Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 94
estate 1981


Rivista Anarchica Online

Anch'io custode

A Giorgio Meneguz, autore dell'articolo "Io, custode" (pubblicato sull'ultimo numero di "A") e a tutti i compagni interessati a questo argomento.

Accolto l'invito alla discussione sulle nostre esperienze "circa la psichiatria" mi ritrovo, forse, in posizione di chi delude le aspettative: dici la tua impotenza, accenni a situazioni più avanzate ed io, con questa lettera, ti faccio fare un salto indietro, riportandoti là dove l'impotenza è esasperata dalla mastodontica pressione dell'istituzione manicomiale. Da due mesi presto servizio, come tirocinante non pagata, nell'ospedale psichiatrico di Pergine (Trento), struttura moribonda che conta ancora circa cinquecento degenti più o meno cronici (non nel senso di malati cronici, bensì di psichiatrizzati cronici), in cui non sono più permessi ricoveri e che aspetta la morte di questi "residui psichiatrici". Residuo psichiatrico, leggi lungodegente psichiatrico con sintomatologia ancora attiva (così vengono chiamati i degenti da certi psichiatri illuminati).Cercherò di spiegare a te e agli altri compagni/e, a cui interessi, il motivo di questa mia scelta. Perché ho scelto di operare proprio in manicomio? Non riuscendo a concepire, nel contesto attuale, un ruolo della psichiatria se non come principalmente repressivo, eventualmente sintomatico ed accidentalmente terapeutico, sono mossa dal desiderio di conoscerne la forma più brutale: il manicomio. Il manicomio dunque come forma originaria di repressione, da cui sono nate le più recenti istituzioni, pardon, i più recenti servizi psichiatrici, diversi apparentemente da ciò che li ha generati ma, credo, intimamente simili. Penso che l'unico modo per sfuggire alla repressione psichiatrica sia il non ricorrere mai ad uno psichiatra, ad un servizio. Con questo non voglio negare l'esistenza di situazioni angoscianti per la persona portatrice di sintomi e per chi le sta intorno, angoscia esistenziale e relazionale che richiede, con la sola sua esistenza, cambiamenti individuali, ma anche familiari e sociali (i tre, se non si vuole seguire la logica del cambiare quel tanto che basta per non cambiare affatto sono, a parer mio, inscindibili). Voglio piuttosto ribadire il solito, stanco, invito alla non delega: non deleghiamo il superamento e la cura del disagio psichico a chi potrebbe tuttalpiù darci qualche consiglio.Tutto questo ho detto perché è ciò che penso, è vero, ma l'ho detto forse anche per non parlare del manicomio. E non ne parlerò, se ne è già parlato troppo; non parlerò neppure di chi più direttamente ne subisce il peso mortale, né degli infermieri-secondini angosciati quasi quanto i malati. Soltanto una cosa vorrei aggiungere: non essendo stata assunta da nessuno non mi viene richiesta, ufficialmente, alcuna prestazione: contrariamente ai miei colleghi stipendiati (che non hanno, meglio, non trovano il tempo per rapportarsi con chi sta loro vicino, riconoscendosi in questo modo nel ristretto ruolo assegnatogli dall'istituzione, dal quale, peraltro, non possono uscire se non rischiando il licenziamento) non sono tenuta a produrre, nessuna delega di potere dunque, nessun tipo di potere ho all'interno dell'istituzione e questo, ovviamente, non mi dispiace affatto. Più o meno tollerata dal personale psichiatrico, mi limito a fare l'unica cosa che mi interessi realmente, cercare cioè di stabilire con i degenti (non avrebbe senso parlare di utenza in questo caso: anche se i degenti fossero volontari lo sarebbero per forza) un rapporto comunicativo: cercare di accettare, per riuscire a comprendere, la loro/mia angoscia operando sulle mie stesse difese. Ciao.

Nelly Dujany (Padova)