Rivista Anarchica Online
Anarchici e realtà carceraria
Mi giunge eco, confermata da più parti tramite corrispondenza privata, che i compagni stanno
discutendo sui limiti (e non) di un possibile intervento nostro nella realtà carceraria. E mentre si
discute un po' ovunque, alcuni gruppi agiscono come meglio possono: tentano di coordinare gli
sforzi fatti e da fare, pubblicano riviste allo scopo di mantenere vivo il nostro interesse per la
realtà carceraria ed un possibile nostro intervento in questa realtà che non sia limitato ai soli
compagni prigionieri, ma a tutti, rischiando talvolta di cadere nell'errore di guardare
eccessivamente alla quantità piuttosto che alla qualità. (...)La criminalizzazione delle
azioni individuali ha per conseguenza la perdita della libertà per
l'individuo; in altre parole la criminalizzazione individuale implica necessariamente la
repressione dello Stato - attraverso le sue amministrazioni - contro l'individuo medesimo.
Quanto più viene criminalizzata la vita di un individuo, tanto più questo agirà secondo gli
schemi imposti dallo Stato e dalle sue leggi: ormai emarginato, vivrà la vita del delinquente, o
meglio dell'emarginato. In carcere il detenuto assurge a classe sociale mescolandosi alla folla:
ha o sviluppa un proprio linguaggio; i suoi tatuaggi esprimono desideri, passioni, ricordi, ma
sono anche il tratto distintivo della sua condizione umana, della sua confusa classe sociale. Non
essendo riconosciuto come classe sociale (e forse non vi si riconosce lui stesso come tale)
diventa opportunista, perde carattere e costanza, cede al compromesso. Chi vede il detenuto
dall'alto al basso vede un individuo limitato, estenuato, inibito, che permane al suo posto,
rassegnato a vivere recluso un certo tempo della sua vita, breve o lungo che sia.
Soggettivamente, il detenuto è colui che ammette le sue colpe (si autocriminalizza, cioè)
sperando di ottenere una pena più mite; è incapace di pervenire alla sua liberazione con le sue
sole forze; è costretto a subire la presenza del secondino e la sua prepotenza purché gli siano
concessi quei benefici promessi se si "comporta bene" (riduzione pena, semilibertà, lavoro
esterno, ecc.).Ma il detenuto è anche colui che, nella folla, lotta, si ribella, pretende migliori
condizioni di vita
sociale interna, un trattamento più umano, una migliore prospettiva per la sua vita, un maggior
rispetto per la sua persona privata e pubblica. In questi momenti, nel corso della lotta, è capace
di generosi slanci umani, di un'illimitata solidarietà umana, di una caparbia volontà di
realizzare la sua umanità. È quando la folla si agita, quando la folla si ribella e lotta per
realizzare se stessa, che è indispensabile il nostro intervento. Quando la rabbia esplode
incontrollata, prima che si esaurisca, occorre canalizzarla contro obiettivi specifici: la
demolizione, dalle fondamenta, dell'autorità degli organi repressivi dello Stato, le carceri.
Occorre rendere praticabile, possibile, il passaggio qualitativo dalla mera rivendicazione
soggettiva (migliori condizioni di vita interna) alla ripresa di quanto è stato loro tolto: la
libertà. Io credo, ne sono convinto, che una società libertaria sia realizzabile solo attraverso la
libertà.In questi momenti, da fuori occorre organizzare manifestazioni di simpatia per i detenuti
in
lotta, cominciando magari con le famiglie dei detenuti stessi; bisogna rendere attivi, ove siano
esistenti, i focolai di resistenza libertaria. Rendere partecipi di queste lotte, di queste proteste,
ove possibile, le fabbriche, le caserme, le scuole. Ovunque sia possibile, credo ci si debba
organizzare in questo senso. Nel frattempo, occorre intensificare la propaganda anarchica
dentro e fuori della realtà carceraria, interessare quanto più è possibile tutti al problema delle
carceri, ribadendo sempre e ovunque chi siamo e cosa vogliamo. Quanto più le nostre istanze di
libertà riusciranno a penetrare ed influenzare la realtà carceraria, e a sensibilizzare l'opinione
pubblica sulla soluzione nostra al problema (una società senza carceri), tanto più sarà
possibile
per tutti una maggior coscienza della propria condizione e dei mezzi idonei a migliorarla, fino a
pervenire ad un più alto grado di umanità. Non sempre raggiungeremo gli obiettivi previsti,
quali che siano, ma ce la faremo. Faremo errori, ed altri ne faremo poi; passeremo dalla
delusione allo scoraggiamento o peggio; ma sull'errore commesso, sulla delusione acquisita,
sullo scoraggiamento nostro fonderemo il patrimonio delle nostre esperienze.Ognuno faccia come
crede meglio fare, agisca anche negli stretti limiti delle sue personali idee
in proposito: purché si faccia, si agisca, ci si organizzi per non essere colti di sorpresa da nuove
e sempre possibili lotte.
Franco Di Sabantonio (carcere di Civitavecchia)
|