Rivista Anarchica Online
L'abortotruffa
di AED femminismo
Il movimento femminista è cosparso di corone di crisantemi e quanto più la logica
legalitaria
delle iniziative "emancipatorie" soppianta la logica della libertà e dell'autonomia ammazzando
entusiasmi e energie di migliaia di potenzialità rivoluzionarie, tanto più il movimento assomiglia
ad un tetro cimitero. Eppure, si stacca quasi sfacciato e stranamente vivo un gruppo di
femministe che noi abbiamo, come dire?, scoperto in occasione degli ultimi referendum. È stato
un volantino esplicito e chiaro contro il voto che ci ha messo in contatto. Le compagne dell'AED
femminismo sono di Bergamo, hanno alle spalle undici anni di attività in
un consultorio politico culturale da loro gestito che è diventato il riferimento delle donne che
vogliono superare la barriera dell'informazione conformistica per entrare nel vivo dei problemi
e delle soluzioni degli stessi: contraccezione autogestita (self-help), aborto, separazioni, ecc..
Unico sbocco alle panie di un sistema burocratico umiliante. Ancora oggi dopo l'esito del
referendum sull'aborto che ha fotografato le donne nell'atto di difendere la loro servitù
volontaria allo stato, le compagne dell'AED femminismo sostengono che questa foto è un
montaggio fotografico, una montatura gestita dai partiti laici e da quel gruppo di arriviste
sedicenti femministe che dai partiti e dal potere sono usate per strumentalizzare le masse
femminili. Ne hanno la prova giornalmente, quando le donne, una per una, chiedono l'aborto
libero, tempestivo, senza strettoie e umiliazioni. Queste donne che pure hanno votato e votato
per la proposta più istituzionale, obbligate dalla necessità a conoscere le regole della legge e
informate sullo spirito di tutte le leggi, si stupiscono, inorridiscono, esclamano, una per una:
ma, allora, mi hanno truffata! Sì, truffata da un mito che è stato inoculato
profondamente nel tessuto sociale fino a diventare
humus di una mentalità, il mito della democrazia al servizio del popolo mentre altro non è che
un gioco di specchi, un gioco di maggioranze inesistenti costruite col raggiro e l'inganno, perché
i pochi continuino ad assoggettare e ad amministrare i molti. Truffate, continuano le compagne
dell'AED, anche dalla stampa di sinistra, e dalla stampa cosiddetta femminista (Effe, Quotidiano
donna, ecc.) che ha detto cose non vere e ne ha taciuto altre che avrebbero dovuto essere dette,
fra cui le proposte di questo gruppo nei confronti del quale invece hanno adottato da sempre il
più rigido silenzio. Le compagne dell'AED sono particolarmente sprezzanti contro il potere
della sinistra sedicente
alternativa e i "giornalacci" del femminismo istituzionale che ossessivamente sbandierano
massima disponibilità alla pubblicazione di voci diverse solo per crearsi una facciata di
credibilità culturale, e tradiscono questo importante compito comportandosi pari pari come la
stampa laica di regime. Alla nostra redazione le compagne dell'AED chiedono di pubblicare i
volantini sull'aborto, che mai hanno trovato luce sulla stampa per avviare un dibattito
spregiudicato e spaccare l'isolamento di coloro che sono rimasti attaccati alla libertà. Nel
pubblicarne gran parte, facciamo nostro il loro invito ad aprire un dibattito sull'argomento
e al contempo forniamo il loro recapito per coloro che volessero mettersi in contatto
direttamente con loro: AED, passaggio C. Lateranensi 22, 25100 Bergamo.
