Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 93
giugno 1981 - luglio 1981


Rivista Anarchica Online

Intervista a Bookchin
di Paolo Finzi

Con Murray Bookchin ho registrato molte ore di colloquio, nel corso della sua permanenza a Milano a fine aprile su invito del Centro Studi Libertari "G. Pinelli". Gli ho poi chiesto di rispondere per iscritto ad alcune domande. Mi sono letto (e in parte riletto) i suoi scritti, solo in parte editi anche in italiano. Insomma, c'erano tutte le premesse per buttar giù il testo di un'intervista che - speravo - potesse affrontare almeno i temi principali del suo pensiero e chiarirne pur brevemente le linee essenziali. Questa era la mia intenzione.
Pia illusione, però, perché una volta messomi all'opera mi sono dovuto render conto che è impossibile comprimere in 15-20 cartelle un colloquio durato ore ed ore, nel corso del quale si è parlato praticamente di tutto: dalla sociobiologia alle lotte del movimento dei neri, dalla politica estera USA alle impressioni del suo viaggio in Europa, dalla questione organizzativa al ministerialismo spagnolo del '36, dall'ecologia sociale alla condizione degli indiani, ecc.. Impossibile farci stare tutto, seppur superficialmente, nello spazio previsto su "A".
In queste pagine, dunque, il lettore, oltre ad una vivace scheda autobiografica, troverà solo una piccola parte del chilometrico colloquio con Bookchin. Tantissimi temi, anche significativi, non sono nemmeno accennati. Ci ripromettiamo, comunque, in un prossimo futuro, di riprendere il discorso, traducendo alcuni dei suoi scritti più recenti. Nel frattempo rimandiamo gli interessati alla lettura di Post-scarcity anarchism (Edizioni La Salamandra, 1980) e di quegli scritti di Bookchin che sono stati ripresi da Interrogations, Volontà, An. Archos e naturalmente dalla nostra rivista (che per prima, nel '74, fece conoscere Bookchin in Italia e che sul n. 85 ne ha pubblicato l'interessantissima "Lettera aperta al movimento ecologista").
Hanno collaborato per la scheda sull'ecologia sociale Maria Teresa Romiti e per la traduzione Gianfilippo Pietra.

Qual è la situazione del movimento libertario negli USA?
Dobbiamo andar molto cauti nell'usare il termine "libertario" negli USA, soprattutto da quando è stato fatto proprio da quelli che in Europa chiamate gli anarco-capitalisti. Usando indistintamente il termine "libertario", molti in America penserebbero appunto subito agli anarco-capitalisti, agli anarchici del "laissez-faire". Per cui è meglio e più comune e usare il termine anarchico oppure libertario, solo se unito ad un'altra specificazione, quale socialista libertario, comunista libertario, ecc..
Per quel che riguarda il movimento anarchico negli USA, io direi innanzitutto che non esiste un vero e proprio movimento anarchico organizzato, nonostante vi siano tendenze anarchiche e libertarie abbastanza diffuse tra la gente. Vi sono gruppi, alcuni dei quali amano definirsi confederazioni o organizzazioni, ma in realtà si tratta solo di gruppi, spesso slegati del tutto gli uni dagli altri. Ci sono al giorno d'oggi più numerosi radical che in passato che si ritengono più vicini all'anarchismo che a qualsiasi altra tendenza rivoluzionaria. Gli altri movimenti poi sono in crisi: il movimento socialista, così come il partito socialista, sono praticamente morti; i socialdemocratici sono sempre più vicini ai liberals; il partito comunista è così piccolo che veramente non conta un bel niente. Così quando si parla della sinistra americana oggi, si parla in buona misura degli anarchici e delle varie tendenze socialiste libertarie.
