Rivista Anarchica Online
Donne in divisa
di Maria Teresa Romiti
Il servizio militare femminile è passato nel giro di pochi anni da idea base per fumetti
pornografici o barzellette spinte a progetto di legge che ha coinvolto nel dibattito mass-media,
partiti politici e gruppi femministi. La notizia della nuova legge, che ha cominciato a girare quasi
in sordina alcuni mesi fa, ora è già assurta agli onori dei grandi mezzi di comunicazione e della
rubrica dell'opinion-maker, passando attraverso le chiacchiere di tutti i giorni. Insomma la cosa è
veramente seria, il dibattito è coinvolgente, il problema è stato sviscerato in tutti i suoi aspetti e
secondo le varie angolazioni. Se all'inizio il tono degli articoli aveva ancora un che di
folkloristico, presto il dibattito si è fatto più stringato dimostrando l'importanza che riveste per le
istituzioni a cui ancora una volta i mass-media hanno fatto da utili servitori. Bisognava preparare
all'idea del servizio militare femminile, in modo che non fosse troppo shoccante e d'altra parte
poi si dovevano trovare valide giustificazioni alla richiesta. Tutti questi mesi preparatori sono serviti
egregiamente allo scopo: piano piano l'uomo della
strada è stato abituato all'idea di vedere la ragazza della porta accanto in divisa militare e nello
stesso tempo il tutto è stato fatto passare come una conquista della parità femminile incentrando
il dibattito su una falsa equazione: donne militari, società più aperta, più moderna, meno
maschilista. A smentire una simile impostazione basterebbe considerare che anche in Libia le
donne possono accedere alle accademie militari: questo non vuol dire che in Libia le donne siano
più libere o la società più progredita, ma semplicemente che gli armamenti libici sono
sproporzionati alla popolazione e quindi per poterli utilizzare c'è bisogno anche delle donne. Un discorso
simile è anche quello dell'esercito italiano, preoccupato sia dal diminuire delle
nascite, che dalla mancanza di volontari dovuta alle paghe più basse e al servizio più difficile. Da
qui l'idea di rimpiazzare la mancanza di personale, soprattutto per i servizi ausiliari, con donne
che, essendo meno competitive sul mercato del lavoro, danno garanzie maggiori di fedeltà
all'impiego. Naturalmente un simile discorso richiedeva una copertura ideologica e così abbiamo
visto solerti generali trasformarsi in paladini della parità dei sessi, lanciarsi in comiche
elucubrazioni sulla femminilizzazione del servizio militare da parte delle donne o sul bisogno di
ingentilire le forze armate. Ma c'è ancora un altro motivo più sottile che fa diventare così
importante il servizio militare
delle donne: la vecchia immagine dell'esercito di stampo ottocentesco con la sua retorica non
regge più, è completamente anacronistica, rischia solo di far ridere. L'esercito ha bisogno di una
nuova veste. Il militare deve apparire come un tecnico, sufficientemente colto, efficiente, esperto,
"democratico", inserito in una struttura ordinata che è in grado di aprire carriere alle persone che
vogliono lavorare tranquillamente. Un'immagine manageriale, da grossa industria, dove la
produzione e l'efficienza vengono privilegiate. La funzione della donna è, allora, di aiutare a creare
questa nuova immagine moderna, aperta,
tecnica, in cui l'esercito appaia come un mestiere qualsiasi, magari anche allettante, sia
economicamente che socialmente. Questo spiega l'atteggiamento di parte della sinistra che ha
trovato molto comodo accettare l'inserimento delle donne in questo quadro, in cui l'esercito
diventa sempre più l'istituzione "democratica", "la difesa delle libertà repubblicane", per cui le
donne in divisa sono una conquista democratica, discendono direttamente dalla lotta di
liberazione, segnano un nuovo passo verso la parità fra i sessi. Un po' più difficile da spiegare
l'atteggiamento di alcuni gruppi femministi che, pure con alcune riserve, accettano il servizio
militare femminile in quanto potrebbe essere vissuto come una discriminante sessista, e perché in
ogni caso le donne porterebbero nell'esercito i loro valori. C'è da rimanere allibiti di fronte a tanta
ingenuità: credere di poter portare nell'esercito i valori che mirano a costruire una società senza
violenza! Che valori nuovi si possono portare attraverso l'istituzione armata, l'istituzione
dell'ordine e della gerarchia? Che uomo nuovo può nascere nel posto dove la parola uomo non ha
neppure senso? Anche se questo non è l'atteggiamento di tutto il movimento femminista, esistono
infatti posizioni più sfumate ed alcune, specie all'estero decisamente contrarie, quello che a me
preme sottolineare è l'assurdità di questa logica. Il concetto di esercito doveva essere
completamente negativo per chi si faceva portatrice di valori
nuovi, dell'essere umano nuovo, de-ruolizzato e liberato, la contraddizione doveva essere tanto
chiara da non suscitare problemi e perplessità. Se non è stato così vuol dire che la
"rivoluzione
femminista" non è riuscita ad uscire dallo schema stato, che i nuovi valori, i cambiamenti sono
rimasti all'interno della struttura del potere; il femminismo non è riuscito nemmeno a pensarsi al
di fuori della cultura imperante, al di fuori della struttura del potere. Il massimo che può
realizzare certo l'immaginario femminista è un contro-potere, un contro-stato di donne, come nel
caso di Phillis Chesler, una delle leader del movimento femminista americano che ha proposto un
esercito di donne, un governo di donne, una polizia di donne: lo stato che si duplica e si
riproduce. Non si può parlare di valori nuovi o di uomo-nuovo, ma solo di conquista di potere. Di questo
si
è ben resa conto l'istituzione che ha già provveduto a recuperare in senso statale e gerarchico i
nuovi spunti del movimento femminista. L'esercito delle donne non può essere diverso da quello
degli uomini, l'esercito è sempre quello: l'istituzione armata per la quale passano gerarchia,
ordine, subordinazione. Non c'è posto per l'uomo o la donna nell'esercito per la semplice ragione
che c'è posto solo per gli automi.
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