Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 89
febbraio 1981


Rivista Anarchica Online

Dieci anni di A-pensiero
di Nico Berti

Dal 1971 al 1980 abbiamo pubblicato 88 numeri, comprendenti oltre un migliaio di articoli, per una tiratura complessiva di circa un milione di copie. Per tentare un primo bilancio qualitativo dell'esperienza decennale di "A", abbiamo chiesto un contributo a Nico Berti, collaboratore di "A" fin dal primo anno con lo pseudonimo Mirko Roberti; ci ha inviato questo pezzo decisamente positivo. Nel dibattito che speriamo si apra, altri potranno mettere in luce carenze e difetti della rivista, che - a noi stessi della redazione - non sembrano davvero pochi. (E nemmeno a noi! - nota dei compagni tipografi).

Tracciare un primo bilancio critico della rivista, a dieci anni dalla sua nascita, non è certo un compito facile. Delineare, nell'ambito di un angusto consuntivo, il significato ed il percorso fin qui svolto presenta infatti molte difficoltà. Non tanto perché è possibile cadere in una sorta di inconscia commemorazione agiografica, quanto perché il lavoro svolto da "A" non è facilmente riassumibile in poche e brevi note redazionali. Si tratta infatti di una ampia produzione che investe molteplici campi e che ha una complessa "dignità" teorica che è difficile ricondurre entro poche linee interpretative. Tuttavia, vediamo ugualmente di dare risposta a questa domanda.
Potremmo subito cercare di definire quale è stata fin dall'inizio la "filosofia" di fondo della rivista, il pensiero complessivo che ha attraversato l'insieme della sua elaborazione teorica e ideologica. Due sono state le prospettive analizzatrici a cui si è rifatta questa "filosofia". La prima ha voluto sottolineare, contro ogni gnoseologia che legge la realtà secondo una chiave interpretativa di tipo gerarchico, la costante mobilità dell'azione sociale a tutti i livelli materiali e intellettuali prodotti dalla società. Ciò ha significato considerare la realtà nella sua incessante multiformità e pluridimensionalità, senza pretendere di cogliere e di stabilire un primato dell'economico sul politico, del politico sul sociale, del sociale sul culturale. La realtà è stata letta nella sua pluridimensionalità, non solo perché in sé è potenzialmente così, ma anche perché questo criterio di lettura ha coniugato una esigenza scientifica con una giusta e ovvia esigenza ideologica: mantenere e riflettere teoricamente l'equivalenza di ogni realtà significa infatti esprimere e realizzare l'idea egualitaria.
La seconda prospettiva analizzatrice si collega direttamente alla prima, nel senso che se la società può essere pensata nel suo incessante divenire, se la riproduzione del modello gerarchico è possibile ad ogni livello, proprio perché ogni attività umana è equivalente, ne deriva operativamente la necessità di un approccio interdisciplinare. Il tentativo è quello di aggredire la realtà sociale contemporaneamente da più punti di vista, perché vi è stato il riconoscimento dell'interdipendenza di tutti i suoi fattori e della loro sostanziale, equivalente importanza. La lettura complessiva è stata insomma quella di delineare e di esplicitare una teoria sociologica del potere.
Tutto ciò però non ha significato affatto un empirismo improvvisatore, una frettolosa e disordinata rincorsa dei temi volta per volta attuali. Al contrario, si è trattato di un modo di intendere l'analisi sociale e gli attori della realtà, secondo uno schema profondamente anarchico e libertario che ha preservato la rivista da grossi abbagli e da errori, non esenti, invece, in tutte le altre riviste "rivoluzionarie" sorte in questi ultimi dieci anni. Il "senso della misura" che ne è derivato non ha comunque solo preservato la rivista da errori, ma ciò che è più importante da facili demagogismi e da insulse esaltazioni.
