Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 93
giugno 1981 - luglio 1981


Rivista Anarchica Online

Il ritorno al privato
di Luciano Lanza

Da alcuni anni non era più di moda parlarne. Non occupava più le prime pagine dei giornali, era tornata nelle più dimesse pagine economiche. Dai tempi delle spericolate manovre di Eugenio Cefis, il feudatario ribelle, la Montedison viveva rassegnata tra i suoi crescenti debiti. Oggi grazie all'accorta regia dell'amministratore delegato della Mediobanca, Enrico Cuccia, il "colosso dai piedi d'argilla" della chimica torna a far parlare di sé. I fatti sono noti: quattro grandi del capitalismo privato - Agnelli, Pirelli, Bonomi e Orlando - acquistano dalla Montedison la finanziaria Gemina (detenuta dalla Montedison per il 59,2%) e attraverso questa rilevano il 16,66% delle azioni Montedison in mano alla finanziaria pubblica Sogam e ad altri azionisti pubblici. Successivamente i "quattro grandi" sempre tramite la Gemina sottoscriveranno l'aumento di capitale della Montedison proposto dal suo consiglio di amministrazione l'11 maggio.
La Montedison torna dunque nell'area privata. Avvenimento a dir poco clamoroso, perché sembra invertita la tendenza di una sempre più massiccia statalizzazione dell'economia. La filosofia dei "nuovi economisti" yankee ha forse influenzato anche la dirigenza politica italiana? Rispondere affermativamente sarebbe, oltre che prematuro, inesatto. Prima di tutto perché un singolo caso - pur delle dimensioni della Montedison - non modifica l'assetto generale della struttura economica italiana, statalizzata nei gangli nevralgici. In secondo luogo perché la logica dell'operazione non risiede in una svolta della politica economica italiana - dal pubblico al privato - ma rivela le difficoltà congiunturali dell'espansionismo statale. Proprio in questa seconda visione sta, a mio avviso, la spiegazione principale dell'operazione Montedison.
Il settore pubblico dell'economia continua ad accumulare deficit colossali, la sola Montedison chiude il bilancio 1980 con una perdita di oltre 230 miliardi. I margini di manovra per una politica monetaria sono quasi inesistenti se non verrà rallentato il tasso di inflazione. In una situazione così precaria e che rischia di incrinare pesantemente le strutture economiche pubbliche, non appare certo strano che lo stato si liberi di uno dei più grossi fardelli. Ma così impostato il problema risponde solo parzialmente al quesito. Le difficoltà congiunturali giocano sicuramente un ruolo rilevante, ma non credo che spieghino completamente il senso dell'operazione. Bisogna anche chiedersi se il controllo completo della chimica - dopo l'assorbimento nell'area pubblica della Liquichimica e della SIR - non avrebbe pregiudicato quell'assetto definito di "economia mista". Già lo scorso anno rilevavo sul n° 3 della rivista Volontà che: "Se la grande impresa privata scompare del tutto potrebbero prodursi ingovernabili distorsioni nella struttura economica. Infatti tutta l'economia italiana si è basata per decenni (praticamente dagli anni trenta) su un rapporto pubblico-privato molto più strutturale di quanto possa sembrare a prima vista. Schematizzando si potrebbe affermare che l'economia mista assegna all'impresa privata un ruolo dinamico e a quella pubblica un ruolo stabilizzante. A volte i ruoli vengono invertiti (pensiamo alla creazione dell'ENI), ma comunque tutto si svolge nell'ambito di un confronto-scontro che presuppone la complementarietà dell'una all'altra. Come due amici che giocano a scacchi e che, pur essendo amici, in quel momento sono avversari. L'uno necessita dell'altro per continuare la partita, se uno dei due abbandona la scacchiera come può continuare lo scontro?". Ora nulla vieterebbe che questa complementarietà pubblico-privato si possa giocare su settori contrapposti e non anche all'interno dello stesso settore, ma resta da chiedersi se il settore chimico, già abbastanza disastrato, possa permettersi una gestione tutta pubblica, restando quindi privo di un minimo di concorrenzialità. Non lo credo. Anche se il piano di ristrutturazione della chimica fa subito pensare ad una spartizione monopolistica - all'ENI i settori più vicini all'attività petrolifera, alla Montedison la chimica fine e secondaria - rimane pur sempre l'impressione che la suddivisione dei ruoli venga vista come incentivo per poter meglio resistere alla concorrenza interna.
Tutta l'operazione di riprivatizzazione mi sembra comunque che non possa prescindere da un persistere dell'influenza pubblica. In effetti le decisioni a carattere generale restano in mano al potere politico perché nonostante l'ingresso dei capitalisti privati, la sopravvivenza della Montedison resta legata ai finanziamenti statali. Dunque il settore pubblico si libera solo parzialmente di questa grossa palla al piede. Una palla al piede che rischiava di impedire l'espansionismo statale in altri settori che premono per l'intervento della mano pubblica. In questo modo lo stato può riequilibrare e migliorare la composizione della sua presenza nell'economia. Se le ragioni dello stato sono sufficientemente intuibili, lo sono meno quelle dei privati. Perché corrono questo grosso rischio? Se poi analizziamo il problema da un punto di vista "classico": il movente del capitalista è il profitto, allora tutto diventa incomprensibile. Forse che Agnelli spera di incassare utili dalla Montedison? Non facciamo troppo ingenuo l'Avvocato. La questione va vista in un'altra dimensione, meno economica e più politica. In questi ultimi anni il grande capitalismo privato si è troppo arroccato nelle sue fortezze. Di fronte all'espansionismo statale non ha saputo opporre alcuna seria resistenza riducendosi a fare quello che il polo pubblico gli permetteva di fare. Oltre alla crisi delle strutture economiche private, si va accentuando una crisi dell'ideologia imprenditoriale. Una crisi che ormai non conosce soste. Ebbene il ritorno nella Montedison viene forse visto come un tentativo di arrestare questa crisi che è anche psicologica. Il gusto del rischio imprenditoriale, la scommessa rigalvanizzante per arrestare temporaneamente il declino. Ipotesi azzardata? Forse, resta comunque il fatto che il capitalismo privato deve oggi giocare qualche carta importante se vuole riproporsi come soggetto sociale in grado di condizionare la politica italiana. Un'occasione dunque da non lasciar perdere, grazie anche alla ventata restauratrice che ricerca nell'ideologia capitalistica i fondamenti per un suo rilancio. Il declino (?) dello stato assistenziale apre nuove prospettive agli ideologi del capitalismo, oggi in forte ripresa. Già alcuni di loro denunciano "le istituzioni della società attuale in nome delle virtù di un sistema che rimane ancora da inventare: il capitalismo". Solo follia rétro. In parte sì, però sappiamo che il percorso della storia non è mai lineare, ma tortuoso con possibili ripiegamenti. Nel breve e medio periodo sono sempre possibili cambiamenti che sembrano contraddire le tendenze di fondo.
I "padroni privati" alla riscossa contro i "padroni pubblici"? Può darsi, anche se è una riscossa il cui esito mi riporta alla memoria la carica dei seicento orgogliosi dragoni a Balaclava.