valori lo fa a proprio
vantaggio e quindi detiene il potere. Le B.R. hanno capito il gioco alla perfezione, anche perché rientra
nella loro logica di gruppo alla
ricerca di un potere, ed hanno perciò cominciato a produrne in proprio. La loro struttura politica
ed ideologica non solo accetta questa divisione gerarchica dell'ordine sociale espressa attraverso
valori simbolici, ma la prevede. Quello a cui essi tendono ideologicamente e praticamente è la
sostituzione dell'ordine di valori esistente con il proprio. Dato che chi controlla questi valori e la
loro produzione controlla il potere. Per fare ciò il mezzo migliore attualmente a disposizione
sono i mass-media: questo spiega il braccio di ferro con lo stato che ne vorrebbe bloccare
l'utilizzo (black-out, controllo e se occorre repressione di chi contravviene ai suoi ordini, ecc.). In
questo però le B.R. hanno buon gioco data da una parte la mancanza di omogeneità del sistema di
potere e dall'altra la struttura stessa del mezzo che non si fa certo scrupoli di ordine morale o
politico, poiché non vive certo in funzione di un'informazione da fornire alla società, ma in
funzione di un profitto dove le informazioni sono la merce di scambio. In parole povere ciò che
fa notizia è ciò che aiuta ad aumentare la tiratura o l'ascolto come ad esempio l'intervista con le
B.R. pubblicata dall'Espresso, non certo ciò che può realmente interessare alla
gente. In questo senso si deve intendere lo scopo delle "campagne". Esse sono indirizzate sia come
progetto che come realizzazione a colpire in modo simbolico dei simboli negativi del sistema.
Azzoppare, rapire e/o ammazzare chi simbolicamente manovra questi aspetti negativi contiene un
messaggio specifico indirizzato a tutte e tre le direttrici verso cui si muove il partito armato. Per
lo stato vogliono essere un simbolo di efficienza e di conoscenza dei meccanismi della sua
struttura di potere, in funzione di quanto detto prima come strategia politica delle B.R. rispetto
allo stato stesso. Per la società vogliono essere una dimostrazione di capacità politica e di
amministrazione del potere ed in particolare della giustizia che lo stato "borghese e corrotto" non
sa più adempiere. La "giustizia" delle brigate rosse è una giustizia più determinata e
più
efficiente. La sua capacità di analisi politica, secondo loro, delle colpe dei giustiziati non è
inficiata dalle pastoie e dalle pastette in cui è invischiata la giustizia dello stato borghese. Questo
è il messaggio che le B.R. inviano alla società con le loro "campagne". L'aspetto massimalista
della loro giustizia è da una parte una dichiarazione politica di incorruttibilità e di rifiuto di tutto
ciò che non sia scritto nei loro codici non scritti e che potrebbe inficiare il giudizio; dall'altra è un
avvertimento in chiave di efficienza a chi rifiuta di aderire al loro progetto. Mai come in questo
caso è valida la massima: "chi non è con me è contro di me". Di fronte alla società
essi vogliono
assumere il ruolo di reali giustizieri e controllori dell'ordine sociale, sia per coloro che ritengono
"amici" ma soprattutto per i "nemici". Non vi è certo un progetto insurrezionale immediato nelle
"campagne" che essi intraprendono, ma un disegno politico che ha la doppia funzione di
sgretolamento del potere statale e di diffusione del loro verbo. Sostituendosi alle strutture dello
stato nella funzione di controllori dell'ordine e della giustizia essi tendono a dimostrare la
superiorità del sistema da loro proposto. Anche se ogni campagna ha nel contempo una funzione
pratica specifica, il disegno di base è quello sopradetto. Quando le B.R. iniziarono la campagna
contro i giornalisti vi era da una parte il bisogno di colpire e di avvertire degli strumenti del
potere, dall'altra il bisogno di indicare alla società non la negatività dello strumento, ma la
negatività di chi lo usava. Mentre con la campagna nelle fabbriche vi era il bisogno di colpire dei
simboli puri del sistema di sfruttamento capitalista e dall'altra di sostituirsi ai sindacati ormai
facenti parte del sistema di sfruttamento, per farsi riconoscere dagli operai come interlocutori e
come operatori "efficienti". Quello che conta in questo momento per il partito armato è riuscire a
costituire una base sempre
più vasta che riconosca in lui la guida e il rappresentante. Una base che assolva alla doppia
funzione di serbatoio e di legittimazione, di legalizzazione delle B.R. come partito della "santa
canaglia", come rappresentante ed efficiente esecutore delle istanze di chi vede la classe
dominante come nemico irrecuperabile e lo stato come esecutore dei suoi voleri. Questa base è
rappresentata dai cosidetti "soggetti rivoluzionari", etichetta che le B.R. applicano a tutti coloro
che ritengono utilizzabili a breve termine nel loro progetto di destabilizzazione. Il che non
