Rivista Anarchica Online
Cronache sovversive a cura della Redazione
Condannata Monica Giorgi
Lunedì 13 luglio si è concluso a Livorno il processo contro una quindicina di imputati
per fatti
di "terrorismo", in gran parte detenuti da oltre un anno: tra di loro ricordiamo gli anarchici
Gabriele Fuga e Monica Giorgi. Sette imputati sono stati assolti, compreso il compagno Fuga,
avvocato milanese attivissimo nella difesa dei detenuti politici: la sua scarcerazione ha subito
però un ritardo di qualche giorno, perché nel frattempo era stato colpito da un altro mandato di
cattura in seguito alle dichiarazioni del "pentito" Michele Viscardi (mandato di cattura che è poi
stato revocato, su istanza dei difensori di Fuga). Complessivamente sono stati inflitti 38 anni di
carcere. La condanna più dura ha colpito Monica Giorgi: 12 anni e 6 mesi (dei quali 2 anni
condonati),
interdizione dai pubblici uffici, 3 anni di libertà vigilata dopo la scarcerazione. Questa
condanna ha sorpreso un po' tutti per la sua palese infondatezza: il lungo processo (iniziato l'11
maggio) aveva infatti messo in luce l'assoluta inconsistenza delle "prove" dell'accusa, frutto
delle dichiarazioni di due "collaboranti" (Enrico Paghera e Vincenzo Oliva) la cui credibilità è
stata definitivamente affossata durante il loro interrogatorio in aula. Sottoposto ad una
pressante richiesta di chiarimenti e di precisazioni, Paghera preferiva chiudersi in uno sdegnato
silenzio rifiutandosi di proseguire nella sua "collaborante" testimonianza: meschina figura,
messa in risalto anche dalla stampa locale (La Nazione, Il Tirreno) costretta a sottolineare la
labilità del castello accusatorio. Paghera si beccava anche una denuncia per calunnia da parte
di alcuni imputati ed avvocati. Peggiore ancora la prestazione di Oliva, le cui dichiarazioni
erano talmente contraddittorie che lo stesso presidente della corte lo faceva tacere e lo invitava
ad andarsene. Anche i riscontri e i riconoscimenti erano risultati a favore dell'innocenza di
Monica, coerentemente con quanto da lei proclamato fin dal suo arresto nell'aprile dello scorso
anno e successivamente ribadito con lettere ai compagni, pubblicate anche sulla nostra
rivista. Nonostante tutto ciò, nonostante le "rivelazioni" di Paghera non si riferissero ad
altro che a
quanto avrebbe sentito dire da Salvatore Cinieri (assassinato quasi due anni fa in carcere),
contro qualsiasi evidenza ed ogni senso di giustizia, Monica Giorgi è stata condannata. È una
condanna politica, che ha tutto il sapore della vendetta del potere. Monica è stata infatti
un'attiva militante anarchica dai primi anni '70 fino al '78, impegnata nella solidarietà e nelle
campagne di difesa dei detenuti politici, oltreché in altre attività sociali, nell'organizzazione di
dibattiti, nella propaganda anarchica. Chi - come noi - la conosce da anni, sa bene con quanta
generosità ed entusiasmo, al di là di differenti opinioni e valutazioni, abbia portato avanti
questa sua attività. Da segnalare anche l'attentato commesso e rivendicato dai fascisti, che
la notte del 23 giugno
(quando il processo volgeva al termine) hanno incendiato gli appartamenti della madre di
Monica e di un vicino di casa, mandando inoltre in frantumi i vetri dell'intero edificio. Più grave
ancora dell'attentato appare la mancata risposta da parte delle forze di sinistra
(tradizionalmente in maggioranza a Livorno), che pure in un recente passato erano scese
compatte in piazza dopo che i fascisti avevano bruciato una bacheca del PCI. L'attentato contro
l'appartamento di una donna anziana, vedova, malata, colpevole di essere la madre di
un'anarchica processata per "terrorismo", evidentemente, non vale quanto una bacheca
bruciacchiata. Contro la sentenza di condanna di Monica Giorgi si sono pubblicamente espressi
a Livorno,
oltre al "Comitato di solidarietà per Monica Giorgi e per gli altri detenuti politici", la
Federazione Anarchica Livornese, Democrazia Proletaria, il Circolo politico-culturale "La
Comune - Rosa Luxemburg" ed il periodico locale Livornocronaca. Anche i quotidiani locali,
pur istituzionalmente allineati con il potere, hanno mostrato la loro sorpresa (Hanno creduto
al
pentito Paghera titolava a tutta pagina Il Tirreno del 14 luglio). Sconvolta per la sentenza,
Monica non si è alimentata per vari giorni, dopo la condanna: in stato di debilitazione,
all'insaputa di avvocati e familiari, è stata trasferita nel supercarcere femminile di Messina.