autunno 1976
L'AED sottolinea come l'aborto che la classe dirigente al potere ci vuole propinare, ossia l'aborto
su autorizzazione, va rifiutato e ostacolato con tutti i mezzi, in quanto espressione e strumento
tipico e inconfutabile della pianificazione autoritaria della popolazione. Le motivazioni morali e sanitarie per
regolamentare l'aborto addotte dalla classe al potere
vorrebbero mascherare la sola vera ragione che guida il potere costituito, da sempre, nel controllo
della fertilità dei "sudditi": l'interesse di un equilibrio, economicamente funzionale e
finanziariamente remunerativo per la classe egemone, fra il numero della popolazione e la
cosiddetta produttività del paese. Delegare la classe dirigente, tramite commissioni o singoli esperti, alla
valutazione di ciascun
caso di aborto significa dare spazio all'arbitrio degli "specialisti del comportamento" (psicologi,
sessuologi, sociologi, ecc.) che adepti e rappresentanti di quella cultura che ha fatto di questo
mondo un mondo diviso in un'assurda gerarchia di classi, non potrebbe che perpetuare
l'oppressione sulle donne, ancor oggi - nonostante i mutati valori - considerate strumenti
riproduttivi governabili secondo i mutabili interessi della classe al potere. Accettare il principio dell'aborto
regolamentato non significa solo accettare il principio di un
intervento dello Stato sul "numero" della popolazione, ma anche e inevitabilmente un intervento
dello Stato sulla "qualità" della popolazione, attraverso un ormai prossimo controllo eugenetico,
"progetto" in auge nella Germania nazista, in seguito apparentemente scomparso e ora
riemergente sotto le spoglie del cosiddetto buonsenso in tutte le strutture di recente o di prossima
costituzione. Non dimentichiamo l'esperienza di Seveso dove non passò il principio della libera scelta
della
donna, e dove i pochi casi di aborto furono accettati con motivazioni eugenetiche, le stesse che,
purtroppo, anche i gruppi impegnati a favore dell'aborto sbandierarono per accattivarsi l'opinione
pubblica. Dosare la popolazione per ragioni economiche, eliminare i malformati, fa comodo a molti. La
sola difesa che ci resta ad una pianificazione verticistica con intenti di supervisione quantitativa e
qualitativa è la libertà di scelta degli individui. La consapevolezza, ormai acquisita, che la
contraccezione e l'aborto possano essere vissuti come
pratiche liberatorie se scelti dall'interessata, o come pratiche repressive se controllati dall'alto,
deve far uscire i tiepidi dall'equivoca posizione di chi accetta soluzioni intermedie tipo "aborto
legale" come passaggio obbligato ad una situazione ottimale, cioè, nella fattispecie, aborto libero.
Solo l'ignoranza o la malafede permettono questo equivoco. Per il potere l'aborto legale è la situazione
ideale in quanto lo "specialista" adducendo
motivazioni sanitarie come alibi, può generalizzare nella pratica l'aborto libero quasi al cento per
cento, oppure renderlo quasi inaccessibile contenendolo a percentuali limitate, se lo riterrà di
"interesse sociale", o meglio di Stato. Inoltre, la consapevolezza che la scelta individuale è inficiata
sovente da una realtà esterna
oppressiva, non deve condurre a involute posizioni intellettuali di contestazione alla libera scelta
come frutto di un individualismo antisociale. Altre battaglie renderanno questo diritto più vero.
marzo 1978
Le involuzioni contorte e perniciose delle "intellettuali" pregne di cattolicesimo che raccontano le
personali esperienze d'aborto tra sangue e torturatori - descrizioni scomparse perfino da Famiglia
Cristiana - (resoconto della Maraini, L.C.10.2.'78) e le farneticanti chiacchierate col feto (Lettera
ad un bambino mai nato, Fallaci), ecc., ci convincono sempre di più che la borghesia, anche
quella "femminista", è marcia, falsa, invadente e fuori dalla realtà proletaria e a maggior ragione
da quella rivoluzionaria. Cioè fuori dalla realtà del bisogno delle donne economicamente e
culturalmente più povere, e fuori dalla lotta per la liberazione. Nel passato era la cultura clericale che
seminava il terrore associando l'aborto al sangue e alla
morte - senza distinguere fra aborto dei poveri e aborto dei ricchi -; oggi il compito di
terrorizzare le donne si è trasferito alle "femministe". Gli sfoghi personali delle varie Maraini
dominano la stampa di destra e di sinistra, vengono sbattuti sulle donne, diventano azione
politica, condizionano il "movimento". IL MESSAGGIO ABORTO = VIOLENZA, IMPERA
INCONTRASTATO. Un messaggio che devia la lotta delle donne dall'obiettivo primario contro lo Stato Padrone
su
quello, secondario, del medico sadico e speculatore. Sembrava che la chiarezza sull'obiettivo dell'aborto libero
fosse raggiunta. E invece, grazie alla
noia borghese, il "femminismo" riesce a collaborare col "potere" o perlomeno a imbrogliare a tal
punto le carte da portare alla confusione delle idee e alla paralisi del "movimento". La Maraini: "un lettino duro
e macchiato di sangue... scavata dal vivo... tagliata senza anestesia
per mezz'ora... gli occhi (del medico) dietro le lenti spesse...". Elucubrazioni da letterata. Di
certo, si può giurarlo, lei donna della classe abbiente non ha abortito così. C'è nel resoconto
della
Maraini un indulgere sulle figure tradizionali dell'aborto dei poveri. C'è il morboso piacere di
