Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 94
estate 1981


Rivista Anarchica Online

Cronache sovversive
a cura della Redazione

Condannata Monica Giorgi

Lunedì 13 luglio si è concluso a Livorno il processo contro una quindicina di imputati per fatti di "terrorismo", in gran parte detenuti da oltre un anno: tra di loro ricordiamo gli anarchici Gabriele Fuga e Monica Giorgi. Sette imputati sono stati assolti, compreso il compagno Fuga, avvocato milanese attivissimo nella difesa dei detenuti politici: la sua scarcerazione ha subito però un ritardo di qualche giorno, perché nel frattempo era stato colpito da un altro mandato di cattura in seguito alle dichiarazioni del "pentito" Michele Viscardi (mandato di cattura che è poi stato revocato, su istanza dei difensori di Fuga). Complessivamente sono stati inflitti 38 anni di carcere.
La condanna più dura ha colpito Monica Giorgi: 12 anni e 6 mesi (dei quali 2 anni condonati), interdizione dai pubblici uffici, 3 anni di libertà vigilata dopo la scarcerazione. Questa condanna ha sorpreso un po' tutti per la sua palese infondatezza: il lungo processo (iniziato l'11 maggio) aveva infatti messo in luce l'assoluta inconsistenza delle "prove" dell'accusa, frutto delle dichiarazioni di due "collaboranti" (Enrico Paghera e Vincenzo Oliva) la cui credibilità è stata definitivamente affossata durante il loro interrogatorio in aula. Sottoposto ad una pressante richiesta di chiarimenti e di precisazioni, Paghera preferiva chiudersi in uno sdegnato silenzio rifiutandosi di proseguire nella sua "collaborante" testimonianza: meschina figura, messa in risalto anche dalla stampa locale (La Nazione, Il Tirreno) costretta a sottolineare la labilità del castello accusatorio. Paghera si beccava anche una denuncia per calunnia da parte di alcuni imputati ed avvocati. Peggiore ancora la prestazione di Oliva, le cui dichiarazioni erano talmente contraddittorie che lo stesso presidente della corte lo faceva tacere e lo invitava ad andarsene. Anche i riscontri e i riconoscimenti erano risultati a favore dell'innocenza di Monica, coerentemente con quanto da lei proclamato fin dal suo arresto nell'aprile dello scorso anno e successivamente ribadito con lettere ai compagni, pubblicate anche sulla nostra rivista.
Nonostante tutto ciò, nonostante le "rivelazioni" di Paghera non si riferissero ad altro che a quanto avrebbe sentito dire da Salvatore Cinieri (assassinato quasi due anni fa in carcere), contro qualsiasi evidenza ed ogni senso di giustizia, Monica Giorgi è stata condannata. È una condanna politica, che ha tutto il sapore della vendetta del potere. Monica è stata infatti un'attiva militante anarchica dai primi anni '70 fino al '78, impegnata nella solidarietà e nelle campagne di difesa dei detenuti politici, oltreché in altre attività sociali, nell'organizzazione di dibattiti, nella propaganda anarchica. Chi - come noi - la conosce da anni, sa bene con quanta generosità ed entusiasmo, al di là di differenti opinioni e valutazioni, abbia portato avanti questa sua attività.
Da segnalare anche l'attentato commesso e rivendicato dai fascisti, che la notte del 23 giugno (quando il processo volgeva al termine) hanno incendiato gli appartamenti della madre di Monica e di un vicino di casa, mandando inoltre in frantumi i vetri dell'intero edificio. Più grave ancora dell'attentato appare la mancata risposta da parte delle forze di sinistra (tradizionalmente in maggioranza a Livorno), che pure in un recente passato erano scese compatte in piazza dopo che i fascisti avevano bruciato una bacheca del PCI. L'attentato contro l'appartamento di una donna anziana, vedova, malata, colpevole di essere la madre di un'anarchica processata per "terrorismo", evidentemente, non vale quanto una bacheca bruciacchiata.
Contro la sentenza di condanna di Monica Giorgi si sono pubblicamente espressi a Livorno, oltre al "Comitato di solidarietà per Monica Giorgi e per gli altri detenuti politici", la Federazione Anarchica Livornese, Democrazia Proletaria, il Circolo politico-culturale "La Comune - Rosa Luxemburg" ed il periodico locale Livornocronaca. Anche i quotidiani locali, pur istituzionalmente allineati con il potere, hanno mostrato la loro sorpresa (Hanno creduto al pentito Paghera titolava a tutta pagina Il Tirreno del 14 luglio). Sconvolta per la sentenza, Monica non si è alimentata per vari giorni, dopo la condanna: in stato di debilitazione, all'insaputa di avvocati e familiari, è stata trasferita nel supercarcere femminile di Messina.