Rivolglio la mia libertà
Ecco la dichiarazione pronunciata da Monica, prima che la Corte si ritirasse per emettere la
sentenza.
La mia attività politica, di propaganda di idee libertarie ed egualitarie, sin dal 1975 a
tutt'oggi, è stata inquisita e costantemente seguita dalla questura e dagli uffici giudiziari di
Livorno e zone vicine. Basterebbe questo dato per poter dire che è incredibile
che qualcuno possa aver pensato di
avvicinarmi per preparare un fatto come quello di cui mi si accusa. L'altro dato - che
non è stato sufficientemente sottolineato dai miei difensori - è che,
nonostante i sospetti e le inquisizioni su di me, proprio in ordine al tentativo di sequestro, io
ho continuato a fare la mia vita normale, di sempre, salvo un parziale disimpegno di
carattere politico che spero di aver sufficientemente chiarito durante la mia deposizione in
quest'aula e che può essere compreso da tutti, dati i precedenti di inquisita e minacciata.
Ma non sono né fuggita, né mi sono nascosta. Ma ho continuato il mio lavoro-studio-sport.
Pertanto ribadisco la mia totale estraneità alle imputazioni rivoltemi. Non ho
partecipato a nessuna banda armata. Ho partecipato invece a dibattiti, a
discussioni politiche, a problemi sociali del nostro tempo, sempre pubblicamente. Ho
insegnato quanto nocivi siano lo sfruttamento e l'oppressione, usando la ragione, con
critica accesa e polemica rivoluzionaria, che non sono strumenti illegali. Non ho mai
terrorizzato nessuno, sono stata io, invece, minacciata in continui e svariati
modi, sono stata io terrorizzata anche recentemente con un attentato rivolto contro la mia
persona e i miei familiari. Non ho architettato né concepito nessun sequestro. Sono stata io,
invece, sequestrata per più di un anno in base ad inique misure di carcerazione
preventiva. Sono stata io rinchiusa in un buco di pochi metri quadrati di spazio e di
aria, davvero
ristretto rispetto alle mie sei ore di sport agonistico che svolgevo quotidianamente. Sono
stata io rinchiusa in una gabbia, come un animale feroce, che feroce non è, come la gabbia
vorrebbe far credere. Non ho ferito nessuno, né con armi, né con atti,
né con parole. Sono stata io invece ferita nel
mio più intimo, nella mia dignità, attraverso ignobili mistificazioni sulla mia persona,
umiliata dalle calunnie, dai sospetti, dalle criminalizzazioni preventive. Non ho mai
rapinato nessuno e di niente. Sono stata io, invece, rapinata di tutto, cioè dei
miei affetti, dei miei sentimenti, dei miei rapporti umani, della mia esperienza e della mia
esistenza. Sono stata io derubata del diritto alla
vita. Rivoglio la mia libertà.
Monica Giorgi
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Arrestato Anacleto
Martedì 16 giugno è stato arrestato a Milano, nella sua abitazione, il compagno Agostino
Mariotti, 26 anni, conosciuto con il soprannome di "Anacleto". Tra le imputazioni a suo carico,
spicca quella per appartenenza alla "Brigata Lo Muscio". In una lettera ai compagni inviata dal
carcere milanese di San Vittore, Anacleto respinge tutte le accuse mossegli e sottolinea
l'assurdità del solo accostamento tra lui, militante anarchico da molti anni, ed una "banda
armata" di esplicita matrice marxista.