descrivere i dettagli e sottolineare i particolari che atterriscono. Forse un breve pezzo di
letteratura. Ma non ci serve. Le autobiografie delle donne del bel mondo si sprecano, oggi, ma,
onestamente, se tanta cultura porta a tanta confusione, è meglio la cultura proletaria che, per
quanto condizionata da quella borghese, ha pur sempre un suo recupero che viene dal bisogno. Se
la Maraini ha vissuto l'aborto come la torturata consenziente, se ritiene di avere interiorizzato il
ruolo di vittima, se ha instaurato un rapporto di complicità col torturatore, peggio per lei. Sono
fatti suoi. Nostre invece sono le conseguenze di una siffatta generalizzazione. Se al posto del compiacimento
esibizionistico che vede le leaders del "movimento" sempre più
allucinate e in competizione nel tentativo di giungere per prime alla scoperta di risvolti
sconosciuti delle implicazioni dell'aborto, questo "stato maggiore" del movimento avesse
organizzato valide strutture dove abortire e avesse costruito i consultori femministi per
l'informazione, l'analisi e la crescita politica delle donne, oggi, dopo anni, avremmo la forza non
di piangere, ma di agire concretamente per la rimozione dei ruoli e quindi in parte anche dello
stesso aborto. Le varie Maraini, oggi, hanno invece la sola preoccupazione che le proletarie non
capiscano fino in fondo la violenza culturale dell'aborto, e allora glielo descrivono a luci fosche. I
soliti meccanismi educativi di classe. E così il coro lagnoso, sterile e dannoso da mesi si alza dalla
stampa di sinistra e si unisce
all'unisono a quello degli integralisti cattolici che hanno potuto, in una situazione così
favorevole, presentare l'inqualificabile proposta per la "difesa" della vita. Proposta, degna dei
tempi fulgidi del nazismo, che, probabilmente, ha il principale scopo di spostare il dibattito
parlamentare e i relativi equilibri legislativi a livelli più arretrati affinché il "potere" abbia l'alibi
per arroccarsi su posizioni di aborto legale (ossia su autorizzazione), nella totale preclusione
dell'aborto libero (ossia deciso dalla donna). (...) L'aborto libero dà la possibilità di difendersi
contro gli interessi del "potere" e il disinteresse dei
"compagni"; è un diritto della donna indipendentemente dalle contingenti situazioni sociali,
economiche e culturali che ne condizionano la scelta. Quelle condizioni che devono essere
modificate nel tempo sotto la spinta della continua analisi e della lotta di classe. Finché non
arriveremo a questa lineare definizione, serenamente, senza complessi, saremo fottute. Il
parlamento ci passerà sulla testa, calpesterà i nostri diritti, e medierà tra la forza del
"movimento
per la vita" e i "distinguo" intellettuali, ci tirerà dietro l'aborto legale che certo non coincide con i
nostri interessi e ci troveremo a fare i conti con le pastoie burocratiche delle pubbliche istituzioni
ospedaliere, amministrative e giudiziarie. Chi pagherà, come sempre, è la donna povera. Quindi i
"distinguo" intellettuali colpiscono a morte lei. In questa dimensione autodistruttiva si colloca anche la scelta
delle compagne di via del Governo
Vecchio che promettono di denunciare tutti i medici abortisti della zona, a seguito di uno
spregevole caso di stupro. È allucinante. Siamo con loro nell'indignazione. Siamo con loro per la
denuncia del colpevole. Non siamo con loro se vogliono strumentalizzare questo fatto per
sostenere che l'aborto è violenza e dar la caccia all'untore. Sarebbe come sostenere che il diritto
alla salute e alla casa non sono obiettivi validi perché ci sono le speculazioni. Non regge. Quando
avremo spezzato le catene legali e costituzionali che ci vietano l'aborto potremo
prendercela con i medici speculatori. Ma fintanto che l'aborto è proibito e il medico rischia la
galera, fintanto che noi donne abbiamo bisogno di abortire (perfino le intellettuali abortiscono) e
dobbiamo ricorrere ad un medico maschio per risolvere il problema immediato (dato che non
siamo ancora organizzate), bene, fino allora, i medici che ci praticano l'aborto, anche se a
pagamento, non vanno colpiti. Denunciare i medici perché fanno l'aborto indica solo il livello di
stupidità di certe donne. Ci siamo domandate dove vuole parare il tentativo di complicare il problema
dell'aborto da parte
di certi settori del femminismo. E, forti della convinzione che pensare male è brutto, ma ci
azzecchi quasi sempre, abbiamo puntato la nostra attenzione sulla provenienza dei "garbugli". Ci
pare così di notare che nel pompaggio delle implicazioni economiche, sociali e sanitarie
dell'apporto ricorrenti nelle analisi di certe femministe, non c'è nessuna soluzione politica
globale. Non c'è la rivoluzione che comporterebbe automaticamente la violenza (al contrario
dogmaticamente contestata da queste stesse "femministe"), ma c'è una proposta assistenziale che,
attraverso le istituzioni, vedrebbe queste "femministe" proporsi come psicologhe, assistenti
sociali, sociologhe, ecc., per risolvere i problemi delle proletarie. Gli stipendi verrebbero pagati
con le tasse dei proletari. Il settore terziario (dei parassiti) si amplierebbe. Le figlie della
borghesia (impegnate a "sinistra") troverebbero un posto sicuro. La disoccupazione femminile
borghese scomparirebbe. La sicurezza economica smorzerebbe le rivendicazioni.