Ci sono in effetti gruppi che si sono uniti per formare delle federazioni anarchiche: per esempio, la North American Anarchist Federation (che esiste negli USA e in Canada), ma a mio avviso si tratta di un'organizzazione molto, molto piccola e con un'influenza ridottissima. C'è poi la New England Anarchist Conference, in pieno fermento per definirsi con precisione, è certo molto più grossa in quanto a militanti ma deve ancora darsi una chiara prospettiva anarchica. Questo gruppo è composto in gran parte di persone attive nelle varie alleanze antinucleari (prima fra tutte, la Clamshell Alliance) presenti negli USA. Queste sono organizzate non su basi locali, ma su basi d'affinità; va poi precisato che non si riconoscono nell'anarco-sindacalismo. C'è poi la Socialist Revolutionary Anarchist Federation, che pubblica l'omonimo bollettino (SRAF), ma francamente non so nemmeno se esiste ancora, tanto non la si sente. Non vanno trascurate le relazioni tra gli anarchici del Canada, soprattutto nel Quebec e nella British Columbia, con quelli degli USA. In definitiva, ci sono molti giovani, sempre più numerosi, che si riconoscono - con diversi livelli di coscienza - nell'anarchismo; gruppi un po' dovunque che si definiscono anarchici, una piccola parte dei quali formano delle confederazioni; alcuni di questi sono maggiormente orientati verso la tradizione anarco-comunista e anarco-sindacalista del movimento, altri - tra i quali la N.E.A.C. alla quale aderisco - sono più impegnati sul fronte delle lotte ecologiche, delle tematiche femministe e localiste.
Alle origini il movimento anarchico negli USA è stato prevalentemente "importato". Quali sono oggi le relazioni tra i movimenti anarchici "stranieri" (ormai in calando) e quello americano?
Questo è indubbiamente uno dei problemi principali che si pongono al movimento anarchico negli USA. Non solo l'anarchismo, ma anche l'intero socialismo è arrivato qui dall'Europa: fino agli anni '40 ed anche '50 c'è stata una solida presenza "europea" nel socialismo e nell'anarchismo, strettamente legata ad un'impostazione "europea" dei problemi del movimento operaio. D'altra parte, qui in America, tornando indietro di tre secoli alla rivoluzione americana, si ritrova una tradizione libertaria, che è stata anarchica nel suo spirito. Gli USA, come la Svizzera, esaltavano alle origini la loro natura confederale, con molti diritti per le comunità locali: oggi noi anarchici americani, nel ricreare una nostra presenza libertaria, vogliamo ricollegarci anche a quella tradizione libertaria nella nostra storia. Noi cerchiamo così di prendere il meglio della tradizione europea e della nostra storia: siamo infatti convinti che si debba avere una prospettiva americana, una sensibilità americana per sviluppare un forte movimento anarchico che incida davvero sulla realtà sociale. Per me questo è della massima importanza, anche se ho la sensazione che in Europa ciò sia sottovalutato: gli americani credono molto nell'autonomia individuale, nei diritti dell'individuo, credono insomma che meno governo c'è, meglio è. Anche l'opinione corrente in merito alla proprietà è molto interessante: per molta gente la proprietà è importante non perché ti fa diventare ricco, bensì perché assicura la tua indipendenza innanzitutto davanti allo Stato. Per questo io ritengo che vi sia una forte tradizione negli USA di carattere antiautoritario. Ed è da qui che io ed i compagni del New England - dove questa tradizione ha radici più forti che altrove negli USA - pensiamo si debba partire per ricreare un forte movimento anarchico americano. Ti potrei citare, per esempio, le assemblee generali che tradizionalmente ancora si svolgono in alcune località del New England per decidere delle questioni più importanti che riguardano la comunità. Certo, a volte sono ridotte a poco più di un rito: ma noi pensiamo che si debba operare per rivitalizzarle, esaltando il controllo locale, l'azione diretta e al contempo denunciando i misfatti della burocrazia, i pericoli insiti nello Stato di polizia e più in generale nello Stato stesso. Questo, naturalmente, in tutte quelle località dove queste assemblee ancora si tengono.
