Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 94
estate 1981


Rivista Anarchica Online

Anarchici e realtà carceraria

Mi giunge eco, confermata da più parti tramite corrispondenza privata, che i compagni stanno discutendo sui limiti (e non) di un possibile intervento nostro nella realtà carceraria. E mentre si discute un po' ovunque, alcuni gruppi agiscono come meglio possono: tentano di coordinare gli sforzi fatti e da fare, pubblicano riviste allo scopo di mantenere vivo il nostro interesse per la realtà carceraria ed un possibile nostro intervento in questa realtà che non sia limitato ai soli compagni prigionieri, ma a tutti, rischiando talvolta di cadere nell'errore di guardare eccessivamente alla quantità piuttosto che alla qualità. (...)La criminalizzazione delle azioni individuali ha per conseguenza la perdita della libertà per l'individuo; in altre parole la criminalizzazione individuale implica necessariamente la repressione dello Stato - attraverso le sue amministrazioni - contro l'individuo medesimo. Quanto più viene criminalizzata la vita di un individuo, tanto più questo agirà secondo gli schemi imposti dallo Stato e dalle sue leggi: ormai emarginato, vivrà la vita del delinquente, o meglio dell'emarginato. In carcere il detenuto assurge a classe sociale mescolandosi alla folla: ha o sviluppa un proprio linguaggio; i suoi tatuaggi esprimono desideri, passioni, ricordi, ma sono anche il tratto distintivo della sua condizione umana, della sua confusa classe sociale. Non essendo riconosciuto come classe sociale (e forse non vi si riconosce lui stesso come tale) diventa opportunista, perde carattere e costanza, cede al compromesso. Chi vede il detenuto dall'alto al basso vede un individuo limitato, estenuato, inibito, che permane al suo posto, rassegnato a vivere recluso un certo tempo della sua vita, breve o lungo che sia. Soggettivamente, il detenuto è colui che ammette le sue colpe (si autocriminalizza, cioè) sperando di ottenere una pena più mite; è incapace di pervenire alla sua liberazione con le sue sole forze; è costretto a subire la presenza del secondino e la sua prepotenza purché gli siano concessi quei benefici promessi se si "comporta bene" (riduzione pena, semilibertà, lavoro esterno, ecc.).Ma il detenuto è anche colui che, nella folla, lotta, si ribella, pretende migliori condizioni di vita sociale interna, un trattamento più umano, una migliore prospettiva per la sua vita, un maggior rispetto per la sua persona privata e pubblica. In questi momenti, nel corso della lotta, è capace di generosi slanci umani, di un'illimitata solidarietà umana, di una caparbia volontà di realizzare la sua umanità. È quando la folla si agita, quando la folla si ribella e lotta per realizzare se stessa, che è indispensabile il nostro intervento. Quando la rabbia esplode incontrollata, prima che si esaurisca, occorre canalizzarla contro obiettivi specifici: la demolizione, dalle fondamenta, dell'autorità degli organi repressivi dello Stato, le carceri. Occorre rendere praticabile, possibile, il passaggio qualitativo dalla mera rivendicazione soggettiva (migliori condizioni di vita interna) alla ripresa di quanto è stato loro tolto: la libertà. Io credo, ne sono convinto, che una società libertaria sia realizzabile solo attraverso la libertà.In questi momenti, da fuori occorre organizzare manifestazioni di simpatia per i detenuti in lotta, cominciando magari con le famiglie dei detenuti stessi; bisogna rendere attivi, ove siano esistenti, i focolai di resistenza libertaria. Rendere partecipi di queste lotte, di queste proteste, ove possibile, le fabbriche, le caserme, le scuole. Ovunque sia possibile, credo ci si debba organizzare in questo senso. Nel frattempo, occorre intensificare la propaganda anarchica dentro e fuori della realtà carceraria, interessare quanto più è possibile tutti al problema delle carceri, ribadendo sempre e ovunque chi siamo e cosa vogliamo. Quanto più le nostre istanze di libertà riusciranno a penetrare ed influenzare la realtà carceraria, e a sensibilizzare l'opinione pubblica sulla soluzione nostra al problema (una società senza carceri), tanto più sarà possibile per tutti una maggior coscienza della propria condizione e dei mezzi idonei a migliorarla, fino a pervenire ad un più alto grado di umanità. Non sempre raggiungeremo gli obiettivi previsti, quali che siano, ma ce la faremo. Faremo errori, ed altri ne faremo poi; passeremo dalla delusione allo scoraggiamento o peggio; ma sull'errore commesso, sulla delusione acquisita, sullo scoraggiamento nostro fonderemo il patrimonio delle nostre esperienze.Ognuno faccia come crede meglio fare, agisca anche negli stretti limiti delle sue personali idee in proposito: purché si faccia, si agisca, ci si organizzi per non essere colti di sorpresa da nuove e sempre possibili lotte.

Franco Di Sabantonio (carcere di Civitavecchia)