Armata Rossa - No grazie
Sempre frammentarie sono le notizie relative all'opposizione libertaria nell'Unione Sovietica,
che riescono a filtrare ed a giungere fino a noi. L'ultima ad esserci pervenuta riguarda il
giovane ucraino V. Sitkcho, che è stato arrestato nel dicembre scorso per il suo rifiuto di
indossare la divisa dell'Armata Rossa. Ora si trova di sicuro in uno dei numerosi lager
dell'Arcipelago Gulag: in quale non si sa. Numerosi suoi coetanei si trovano invece sepolti
sottoterra nel lontano Afghanistan, uccisi dalle popolazioni locali in lotta contro gli occupanti
comunisti.
Utopia 3 chiude
A causa di un'insostenibile situazione economica, la libreria Utopia 3 di Trieste è costretta a
chiudere entro settembre. I compagni che hanno inviato del materiale e sono in attesa di
pagamenti possono mettersi in contatto con il Gruppo Germinal, via Mazzini 11, 34121 Trieste.
Ogni martedì e venerdì dalle 17 alle 20 sarà svolto un servizio libreria per la stampa
anarchica e
libertaria. Questo il comunicato che ci hanno telefonato i compagni di Trieste, al momento di
andare in stampa. Mentre l'Utopia di Milano e l'Utopia 2 di Venezia sembrano essersi
abbastanza assestate, pur tra le solite mille difficoltà, e mentre da tempo si preannuncia a Roma
l'apertura dell'Utopia 4, purtroppo giunge da Trieste questa brutta notizia. È un vero peccato,
perché, dal dicembre '78 ad oggi l'Utopia 3 ha rappresentato un preciso punto di riferimento
libertario, anche grazie all'intensa attività culturale esplicatasi in dibattiti, conferenze,
presentazioni di libri, ecc.. Resta la speranza che in futuro Trieste possa ancora avere una sua
libreria anarchica.
Fuori i nomi!
"L'elenco degli iscritti e soprattutto i nomi dei capi": questo si sono sentiti chiedere dal
commissario di polizia della zona Greco/Turro i due responsabili dell'affitto della sede
anarchica di viale Monza 255 a Milano, convocati appunto in commissariato. È successo lunedì
22 giugno, nel pieno della vicenda P2. La risposta che ha ricevuto (Iscritti non ce ne sono, e capi
nemmeno: se ce ne fossero, saremmo noi i primi a buttarli fuori) l'ha sconcertato. Forse da quel
giorno lo tormenta un dubbio: saranno più o meno di 953 gli anarchici segretamente iscritti alla
loggia anarchica di viale Monza 255? E chi saranno i compagni venerabili?
L'ordine dei pennivendoli
Tra le corporazioni al contempo più assurde e più chiuse della nostra società, un
posto tutto
particolare spetta all'Ordine dei Giornalisti. Che si tratti di un'istituzione liberticida,
antidemocratica, istituzionalmente nemica di quella "libertà d'espressione" che pure è
formalmente garantita dalla Costituzione, è un dato di fatto assodato e più volte riconosciuto
dagli stessi giornalisti più democratici. Tant'è vero che quando la ventata libertaria del '68 mise
in discussione tante istituzioni fino ad allora intoccabili, anche l'OdG sembrò vacillare. Poi tutto
passò e l'OdG è ancora qui a regolamentare, cioè a limitare la libertà di stampa: vere
e proprie
forche caudine attraverso le quali devono cercare di passare gli aspiranti "responsabili" di
qualsiasi pubblicazione. Per chi non lo sapesse, sinteticamente le cose funzionano così.
Ogni pubblicazione deve avere
per legge un responsabile: non basta però che sia un cittadino maggiorenne, deve risultare
iscritto ad uno dei tre "elenchi" dell'OdG (professionisti, pubblicisti o speciale). Al primo sono
iscritti coloro che esercitano il giornalismo come professione, al secondo coloro che
collaborano con giornali e riviste venendone retribuiti (per essere ammessi all'OdG debbono
presentare anche le ricevute di pagamento relative agli ultimi due anni). Al terzo elenco, quello
"speciale", sono ammessi indistintamente tutti i cittadini maggiorenni che assumono la
responsabilità legale di un determinato tipo di pubblicazioni (professionali, scientifiche, ecc.).