L'emancipazione della donna sarebbe garantita. La sua liberazione fottuta. Per sempre. Attraverso una
"assistenza" forzata del proletariato, ampi settori del "femminismo" stanno
collaborando, se non architettando, una nuova oppressione delle donne, e questo in nome del
sociale. Forse andrebbe brevemente chiarito che il problema dell'aborto è sociale nel senso che la
società deve provvedere all'esigenza del singolo e non nel senso che la società deve decidere per
il singolo.
novembre 1980
Queste donne di partito: Unione Donne Italiane, Collettivi Donne di Bergamo, Segreteria CGIL
Bergamo, Coordinamento Donne F.L.M., Segreteria UIL, F.G.C.I.: Vogliono l'aborto su autorizzazione e temono
l'aborto libero. Sono così abituate a considerare le donne incapaci di intendere e di volere (su loro
immagine e
somiglianza) che si battono per una struttura pianificata e antifemminista. Confondono l'aborto libero con
l'aborto privato. Confondono l'aborto privato con l'aborto clandestino. Confondono l'autodeterminazione
con l'aborto gratuito. Confondono l'aborto gratuito con la libertà. Addebitano la loro
colpevolizzabile anima cattolica (anche se rosata PSI o PCI), alle altre donne. Contestano alla pari il referendum
clericale e quello laico radicale, perché loro (UDI ecc.)
mangerebbero anche la merda pur di mangiare. La loro passività critica gli ha impedito di approfondire
anche solo a livello elementare la
funzione pianificatrice e di controllo dell'aborto di stato e dei consultori di stato che loro
unidirezionalmente auspicano. La loro miopia fa loro contestare l'obiezione di coscienza in toto, senza
riconoscerne nell'essenza
e nel valore di esemplarità la funzione di salvaguardia del diritto del singolo di vivere
coerentemente con le proprie idee (valida indipendentemente dalle possibili strumentalizzazioni). La loro strada
è quella totalitaria: Aborto di stato senza alternativa. Così abituate ad obbedire da sconvolgersi
solo all'idea che possa sussistere una possibilità
alternativa a quella del monopolio di stato. Così stupide da non saper concepire almeno una convivenza
tra l'aborto di questo Stato, gratuito
ma velenoso, e l'aborto privato. Realtà già esistente in qualsiasi altro tipo di intervento
medico. Così antifemministe da non cogliere nelle strettoie della burocrazia di stato una profonda
violenza alla dignità della persona. Così cieche da non vedere che lo speciale trattamento
vincolante alla struttura pubblica è
riservato solo all'aborto, e quindi, solo alle donne. Alcune così subdole da avere adottato in altre
città la prassi della delazione contro medici che
praticano l'aborto alle donne escluse dalla legge. Così staliniste, moraliste e dogmatiche da imporre alle
donne la nuova versione "educativa":
L'ammissione pubblica dell'aborto, senza il rispetto di situazioni personali o culturali che
rendono questo moralismo violento quanto lo è il veto dei preti. Così false da ricorrere
all'utilizzo di sigle riciclate, vuote o inesistenti a sostegno di una tesi che è
loro e non del femminismo.
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