Rivolglio la mia libertà

Ecco la dichiarazione pronunciata da Monica, prima che la Corte si ritirasse per emettere la sentenza.

La mia attività politica, di propaganda di idee libertarie ed egualitarie, sin dal 1975 a tutt'oggi, è stata inquisita e costantemente seguita dalla questura e dagli uffici giudiziari di Livorno e zone vicine.
Basterebbe questo dato per poter dire che è incredibile che qualcuno possa aver pensato di avvicinarmi per preparare un fatto come quello di cui mi si accusa.
L'altro dato - che non è stato sufficientemente sottolineato dai miei difensori - è che, nonostante i sospetti e le inquisizioni su di me, proprio in ordine al tentativo di sequestro, io ho continuato a fare la mia vita normale, di sempre, salvo un parziale disimpegno di carattere politico che spero di aver sufficientemente chiarito durante la mia deposizione in quest'aula e che può essere compreso da tutti, dati i precedenti di inquisita e minacciata. Ma non sono né fuggita, né mi sono nascosta. Ma ho continuato il mio lavoro-studio-sport. Pertanto ribadisco la mia totale estraneità alle imputazioni rivoltemi.
Non ho partecipato a nessuna banda armata. Ho partecipato invece a dibattiti, a discussioni politiche, a problemi sociali del nostro tempo, sempre pubblicamente. Ho insegnato quanto nocivi siano lo sfruttamento e l'oppressione, usando la ragione, con critica accesa e polemica rivoluzionaria, che non sono strumenti illegali.
Non ho mai terrorizzato nessuno, sono stata io, invece, minacciata in continui e svariati modi, sono stata io terrorizzata anche recentemente con un attentato rivolto contro la mia persona e i miei familiari. Non ho architettato né concepito nessun sequestro. Sono stata io, invece, sequestrata per più di un anno in base ad inique misure di carcerazione preventiva.
Sono stata io rinchiusa in un buco di pochi metri quadrati di spazio e di aria, davvero ristretto rispetto alle mie sei ore di sport agonistico che svolgevo quotidianamente. Sono stata io rinchiusa in una gabbia, come un animale feroce, che feroce non è, come la gabbia vorrebbe far credere.
Non ho ferito nessuno, né con armi, né con atti, né con parole. Sono stata io invece ferita nel mio più intimo, nella mia dignità, attraverso ignobili mistificazioni sulla mia persona, umiliata dalle calunnie, dai sospetti, dalle criminalizzazioni preventive.
Non ho mai rapinato nessuno e di niente. Sono stata io, invece, rapinata di tutto, cioè dei miei affetti, dei miei sentimenti, dei miei rapporti umani, della mia esperienza e della mia esistenza.
Sono stata io derubata del diritto alla vita.
Rivoglio la mia libertà.

Monica Giorgi

Arrestato Anacleto

Martedì 16 giugno è stato arrestato a Milano, nella sua abitazione, il compagno Agostino Mariotti, 26 anni, conosciuto con il soprannome di "Anacleto". Tra le imputazioni a suo carico, spicca quella per appartenenza alla "Brigata Lo Muscio". In una lettera ai compagni inviata dal carcere milanese di San Vittore, Anacleto respinge tutte le accuse mossegli e sottolinea l'assurdità del solo accostamento tra lui, militante anarchico da molti anni, ed una "banda armata" di esplicita matrice marxista.