Ora, dal momento che siamo in Italia, l'OdG ha generalmente risolto le cose all'italiana. Da una
decina di anni, ove più ove meno (l'OdG ha infatti una struttura decentrata regionale e
interregionale), l'evidente barriera all'accesso della libertà di stampa è stata attenuata
permettendo l'iscrizione agli elenchi pubblicisti e speciale di un notevole numero di richiedenti,
senza sottilizzare troppo sulla completezza della documentazione presentata. È così potuto
accadere che molti, pur senza esser in grado di presentare le ricevute dei compensi ricevuti
(appunto perché non ne avevano ricevuti), sono stati accettati come pubblicisti. Al pari testate
forse non esattamente rientranti nei criteri fissati per l'elenco speciale sono state considerate
idonee. Ciò ha permesso di aggirare un po' le forche caudine, all'italiana appunto. Ma esse
restano, tenute in piedi dallo spirito corporativo dei giornalisti e dall'assenza di una
mobilitazione tendente a smantellare l'Ordine. Sono sempre loro, i consigli regionali dell'OdG a
stabilire in maniera insindacabile chi può e
chi non può essere definito un giornalista, avendo così potere di vita o di morte sull'esistenza
stessa delle testate. Un ultimo esempio ci viene dalla Sicilia, dove con una delibera in data 28
maggio 1981, il consiglio regionale dell'OdG ha deciso la cancellazione dall'elenco speciale del
compagno Alfredo Bonanno, direttore responsabile di Anarchismo e di altre testate anarchiche
che escono come supplementi di Anarchismo. In un comunicato-stampa della redazione forlivese
di Anarchismo si denuncia il valore repressivo della delibera, che mette in difficoltà l'esistenza
stessa (legale) di testate, e al contempo si ribadisce l'impegno a proseguire comunque la
pubblicazione "con qualsiasi mezzo, sotto qualunque forma ci sarà possibile".
Lettera aperta al ministero della difesa
Io sottoscritto Piromalli Salvatore, obiettore di coscienza non riconosciuto, autodistaccato e
attualmente in Servizio Civile all'interno del Centro Comunitario Agape, via Pellicano 21/H,
89100 Reggio Calabria, presso la casa-famiglia "Comuneria" di Prunella di Melito Porto Salvo,
avendo il 29/10/1984 presentato regolarmente domanda di obiezione di coscienza e non avendo
finora avuto alcun riscontro in merito al riconoscimento della stessa, intendo con la presente
dichiarare quanto segue: 1) personalmente, non dipendo in nessun modo dal riconoscimento di
codesto ministero e mi
ritengo obiettore di coscienza a tutti gli effetti, in quanto fermamente convinto delle mie
motivazioni e idee, che sono e restano valide qualunque sia il giudizio che ne dà la commissione
o lo stesso ministro; 2) ritengo che l'atteggiamento che il ministero della difesa sta adottando nei
confronti degli
obiettori sia assolutamente "illegale" e nasconda la ormai troppo evidente politica
ostruzionistica "volutamente" portata avanti nel tentativo di screditare la scelta alternativa degli
obiettori e col preciso e biasimevole tentativo di boicottare il Servizio Civile, testimonianza
concreta della fondatezza e legittimità di tale scelta alternativa; 3) mi impegno a lottare
apertamente contro tale assurda e deprecabile politica, denunciandola
in qualsiasi modo e in qualunque occasione come la prova che testimonia quanto l'obiezione di
coscienza sia una scelta contrastata e condannata dai "signori del potere e della guerra", da
coloro che portano avanti la logica del "sistema", di un sistema che è radicalmente violento e
oppressivo, un sistema che io apertamente condanno e contro il quale mi impegno a lottare
affinché venga abbattuto, affinché si realizzi finalmente una società a misura d'uomo, una
società libera di uomini liberi, una società anarchica. Ribadisco ancora una volta
il carattere prettamente politico e antimilitarista della mia
obiezione. No a tutti gli eserciti! Per una società di liberi e di uguali!
Piromalli Salvatore
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