Rivista Anarchica Online
Ripresa e retromarcia
di Franco Melandri
Con la ripresa produttiva autunnale, i lavoratori si trovano una volta di più a dover fronteggiare
un attacco portato loro da due direttrici convergenti. Da un lato il costo della vita che è diventato,
soprattutto nelle grandi città, insostenibile in particolar modo per le famiglie con un solo salario;
dall'altro il tentativo delle direzioni aziendali di smantellare le poche conquiste dell'autunno
caldo che ancora conservano un qualche significato. Dal "fronte" del costo della vita le cose sono quanto mai
buie e non saranno certo gli interventi
governativi per il controllo di alcuni prezzi a mutare l'andazzo delle cose poiché tali controlli
servono, più che altro, a gettare fumo negli occhi alla agente al fine di distoglierla da quello che è
il punto dolente dell'intera questione: il cosiddetto "costo del lavoro". I dirigenti delle grandi e
medie aziende ed i padroni delle piccole, prendendo al balzo l'aumentato costo delle materie
prime e del petrolio (dovuti entrambi al forzato rilancio del dollaro voluto da Reagan), stanno
infatti attaccando pesantemente la contingenza. La volontà, più volte dichiarata, di Merloni e C.
di rigettare l'accordo sulla scala mobile (volontà sfociata nella trattativa, ancora in corso, sul
cosiddetto "costo del lavoro"), il rifiuto di ridiscutere la questione dell'indennità di licenziamento
e le crescenti minacce di licenziamenti (sempre più spesso attuate negli ultimi tempi) hanno
come scopo quello di ristabilire una situazione in cui, venendo a mancare la garanzia del posto di
lavoro ed ogni meccanismo di adeguamento dei salari al costo della vita, i lavoratori sarebbero in
balia delle dirigenze industriali. È chiaro quindi che se la Confindustria riuscirà ad ottenere (ed
è probabile) un
ridimensionamento della scala mobile e completa mano libera nei licenziamenti gli operai si
troveranno in una situazione da anni '50: salari totalmente inadeguati a consentire una vita
decente, senza possibilità di lottare per lo spauracchio del licenziamento, costretti quindi a
tornare a forme di doppio lavoro, al lavoro nero ed a quello a domicilio di triste memoria. Per
quanto riguarda la situazione interna alle fabbriche, ai tecnocrati confindustriali resta ancora ben
poco da riconquistare, poiché già col contratto nazionale del 1979 quasi tutte le più potenti
conquiste dell'autunno caldo sono state messe in soffitta. L'uguaglianza salariale ha avuto il
benservito in nome della "professionalità", quando tutti sanno che alla catena di montaggio
nessuna vera professionalità è necessaria o possibile. Le libertà interne alla fabbrica sono
state
svuotate sia con l'attribuzione al sindacato del "diritto all'informazione" (che altro non è se non
l'inizio di una forma di cogestione e che ha portato con sé la mobilità interna e quella esterna), sia
col rilancio della disciplina interna, e cioè la resurrezione del potere assoluto dei capi reparto e
dei marcatempo. Le cosiddette "libertà sindacali" infine sono state svuotate anche dall'interno,
con la convergente campagna "antiterrorismo" scatenata contemporaneamente da sindacati e
direzioni e che ha fatto sì che i consigli di fabbrica ritornassero ad essere quasi ovunque docili
strumenti in mano ai sindacati. Sindacati che, dal canto loro, si trovano attualmente in una grave
"impasse", divisi come sono tanto per le grosse divergenze dovute alle pressioni dei rispettivi
partiti-guida quanto per i contraccolpi seguiti al fallimento del progetto cogestionario che li
aveva guidati sino alla fine della lotta contro i licenziamenti FIAT. Un progetto cogestionario che
li aveva portati, nell'ubriacatura della "solidarietà nazionale", a contribuire in maniera
determinante allo smantellamento delle conquiste del '69 visto in precedenza; a farsi carico del
riassetto delle aziende (blocco della contingenza sull'indennità di licenziamento, "politica dei
sacrifici"), a guidare la lotta ai "terroristi" e soprattutto ad ogni dissidente con la conseguente
sempre maggior divisione fra gli operai. Ma, con la sconfitta subita nella lotta dell'ottobre '80 alla
FIAT, il sindacato ha avuto il benservito. Le dirigenze industriali infatti, trovandosi nei primi anni '70 sulla
difensiva, si erano dapprima
prestate al gioco sindacale (che mirava alla cogestione ponendosi come controllore della forza-lavoro) ma una volta
ristabilita la loro supremazia in fabbrica, non hanno esitato un momento a
ricompensare con un sonoro calcione i galoppini sindacali che così validamente li avevano aiutati
nel loro disegno. Ed è proprio in seguito a questo benservito che i sindacati, CGIL in testa, hanno
pagato come è giusto il prezzo più alto. Attualmente nelle fabbriche la credibilità
sindacale è a livelli bassissimi ed i sindacalisti vengono
criticati sia dai lavoratori più "incazzati" - che rinfacciano ai vertici confederali di non aver
voluto lottare quando le condizioni erano propizie, con la pretesa interclassista che "la classe
operaia deve dimostrarsi classe dirigente" - sia dalla (sempre meno ascoltata) base confederale,
che imputa all'incapacità dei dirigenti di CGIL+ CISL+UIL il fallimento dell'embrassons-nous
concessionario. Né a risollevare le sorti sindacali sembrano servire le recenti posizioni "dure"
assunte, del tutto strumentalmente, dalla CGIL sulla scala mobile e sull'occupazione: posizioni
che hanno tutta l'aria dell'ultimo appiglio nella speranza di conservare un minimo di credibilità. Rimane
da chiedersi come e se gli operai possano rintuzzare l'attacco confindustriale senza dover
riaffidarsi ai bonzi sindacali. Ma fra gli operai impera lo sconforto più grande, rafforzato ogni
giorno dalle conseguenze dell'inflazione, ed una risposta decisa alle pretese confindustriali
appare estremamente improbabile. Persa, fortunatamente, la cieca fiducia nei sindacati, quasi
totalmente scomparsa la "sinistra di classe", i lavoratori si trovano senza alcun riferimento -
incapaci anche di cercarlo al loro interno - in una situazione di grande incertezza e di grande
stanchezza, sempre più alla mercè delle dirigenze aziendali e dei capi reparto. I prossimi mesi
si presentano quindi con le tinte più fosche ed è estremamente difficile
individuare su quali binari muoversi per far rinascere la combattività operaia. A mio parere una
delle scarse possibilità per i compagni che (come il sottoscritto) lavorano in fabbrica mi pare sia
quella di opporsi, innanzitutto con l'esempio, tanto ai voleri delle direzioni aziendali quanto alla
disciplina dei capi e dei marcatempo, operando nel contempo affinché eventuali lotte e scioperi
spontanei non siano recuperati dalle sfiatate sirene sindacali. Probabilmente una tale opposizione
porterà ben pochi risultati immediati, ma potrà forse servire quando (quando?) l'esigenza di
lottare sarà di nuovo sentita.
|