Qual è la situazione legale degli anarchici e dell'anarchismo oggi negli USA?
Non è male, francamente, niente a che vedere con quel che accade per esempio in Germania. La parola "anarchia" non provoca terrore, anche perché numerose personalità negli USA si sono dette pubblicamente anarchiche (Lewis Mumford, Paul Goodman, Ted Rojak, ecc.). C'è stata poi una lunga tradizione di Scuole Ferrer, che ha ulteriormente fatto conoscere in positivo il termine "anarchia". E poi c'è Emma Goldman, oggi conosciutissima, soprattutto in tutto il vastissimo movimento femminista. I suoi libri sono diffusissimi. Io stesso collaboro a quotidiani e periodici vari sui quali scrivo da anarchico, dichiarandomi esplicitamente anarchico. E francamente non ho incontrato ostacoli.
Che cosa pensi del recente attentato a Reagan?
Bisogna affrontare innanzitutto alcune questioni di carattere generale. A prescindere dalla buona fede e dal coraggio che gli attentatori possono avere, come non vedere innanzitutto che il potere si è venuto sempre più spersonalizzando? I tempi di Giulio Cesare o di Napoleone sono tramontati. Per quel che riguarda più specificamente gli USA, tieni presente che - per esempio - se Nixon fosse stato assassinato, gli sarebbe succeduto Agnew... ed è tutto dire. Io sono convinto che il terrorismo sia decisamente controproducente. Sempre riferendomi agli USA, c'è poi da osservare che la dose quotidiana di violenza (assalti, rapine, furti, scippi, stupri, ecc.) è talmente elevata per il cittadino medio americano che è praticamente impossibile pensare che la gente riesca a cogliere eventuali differenze tra violenza e violenza. Lotte violente per ragioni politiche si confonderebbero facilmente con scontri tra gangster. Abbiamo un tale livello di violenza quotidiana che la violenza, qualsiasi violenza, risulta tutto sommato controproducente. E, sia chiaro, io non mi considero un pacifista: semplicemente privilegio la nonviolenza perché a mio avviso più producente. La forza che scaturisce dalla nonviolenza è nella grande maggioranza dei casi maggiore, più efficace per i nostri fini, di quella derivante da scontri violenti di piazza, per non parlare del terrorismo.
E la droga? Che ruolo ha giocato nel movimento d'opposizione in questi anni? E tu che ne pensi?
Naturalmente bisogna partire dal fatto che ci sono diversi tipi di droga, da quelle leggere a quelle pesanti. Per quel che mi riguarda, io sto alla larga da qualsiasi tipo di droga: ci ho messo 60 anni a cercare di costruirmi una mia testa e non voglio buttar tutto a mare solo per farmi dei buchi nel cervello. Non ho alcuna obiezione a che altri fumino la marijuana e trovo ridicolo che ne sia vietato per legge l'uso. Ma personalmente le rifiuto. Nel movimento invece non c'è attualmente una posizione precisa, decisa riguardo alle droghe. Nel movimento dei neri, in particolare, sono diffusissime le droghe pesanti, che a loro volta diventano fonte dell'alto tasso di criminalità nei ghetti. Moltissimi vi ricorrono per sfuggire alle ansie, alle paure, alle incertezze. E il discorso inevitabilmente si allarga ad altri prodotti che ufficialmente non sono classificati come droghe, ma che lo sono a tutti gli effetti: parlo dei tranquillanti (il Valium, per esempio), di cui gli americani ingeriscono ogni anno miliardi di pillole. Vi è poi anche il problema dell'alcolismo, che sta ritornando drammatico.
Nel recensire sulla nostra rivista l'edizione italiana di Post-scarcity anarchism, scrivevamo che a distanza di vari anni dalla sua uscita, e soprattutto dopo la crisi energetica del '73, sarebbe stato opportuno tener presenti questi fatti. A mio avviso, insomma, c'è qualcosa da rivedere, oggi come oggi. Sei d'accordo?