L'approccio interdisciplinare volto alla comprensione di tutti i fenomeni antiautoritari apparsi negli ultimi anni, è convissuto comunque con alcune direttive teoriche di fondo relative soprattutto all'analisi dell'ascesa tecnoburocratica che è stata in questi anni letteralmente seguita passo per passo nei suoi progressivi insediamenti di potere. È importante sottolineare l'attenzione della rivista verso questo centrale fenomeno del nostro tempo perché tale attenzione permette di capire, indirettamente, proprio quanto dicevamo prima circa la non demagogia della rivista e la non stupida esaltazione di alcuni exploit "rivoluzionari".
Il lucido pessimismo che percorre si può dire l'intero arco degli articoli redazionali deriva infatti dalla consapevolezza delle vere e decisive tendenze di fondo della nostra epoca, tendenze che si esprimono nei tempi lunghi e di cui proprio l'ascesa tecnoburocratica ne è forse l'esempio più esplicativo ed esauriente. Così l'aver individuato l'ascesa dei "nuovi padroni" come vera tendenza di fondo di tutta un'epoca ha permesso, per contro, l'individuazione dei tempi brevi di questo complessivo processo di avanzamento tecnoburocratico, vale a dire l'identificazione di quei fenomeni a suo tempo ritenuti importanti e che invece proprio il tempo - questo grande galantuomo - si è impegnato a definirli nella loro reale importanza che è quella data dalla loro funzionalità e subalternità verso le tendenze di fondo espresse nei tempi lunghi. Basterà pensare a questo proposito all'"antifascismo militante" e cioè all'idiotismo della sinistra extraparlamentare che riteneva imminente nei primi anni '70 un colpo di Stato di destra, e che invece questa redazione bollò come un puro escamotage per mobilitare le masse allo scopo di obliterare nello stesso tempo il vero pericolo in corso e attuato grazie a questa "trovata": la manovra del compromesso storico implicante una sostanziale pace sociale. O, ancora, sempre l'insulsa esaltazione della sinistra extraparlamentare per le "vittorie" delle rivoluzioni anti-imperialistiche del terzo mondo, come ad esempio il Vietnam, in realtà vittorie sì contro il bieco imperialismo americano, ma, in definitiva nei tempi lunghi, vittoria pure della nuova classe dirigente comunista quale espressione dell'avanzata del collettivismo tecnoburocratico.
Ma la teoria dei tempi lunghi ha trovato un reale armonico riscontro grazie anche allo sforzo teorico di aggiornamento del patrimonio storico-ideologico, e in generale dei grandi temi dell'ideologia anarchica, sviluppato soprattutto nel primo periodo di vita della rivista. Il significato e lo scopo di tale aggiornamento fu quello di evidenziare una tradizione di pensiero che, data per superata dall'accademismo borghese e marxista, mostrava al contrario una grande straordinaria vitalità proprio in ordine ad alcuni problemi pressanti ed attuali che la cultura rivoluzionaria odierna stentava ad afferrare come, ad esempio, la stessa avanzata tecnoburocratica, la fine della centralità operaia, il mito assurdo della scienza proletaria. Una rifondazione del pensiero anarchico soprattutto diretta ad esplicitare, proprio a partire dalla teoria dei tempi lunghi, la fondamentale e decisiva distinzione fatta dall'anarchismo fra l'analisi dello sfruttamento, che è sempre l'analisi di un determinato potere storico, e l'analisi della disuguaglianza che è sempre l'analisi riguardante le leggi della riproducibilità del potere e quindi le leggi dell'esistenza del potere in quanto tale.
In effetti, se si scorrono le centinaia di articoli pubblicati su "A" è possibile riscontrare una netta preponderanza di analisi ideologiche, cioè di analisi riguardanti la struttura del potere e del suo modello gerarchico e disegualitario più che analisi relative a situazioni particolari di sfruttamento capitalistico. La spiegazione di questa significativa differenza è data non solo dal fatto che vi è stata, come abbiamo già detto, una attenzione maggiore verso il fenomeno dell'avanzata tecnoburocratica, ma anche e soprattutto dal fatto che si è voluto contribuire ad una teoria sociologica del potere in grado di spiegare, nei tempi lunghi, la riproducibilità del potere che si eternizza, appunto, nella disuguaglianza e perciò nella riproposizione del modello gerarchico.
