Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 95
ottobre 1981


Rivista Anarchica Online

Donne in divisa
di Maria Teresa Romiti

Il servizio militare femminile è passato nel giro di pochi anni da idea base per fumetti pornografici o barzellette spinte a progetto di legge che ha coinvolto nel dibattito mass-media, partiti politici e gruppi femministi. La notizia della nuova legge, che ha cominciato a girare quasi in sordina alcuni mesi fa, ora è già assurta agli onori dei grandi mezzi di comunicazione e della rubrica dell'opinion-maker, passando attraverso le chiacchiere di tutti i giorni. Insomma la cosa è veramente seria, il dibattito è coinvolgente, il problema è stato sviscerato in tutti i suoi aspetti e secondo le varie angolazioni. Se all'inizio il tono degli articoli aveva ancora un che di folkloristico, presto il dibattito si è fatto più stringato dimostrando l'importanza che riveste per le istituzioni a cui ancora una volta i mass-media hanno fatto da utili servitori. Bisognava preparare all'idea del servizio militare femminile, in modo che non fosse troppo shoccante e d'altra parte poi si dovevano trovare valide giustificazioni alla richiesta.
Tutti questi mesi preparatori sono serviti egregiamente allo scopo: piano piano l'uomo della strada è stato abituato all'idea di vedere la ragazza della porta accanto in divisa militare e nello stesso tempo il tutto è stato fatto passare come una conquista della parità femminile incentrando il dibattito su una falsa equazione: donne militari, società più aperta, più moderna, meno maschilista. A smentire una simile impostazione basterebbe considerare che anche in Libia le donne possono accedere alle accademie militari: questo non vuol dire che in Libia le donne siano più libere o la società più progredita, ma semplicemente che gli armamenti libici sono sproporzionati alla popolazione e quindi per poterli utilizzare c'è bisogno anche delle donne.
Un discorso simile è anche quello dell'esercito italiano, preoccupato sia dal diminuire delle nascite, che dalla mancanza di volontari dovuta alle paghe più basse e al servizio più difficile. Da qui l'idea di rimpiazzare la mancanza di personale, soprattutto per i servizi ausiliari, con donne che, essendo meno competitive sul mercato del lavoro, danno garanzie maggiori di fedeltà all'impiego. Naturalmente un simile discorso richiedeva una copertura ideologica e così abbiamo visto solerti generali trasformarsi in paladini della parità dei sessi, lanciarsi in comiche elucubrazioni sulla femminilizzazione del servizio militare da parte delle donne o sul bisogno di ingentilire le forze armate.
Ma c'è ancora un altro motivo più sottile che fa diventare così importante il servizio militare delle donne: la vecchia immagine dell'esercito di stampo ottocentesco con la sua retorica non regge più, è completamente anacronistica, rischia solo di far ridere. L'esercito ha bisogno di una nuova veste. Il militare deve apparire come un tecnico, sufficientemente colto, efficiente, esperto, "democratico", inserito in una struttura ordinata che è in grado di aprire carriere alle persone che vogliono lavorare tranquillamente. Un'immagine manageriale, da grossa industria, dove la produzione e l'efficienza vengono privilegiate.
La funzione della donna è, allora, di aiutare a creare questa nuova immagine moderna, aperta, tecnica, in cui l'esercito appaia come un mestiere qualsiasi, magari anche allettante, sia economicamente che socialmente. Questo spiega l'atteggiamento di parte della sinistra che ha trovato molto comodo accettare l'inserimento delle donne in questo quadro, in cui l'esercito diventa sempre più l'istituzione "democratica", "la difesa delle libertà repubblicane", per cui le donne in divisa sono una conquista democratica, discendono direttamente dalla lotta di liberazione, segnano un nuovo passo verso la parità fra i sessi. Un po' più difficile da spiegare l'atteggiamento di alcuni gruppi femministi che, pure con alcune riserve, accettano il servizio militare femminile in quanto potrebbe essere vissuto come una discriminante sessista, e perché in ogni caso le donne porterebbero nell'esercito i loro valori. C'è da rimanere allibiti di fronte a tanta ingenuità: credere di poter portare nell'esercito i valori che mirano a costruire una società senza violenza! Che valori nuovi si possono portare attraverso l'istituzione armata, l'istituzione dell'ordine e della gerarchia? Che uomo nuovo può nascere nel posto dove la parola uomo non ha neppure senso? Anche se questo non è l'atteggiamento di tutto il movimento femminista, esistono infatti posizioni più sfumate ed alcune, specie all'estero decisamente contrarie, quello che a me preme sottolineare è l'assurdità di questa logica.
Il concetto di esercito doveva essere completamente negativo per chi si faceva portatrice di valori nuovi, dell'essere umano nuovo, de-ruolizzato e liberato, la contraddizione doveva essere tanto chiara da non suscitare problemi e perplessità. Se non è stato così vuol dire che la "rivoluzione femminista" non è riuscita ad uscire dallo schema stato, che i nuovi valori, i cambiamenti sono rimasti all'interno della struttura del potere; il femminismo non è riuscito nemmeno a pensarsi al di fuori della cultura imperante, al di fuori della struttura del potere. Il massimo che può realizzare certo l'immaginario femminista è un contro-potere, un contro-stato di donne, come nel caso di Phillis Chesler, una delle leader del movimento femminista americano che ha proposto un esercito di donne, un governo di donne, una polizia di donne: lo stato che si duplica e si riproduce.
Non si può parlare di valori nuovi o di uomo-nuovo, ma solo di conquista di potere. Di questo si è ben resa conto l'istituzione che ha già provveduto a recuperare in senso statale e gerarchico i nuovi spunti del movimento femminista. L'esercito delle donne non può essere diverso da quello degli uomini, l'esercito è sempre quello: l'istituzione armata per la quale passano gerarchia, ordine, subordinazione. Non c'è posto per l'uomo o la donna nell'esercito per la semplice ragione che c'è posto solo per gli automi.