Rivista Anarchica Online
L'utopia sogno d'anarchia
di Pernelle
Fra il 5 ed il 7 giugno s'è tenuto in Normandia un incontro sull'utopia, tappa riassuntiva, di
riflessione e confronto, di quel progetto di studio promosso dal Centro Studi Libertari di Milano
e dal Centre International de recherches sur l' anarchisme di Ginevra, che avrà un importante
momento pubblico nel convegno del 26-27 settembre a Milano. Uno dei partecipanti a
quell'incontro ce ne ha inviato un breve resoconto, in stile letterario: i nostri lettori potranno
divertirsi, se lo vogliono, ad identificare, dietro i nomi di fantasia, alcuni degli autori delle
relazioni pubblicate su "A" ed in corso di pubblicazione su "Volontà".
Nel giugno scorso, un breve viaggio organizzato dalla Utopia Illimited ha riunito 25
compagni,
ciascuno dei quali portava un suo sogno utopico. Un'indiscrezione ci ha consentito d'entrare in
possesso di una lettera personale scritta da nessun luogo...
Quando giungemmo dall'altro lato del fiume, Nicola, dopo un viaggio dai mille tormenti di cui ti
risparmio la narrazione, le bellezze del sito che s'offrivano ai nostri sguardi superavano ogni
nostra aspettativa. Gli Utopiani ci avevano predisposto il vitto e l'alloggio, una moltitudine di
luoghi e di non-luoghi per farci sentire a nostro agio, ed una moltitudine di piatti per blandire i
nostri palati. Tieni presente che eravamo così poco sicuri di noi stessi, nel partire per l'orizzonte,
che avevamo voluto tentare l'esperienza in pochi, prima d'invitarvi in più gran numero: ed ecco ci
qua a rimpiangere che il viaggio dovesse finire.... Abbiamo operato la rottura, attinto l'irrealizzabile? Abbiamo
reso possibile l'impossibile? Quanto
meno eravamo in uno spazio da esplorare, sperimentavamo uno dei modelli. E tentammo allora
di parlare da altre forme e d'altre funzioni. - Il movimento sociale s'addormenta, disse uno dei Saggi, non ci resta
che ritornare ritualmente
alle origini, al tempo mitico, per garantirci la permanenza nella storia; un bel giorno il nostro
immaginario utopico incontrerà l'immaginario sociale, e nella topia si produrrà la rottura, e si
farà
la rivoluzione. - Perché è proprio quest'immagine d'un futuro che nega il presente, disse l'altro
Saggio, d'un
altrove che nega il qui, che ci spinge ad una trasformazione radicale e ci spinge a rientrare nel
presente per cambiarlo. - Ed è così, riprese il primo, che l'utopia non è nel futuro ma
nella rottura, vale a dire nel
presente, ed insieme nell'infinito della storia. Sirius allora profferì queste parole: - L'uomo non ha
luogo, non ha dimora, egli non fa che passare da un non luogo ad un altro; ma il
potere occulta la differenza, riduce le complessità, limita l'utopia al campo estetico. Sta a noi
d'assumere l'oscillazione perpetua fra indeterminato e determinato! è in gioco la stessa libertà
collettiva. Ma uno degli Hobbits non era d'accordo: - Non c'è rottura, tutti i nostri desideri d'un altro
mondo ricostituiscono il mondo nel quale
viviamo; il mondo resta uguale ed è differente, noi vogliamo un'altra cosa ed allo stesso tempo
ciò che è l'ordine e la libertà, la sicurezza e l'avventura! - Peggio ancora, aggiunge un
altro Hobbit, l'utopia imita la realtà, istituisce uno stesso ordine od
il suo rovescio, ed è dopo, quando la rivoluzione o la reazione è al potere, che si chiama utopia
ciò che è fallito.... L'attimo di sbandamento che ebbimo allora! Ma gli Hobbits fortunatamente
si dichiararono
pronti ad esplorare con noi i vaghi territori delle nostre parole. Allora l'Indiano delle praterie ci
