Rivista Anarchica Online
Sulla strategia delle B.R.
In merito a quanto affermato da Roberto Ambrosoli sul n.90 della nostra rivista ("Carceri, bierre,
lotta armata, ecc.), Gianfranco Bertoli si è espresso in una sua lettera ad un compagno di Sondrio
- lettera che è poi stata ciclostilata dagli anarchici di Sondrio e distribuita quale "analisi per un
contributo allo sviluppo dell'azione libertaria". Ne riproduciamo qui la parte centrale.
(...) Così, tanto per fare un esempio, R. Ambrosoli sul suo scritto dà per scontata la
finalizzazione delle azioni dei "brigatisti" all'interno del carcerario come inquadrabile nel
contesto di un tentativo di destabilizzazione dello stato partendo dall'istituzione carceraria. Se
così fosse egli avrebbe ben ragione (e l'ha fatto con efficacia) di affermare la velleitarietà e la
"miopia" di un senile "progetto strategico". Ma è proprio questo l'intento e il proposito degli
stalinisti? Sono veramente così ingenui e sciocchi da poter supporre di portare avanti un
"progetto rivoluzionario" concentrando l'interesse strategico sul carcere? Certo ciò può
apparire sulla fraseologia demagogica dei loro comunicati e ciò può venir creduto (o fatto finta
di credere?) dallo stesso ministro di "grazia e giustizia".Ma, non sottovalutiamo la loro intelligenza.
Ottusamente sclerotizzati nel più imbecille dei
dogmatismi e nella loro arroganza "avanguardistica" sì, scemi del tutto no.A tutte le balle sulla
"distruzione delle carceri" e sulla lotta rivoluzionaria all'interno delle
stesse, possono crederci certi poveri tirapiedi delle "BR", certi "neofiti" e "neoconvertiti" tra la
popolazione carceraria che dai signori del "partito" vengono strumentalizzati con facilità a
causa della loro ignoranza e di un certo "infantilismo" che caratterizza gran parte della
personalità dei reclusi. Possono perfino crederci alcuni nostri compagni (dentro e fuori dalle
galere) a causa di monumentali equivoci ed errori di analisi congiunte ad un entusiasmo
frammisto di ingenuità che ne ha fatto dei perfetti "compagni di strada" (da scaricarsi secondo il
dettame leninista ad una o all'altra "fermata" del percorso).Loro no, loro perseguono un preciso
obiettivo e questo obiettivo è il "PARTITO", quella
particolare forma di partito leninista che essi ritengono essere la più funzionale alle attuali
contingenze storiche. Per cercare di veder realizzate le condizioni ottimali per l'assunzione di un
ruolo preminente al loro partito comunista (che vogliono "combattente") non possono che
favorire con ogni mezzo il processo di militarizzazione della società, la chiusura di ogni spazio
di libertà (seppure formale e "democratico-borghese"), unica condizione per cui essi verrebbero
ad ottenere una specie di riconoscimento al ruolo di "partito guida" attorno al quale coagulare
ogni volontà di opposizione al potere statale. D'altra parte, (e il loro modello organizzativo
tattico non a caso si ispira a quello dell'OLP e di altri movimenti di "liberazione nazionale" che
un certo grado di riconoscimento e di istituzionalizzazione l'hanno ottenuto proprio a livello
internazionale), essi concepiscono la "guerra" (sulla falsariga di un Clausewitz) come "la
prosecuzione della politica con altri mezzi", in ultima analisi come un modo di "far politica".
Nella loro aspirazione di conquista del potere politico non ignorano che così come dalla politica
classica (nel quadro di un contesto legalitario) si può passare a forme di "guerra", dalla "lotta
armata" può essere necessario e conveniente far marcia indietro e scegliere la via "legalitaria".
In ogni caso hanno bisogno di costituire anche un ramo "legale", almeno "ufficiosamente"
riconosciuto e istituzionalizzato che possa svolgere "trattative" di tipo politico e fungere da
ufficio di "pubblic-relations". Se al tempo del caso Moro le loro richieste fossero state accettate
e avessero potuto ottenere la scarcerazione e la concessione di una specie di "asilo politico" in
qualche stato estero per un certo numero di loro più o meno "autorevoli" rappresentanti, si
sarebbe realizzata questa parte del loro progetto.In mancanza di quel risultato sono ripiegati (e lo
dimostra la vicenda D'Urso e di Trani) sul
tentativo di ottenere (proprio in forza di quelle parziali caratteristiche di "extraterritorialità"
che appartengono al carcere) il riconoscimento istituzionale dei loro "Comitati di lotta" quale
interlocutore delegato e "autorizzato" a mediare il rapporto con l'opinione pubblica e con le
autorità ufficiali. Ma per poter sperare di realizzare questo essi debbono fare di tutto per
affermare la loro egemonia assoluta e la loro capacità di "mobilitazione" e "smobilitazione"
all'interno delle carceri. Tutto il resto è fumo e mistificazione. In questo contesto quale ruolo
possono svolgere quei quattro gatti di anarchici, "quasi anarchici" o "ex-anarchici", che si
trovano nelle carceri italiane?L'unica scelta è tra quella di cercare di preservare la propria
identità politica e umana
rimanendo coerenti con il proprio anarchismo, (ma allora si rischia di vedersi scaricare
addosso tutta la ostilità e gli intrighi manovrati dagli stalinisti) oppure quella più facile (e,
paradossalmente, facilmente ammantabile di vesti seducenti) di accettare il ruolo di utili idioti al
servizio dei signori del "partito" e del "potere rosso". (...)
Gianfranco Bertoli (casa circondariale Marino del Tronto - AP)
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