No. Negli USA quasi tutte le stime sulle riserve di petrolio sono fornite dalle grandi aziende e spesso mentono di proposito per sostenere la domanda di prezzi più elevati. Nella mia critica al lavoro dei Gorz Ecologia e politica, io passo in rassegna un certo numero di dati e di dichiarazioni di esperti abbastanza imparziali, per dimostrare che probabilmente noi abbiamo molte più risorse di quelle che pensiamo: in alcuni casi potranno durare per delle generazioni, e potranno soddisfare i bisogni del mondo intero ai livelli del consumo attuale. La crisi viene prodotta oggi: la vera scarsità è il risultato non di difficoltà naturali ma dei cambiamenti strutturali nel capitalismo delle grandi corporazioni. Le grandi aziende multinazionali oggi hanno un controllo sulle strutture del mercato e sui prezzi molto maggiore di quello avuto in altri periodi del capitalismo. Possono alzare i prezzi quando vogliono e lo fanno con vergognosa impunità. Controllano i mercati chiave e i sistemi di distribuzione di tutto il mondo.
Pensa alle straordinarie caratteristiche delle nuove "crisi economiche" che caratterizzano la nostra era. In un periodo di massiccia disoccupazione e di riduzioni di produzione, i prezzi continuano a salire invece di diminuire. Lo stesso succede per i saggi di interesse e per il costo della vita. Al tempo stesso, soprattutto nel settore dell'industria energetica, i profitti raggiungono vette inaudite. Non abbiamo mai avuto questo tipo di "crisi economiche" prima. Io ricordo il 1930, quando la Grande Depressione causò la caduta di tutto, inclusi i profitti. E lo stesso avvenne nelle crisi successive. Adesso abbiamo invece prezzi, profitti, interessi, inflazione alle stelle e al tempo stesso disoccupazione, livelli di vita in declino, minor potere d'acquisto. Posso solo concludere che le grandi corporazioni hanno ora il completo controllo dell'economia - dalla produzione alla vendita al minuto - e possono fare enormi profitti producendo meno ma chiedendo un prezzo molto maggiore per ciascun prodotto, realizzando così profitti mai prima raggiunti. Il mito della "scarsità" fornisce una perfetta scusa ideologica per questo processo di estorsione e di saccheggio del povero. E, mi vergogno a dirlo, molti ecologi americani hanno dato avallo, molto ingenuamente, a questa ideologia.
Infine, voglio che sia ben chiaro che la parola "post-scarcity" non significa insensata abbondanza. Sarebbe da folli se noi diventassimo consumatori di enormi quantità di beni, trascorrendo la vita in bovina incoscienza incollati alla televisione, ingozzando coca-cola e cibo fino alla nostra tomba. Il capitalismo ha prodotto una maledizione: il mito di una natura avara con poche risorse che devono soddisfare bisogni illimitati. Sfortunatamente perfino Marx nel lodare il capitalismo per le sue realizzazioni tecnologiche e per la sua capacità di produrre "bisogni", è divenuto vittima di questo mito. "Post-scarcity" non è un tentativo di proporre le meraviglie dell'abbondanza. È piuttosto il tentativo di esorcizzare questo mito, di eliminare finalmente questa tirannia ideologica col mostrare che c'è ora più di quel che basta per ciascuno per potere godere abbondanza materiale con il minimo di fatica. La gente può ora scegliere il tipo di vita che vuole, un tipo di vita che sia più semplice e che richieda una maggiore attività fisica come il giardinaggio per esempio, piuttosto che starsene seduti e ammalarsi spiritualmente e fisicamente consumando passivamente una ininterrotta serie di beni bacati in una società "anarchica". Secondo me, "Post-scarcity anarchism" significa il diritto di scegliere, non significa la "scelta" rituale di una vita stupida e malata, affogata nell'abbondanza. Ora questa possibilità dev'essere concretizzata, altrimenti la "lotta" per ottenere abbondanza impedirà sempre di attuare una società libera.