parlò dello scambio, del valore, dei bisogni. A te, che tanto hai cercato la pietra filosofale,
Nicola, spiegherà lui un giorno, meglio di quanto possa fare io, l'equivalenza generalizzata
(poiché il potere occulta la differenza), la reificazione del valore, e come uscirne tramite la
moltiplicazione multiforme dei contratti. Altri Indiani parlavano dell'esilio, del pianto, dell'opera d'arte,
dell'orgasmo e dell'erotismo - in
breve, ognuno parlava del suo pallino. - Parole, parole! Gridò il Civilizzato. Non sapete che il linguaggio
è il determinato, dunque il
potere, dunque la repressione? Come osate parlare d'utopia senza tradirla, senza travestirla? Il primo Hobbit
seppe rispondergli che noi abbiamo questo solo strumento, il linguaggio, sia per
cambiare sia per conservare ciò che esiste. Chiuso l'incidente, andammo a ristorarci; o forse fu in
un altro momento o in un altro altrove, ma io non faccio che raccontarti il mio sogno così come
voglio ricordarmelo. Poi fu il mio turno e parlai delle nostre ricerche, dal momento che così sovente si
ritornava
all'infinito ed al molteplice: come ed in quali condizioni fare del moto perpetuo una realtà? Ho
raccontato di orologi e di ologrammi, delle macchine per viaggiare nel tempo e dei loro
paradossi, dei problemi dell'energia e dell'entropia, di Maxwell e dei suoi diavoletti, di Moebius e
del suo nastro; ho raccontato come avessimo osservato i vortici che si formano da una goccia
d'inchiostro lasciata cadere in un boccale d'acqua, e come ci fossimo interrogati sulle forze e sulle
loro forme; dissi come, tornando coi piedi in terra e guardando con occhio nuovo ciò che ci
circonda, avessimo constatato che la società stessa produce un'energia rinnovabile proprio mentre
cerca di domarla. Sirius costatò che l'anomia rientrava benissimo nella sua teoria della differenza:
l'Indiano delle
praterie si mise a disegnare vortici di contratti; dalle sigarette s'innalzavano vortici di fumo; il
registratore s'avvolgeva a spirale, imperturbabile. I Guardiani del museo ci insegnarono che non eravamo in
cattiva compagnia, in questo viaggio:
non eravamo con quelli che sognarono la fine della storia, ma con quelli che, innumerevoli,
fecero il passo temerario di criticare il potere in quanto tale, di andare al di là dei possibili, di
vivere l'utopia: comunità libertarie negli Stati Uniti, architetti fourieristi, pratici dell'anarchismo,
ragazzi di borgata, tutti hanno avuto ed hanno le loro utopie, le loro illusioni, le loro collisioni.... Fu il museo
che ci riportò paradossalmente al quotidiano del movimento. Sapevamo ancora in
che campo eravamo? I prati invitavano ad andare a zonzo, il vino alla siesta, la sala di riunione ai
casti discorsi.... Ma eravamo in procinto, gli uni e gli altri, di ripassare il fiume. Allora fu detto, Nicola, che la
funzione utopica in sé è neutrale, che non ha né fini né mezzi, ma
che nello stesso tempo capovolge l'immaginario, favorisce le condensazioni, che può essere forza
destrutturante e creatrice, e piacere. Noi, attaccati come siamo ad un progetto, a dei valori, noi
avremmo la pretesa di far rientrare la dimensione utopica nel movimento sociale, e con quella
tensione stessa dare forza e vita al nostro progetto. Che a sua volta genererà altre utopie, altri non
luoghi, altre asimmetrie che riequilibreranno e destabilizzeranno all'infinito, come i nostri
desideri, come i nostri sogni. Ritorneremo in utopia, per meglio scrutare i nostri lidi quotidiani.
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