Considerando questo punto di vista è facile vedere come la rivista abbia recepito e riprese alcune istituzioni fondamentali dei G.A.F. proprio riguardanti la differenza fra l'analisi dello sfruttamento e l'analisi della disuguaglianza, specialmente per quanto attiene alla decisiva questione teorica relativa alla divisione gerarchica del lavoro, nella sua specifica distinzione gerarchica fra lavoro manuale e lavoro intellettuale, fra funzioni sociali direttive e funzioni sociali esecutive. Si può dire a questo proposito che la funzione culturale e ideologica svolta da "A" è stata, proprio in ordine a questo problema, di fondamentale importanza. Grazie alla diffusione di questa teoria, che deve essere considerata centrale, il movimento anarchico contemporaneo ha trovato infatti un giusto ed agguerrito bagaglio teorico che ha permesso ai suoi gruppi e ai suoi aderenti più avvertiti di abbandonare definitivamente l'obsoleta analisi marxista delle classi, per altri versi ancora diffusa in alcuni settori del movimento italiano e internazionale.
La funzione di "A" è stata dunque decisiva per la rifondazione e la diffusione del pensiero anarchico, non solo durante il suo primo periodo di vita, ma anche dopo la "svolta" degli anni '75-76, vale a dire quando la rivista è passata ad un impegno meno ideologico aprendosi contemporaneamente alla domanda di libertarismo spontaneo che stava crescendo nei nuovi soggetti sociali. Non si è trattato infatti di abbandonare la coerenza ideale, ma di aprire questa al nuovo movimento sociale che chiedeva un passaggio immediatamente percorribile dalla rifondazione dell'ideologia alla possibilità di viverla per quel tanto che era possibile. Ma questa flessibilità non sarebbe stata comunque praticabile se non si fosse ugualmente mantenuta proprio quella coerenza ideale di fondo che ha caratterizzato l'intero pensiero redazionale.
E arriviamo così al vero nocciolo della questione. Il significato e la funzione di "A" si chiariscono infatti proprio nel suo secondo momento, nel senso che proprio allora si è rivelata la giustezza della scelta fatta sin dall'inizio relativa alla voluta non ingerenza politico-strategica rispetto alle lotte quotidiane del movimento anarchico. La coerenza ideologica non si è mai tramutata infatti in strumento di direzione e di pratico orientamento "politico" dei gruppi e degli individui, proprio perché sin dall'inizio la rivista si è posta coscientemente l'obiettivo di dare e di fare cultura anarchica. Questa posizione, più volte rimproverata (si parla, si parla, ma non si dice che cosa si deve fare) si è rivelata giustissima perché con il rifiuto del leaderismo si è potuta fare sia una vera opera direttamente ideologico-culturale, sia una vera opera di mediazione teorico-culturale fra le varie voci del movimento. Il pluralismo teorico di "A", che è sempre stato accompagnato alla sua coerenza ideologica, ha infatti permesso una continuità e una freschezza (che proprio la "svolta" del '75-76 documenta) difficilmente possibile se si fosse unito a questa coerenza ideologica una rigidezza strategica di parte.
Il significato della differenza fra la continuità ideologica e il momento della flessibilità teorica, che deve essere ricondotto alla fondamentale diversità fra la critica di un determinato potere storico e e la critica della riproducibilità del potere, rivela il senso dell'esistenza della rivista quale duplice strumento di analisi attuale e di analisi ideologica. Se la bardatura ideologica può rivelarsi anche pesante nell'analisi di alcune situazioni particolari di potere o di forme spontanee di libertà, essa diventa decisiva per capire le leggi della riproducibilità del potere, del modo in cui il potere si eternizza e si rinnova. Nel nocciolo duro dell'ideologia anarchica si racchiude quell'insieme di insegnamenti che, se utilizzati con intelligenza e con rigore, possono permettere, come hanno permesso finora, il rinnovamento critico e analitico della rivista. Soprattutto possono permettere quella lucidità, sempre sul filo del pessimismo, che dà paradossalmente, ma a pensarci bene non tanto, quella forza etica per proseguire nella lotta senza fine per la libertà e per l'uguaglianza.