significa affatto che questi soggetti siano i rappresentanti della classe sociale che esisterebbe in
uno stato del tipo di quello propugnato dai brigatisti. Anzi, si pensi solamente all'esempio del
"proletariato prigioniero" fatto poc'anzi. Questa base diventa "soggetto rivoluzionario" nel
momento in cui è utile alla fase attuale del progetto, e per smuoverla dallo stato di passività in
cui si trova i metodi impiegati sono tanti. Primo fra tutti la spinta destabilizzatrice verso lo stato
che lo spinge a ridurre gli spazi di libertà che concede. Tutto ciò rende sempre più
incolmabile il
divario tra lui e i cosiddetti "soggetti rivoluzionari". Altro elemento di aggregazione è il fascino che
l'efficientismo dimostrato militarmente esercita
su questi soggetti abituati a non avere voce in capitolo e di conseguenza ad essere del tutto
indifesi. È ovvio che non si tratta di una aggregazione spontanea e cosciente, ma di un cambio di
campo. Del resto sta a dimostrare tutto ciò il fatto che i rapporti di forza e gerarchici esistenti
nella società attuale, li possiamo ritrovare tali e quali nell'organizzazione brigatista. Non si tratta
quindi del risultato di un'emancipazione, ma di una scelta di campo vuoi ragionata vuoi forzata
dagli eventi. Se qualcuno viene pestato tutti i giorni da un altro più forte di lui, cercherà prima o
poi di presentarsi con un amico grande e grosso, che si dice anche disposto a morire per lui, per
difendersi o vendicarsi. Non si fraintenda questa descrizione dei "soggetti rivoluzionari" come un
atto di dispregio, ma riconoscere in uno sfruttato costretto ad azioni "abbiette" una vittima della
società non vuol dire accettarne il ruolo come naturale. Anzi parlare di emancipazione vuol dire
proprio negare questo ruolo per riconoscerne un altro di essere umano reagente con tutti i mezzi
alla società che lo costringe a compiere quelle azioni. Questa è in linea di massima la strategia
attuale delle B.R.: aumentare la disgregazione sociale e
quella della organizzazione statale per portare il loro scontro su un piano di ineluttabilità. Questa
la strategia, ma non è detto che funzioni. Infatti rischia di naufragare per vari motivi. Primo fra
tutti il processo di legalizzazione che le B.R. portano avanti verso lo stato rischia di diventare
un'arma a doppio taglio. Perché se è vero che ciò significherebbe il riconoscimento come
forza
politica antagonista, l'ammissione di fronte alla società dell'esistenza di un potere egemone, ecc.
è anche vero che ciò tornerebbe funzionale allo stato stesso. Le B.R., cioè, verrebbero a
diventare
una sorta di partito semilegale rappresentante di quella fascia di proletariato emarginato e di tutti
coloro che non riescono ad essere integrati nel sistema. Partito semilegale e comunque
clandestino che assolverebbe però, paradossalmente, una funzione sociale utile allo stato. Una
funzione di controllo involontario. Del resto la società accetta già tipi di organizzazione di questo
genere come la mafia o la camorra, le accetta come mali necessari anche se a parole si dice
contraria. È molto più facile controllare e indirizzare una associazione con dei capi e delle
strutture che una miriade di individualità. Lo stato del resto, nonostante sia indebolito, è ancora
saldo gestore dei mass-media e non fa molta fatica a far accettare alla società, che del resto da sé
stesse emargina questa fascia di irrecuperabili e non vi si riconosce, una realtà del genere. La spinta alla
destabilizzazione dello stato per costringerlo a militarizzarsi è un rischio calcolato,
anzi più che un rischio è un passaggio obbligato della strategia brigatista che può andare
bene o
può andare male. Lo si è visto già in altri casi. Laddove la lotta armata non ha alle spalle
un
appoggio popolare (giustificato da delle situazioni di smaccata contraddizione sociale o politica:
Cuba, l'Irlanda, ecc.) essa è stata costretta a crearlo costringendo lo stato alla militarizzazione.
Però il risultato è stato quasi sempre perdente, per la lotta armata: vedi l'Argentina, l'Uruguay,
ecc.. Per di più siamo in Italia, dove la situazione sociale è quella di una società del
benessere,
quindi risulta difficilissimo cercare di abbattere dei valori basati su un apparente privilegio, per
sostituirli con degli altri legati per di più ad un soggetto sociale ancora da venire. Utilizzando tra
l'altro la violenza come forma di comunicazione. Fatto sta che in mezzo a questo scontro tra poteri rimangono
schiacciati tutti coloro che non
accettano questa logica. Per di più lo stato continua a fare il suo dovere di stato, aumentando la
repressione. Non gli par vero di avere una motivazione valida e utile a tutti gli usi. Con il
consenso della gente sta chiudendo quei pochi spazi in cui ancora era possibile muoversi.
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