Armata Rossa - No grazie

Sempre frammentarie sono le notizie relative all'opposizione libertaria nell'Unione Sovietica, che riescono a filtrare ed a giungere fino a noi. L'ultima ad esserci pervenuta riguarda il giovane ucraino V. Sitkcho, che è stato arrestato nel dicembre scorso per il suo rifiuto di indossare la divisa dell'Armata Rossa. Ora si trova di sicuro in uno dei numerosi lager dell'Arcipelago Gulag: in quale non si sa. Numerosi suoi coetanei si trovano invece sepolti sottoterra nel lontano Afghanistan, uccisi dalle popolazioni locali in lotta contro gli occupanti comunisti.

Utopia 3 chiude

A causa di un'insostenibile situazione economica, la libreria Utopia 3 di Trieste è costretta a chiudere entro settembre. I compagni che hanno inviato del materiale e sono in attesa di pagamenti possono mettersi in contatto con il Gruppo Germinal, via Mazzini 11, 34121 Trieste. Ogni martedì e venerdì dalle 17 alle 20 sarà svolto un servizio libreria per la stampa anarchica e libertaria. Questo il comunicato che ci hanno telefonato i compagni di Trieste, al momento di andare in stampa. Mentre l'Utopia di Milano e l'Utopia 2 di Venezia sembrano essersi abbastanza assestate, pur tra le solite mille difficoltà, e mentre da tempo si preannuncia a Roma l'apertura dell'Utopia 4, purtroppo giunge da Trieste questa brutta notizia. È un vero peccato, perché, dal dicembre '78 ad oggi l'Utopia 3 ha rappresentato un preciso punto di riferimento libertario, anche grazie all'intensa attività culturale esplicatasi in dibattiti, conferenze, presentazioni di libri, ecc.. Resta la speranza che in futuro Trieste possa ancora avere una sua libreria anarchica.

Fuori i nomi!

"L'elenco degli iscritti e soprattutto i nomi dei capi": questo si sono sentiti chiedere dal commissario di polizia della zona Greco/Turro i due responsabili dell'affitto della sede anarchica di viale Monza 255 a Milano, convocati appunto in commissariato. È successo lunedì 22 giugno, nel pieno della vicenda P2. La risposta che ha ricevuto (Iscritti non ce ne sono, e capi nemmeno: se ce ne fossero, saremmo noi i primi a buttarli fuori) l'ha sconcertato. Forse da quel giorno lo tormenta un dubbio: saranno più o meno di 953 gli anarchici segretamente iscritti alla loggia anarchica di viale Monza 255? E chi saranno i compagni venerabili?

L'ordine dei pennivendoli

Tra le corporazioni al contempo più assurde e più chiuse della nostra società, un posto tutto particolare spetta all'Ordine dei Giornalisti. Che si tratti di un'istituzione liberticida, antidemocratica, istituzionalmente nemica di quella "libertà d'espressione" che pure è formalmente garantita dalla Costituzione, è un dato di fatto assodato e più volte riconosciuto dagli stessi giornalisti più democratici. Tant'è vero che quando la ventata libertaria del '68 mise in discussione tante istituzioni fino ad allora intoccabili, anche l'OdG sembrò vacillare. Poi tutto passò e l'OdG è ancora qui a regolamentare, cioè a limitare la libertà di stampa: vere e proprie forche caudine attraverso le quali devono cercare di passare gli aspiranti "responsabili" di qualsiasi pubblicazione.
Per chi non lo sapesse, sinteticamente le cose funzionano così. Ogni pubblicazione deve avere per legge un responsabile: non basta però che sia un cittadino maggiorenne, deve risultare iscritto ad uno dei tre "elenchi" dell'OdG (professionisti, pubblicisti o speciale). Al primo sono iscritti coloro che esercitano il giornalismo come professione, al secondo coloro che collaborano con giornali e riviste venendone retribuiti (per essere ammessi all'OdG debbono presentare anche le ricevute di pagamento relative agli ultimi due anni). Al terzo elenco, quello "speciale", sono ammessi indistintamente tutti i cittadini maggiorenni che assumono la responsabilità legale di un determinato tipo di pubblicazioni (professionali, scientifiche, ecc.). Ora, dal momento che siamo in Italia, l'OdG ha generalmente risolto le cose all'italiana. Da una decina di anni, ove più ove meno (l'OdG ha infatti una struttura decentrata regionale e interregionale), l'evidente barriera all'accesso della libertà di stampa è stata attenuata permettendo l'iscrizione agli elenchi pubblicisti e speciale di un notevole numero di richiedenti, senza sottilizzare troppo sulla completezza della documentazione presentata. È così potuto accadere che molti, pur senza esser in grado di presentare le ricevute dei compensi ricevuti (appunto perché non ne avevano ricevuti), sono stati accettati come pubblicisti. Al pari testate forse non esattamente rientranti nei criteri fissati per l'elenco speciale sono state considerate idonee. Ciò ha permesso di aggirare un po' le forche caudine, all'italiana appunto. Ma esse restano, tenute in piedi dallo spirito corporativo dei giornalisti e dall'assenza di una mobilitazione tendente a smantellare l'Ordine.
Sono sempre loro, i consigli regionali dell'OdG a stabilire in maniera insindacabile chi può e chi non può essere definito un giornalista, avendo così potere di vita o di morte sull'esistenza stessa delle testate. Un ultimo esempio ci viene dalla Sicilia, dove con una delibera in data 28 maggio 1981, il consiglio regionale dell'OdG ha deciso la cancellazione dall'elenco speciale del compagno Alfredo Bonanno, direttore responsabile di Anarchismo e di altre testate anarchiche che escono come supplementi di Anarchismo. In un comunicato-stampa della redazione forlivese di Anarchismo si denuncia il valore repressivo della delibera, che mette in difficoltà l'esistenza stessa (legale) di testate, e al contempo si ribadisce l'impegno a proseguire comunque la pubblicazione "con qualsiasi mezzo, sotto qualunque forma ci sarà possibile".

Lettera aperta al ministero della difesa

Io sottoscritto Piromalli Salvatore, obiettore di coscienza non riconosciuto, autodistaccato e attualmente in Servizio Civile all'interno del Centro Comunitario Agape, via Pellicano 21/H, 89100 Reggio Calabria, presso la casa-famiglia "Comuneria" di Prunella di Melito Porto Salvo, avendo il 29/10/1984 presentato regolarmente domanda di obiezione di coscienza e non avendo finora avuto alcun riscontro in merito al riconoscimento della stessa, intendo con la presente dichiarare quanto segue:
1) personalmente, non dipendo in nessun modo dal riconoscimento di codesto ministero e mi ritengo obiettore di coscienza a tutti gli effetti, in quanto fermamente convinto delle mie motivazioni e idee, che sono e restano valide qualunque sia il giudizio che ne dà la commissione o lo stesso ministro;
2) ritengo che l'atteggiamento che il ministero della difesa sta adottando nei confronti degli obiettori sia assolutamente "illegale" e nasconda la ormai troppo evidente politica ostruzionistica "volutamente" portata avanti nel tentativo di screditare la scelta alternativa degli obiettori e col preciso e biasimevole tentativo di boicottare il Servizio Civile, testimonianza concreta della fondatezza e legittimità di tale scelta alternativa;
3) mi impegno a lottare apertamente contro tale assurda e deprecabile politica, denunciandola in qualsiasi modo e in qualunque occasione come la prova che testimonia quanto l'obiezione di coscienza sia una scelta contrastata e condannata dai "signori del potere e della guerra", da coloro che portano avanti la logica del "sistema", di un sistema che è radicalmente violento e oppressivo, un sistema che io apertamente condanno e contro il quale mi impegno a lottare affinché venga abbattuto, affinché si realizzi finalmente una società a misura d'uomo, una società libera di uomini liberi, una società anarchica.
Ribadisco ancora una volta il carattere prettamente politico e antimilitarista della mia obiezione.
No a tutti gli eserciti! Per una società di liberi e di uguali!

Piromalli Salvatore