Rivista Anarchica Online
Dieci anni di A-pensiero
di Nico Berti
Dal 1971 al 1980 abbiamo pubblicato 88 numeri, comprendenti oltre un migliaio di articoli, per
una tiratura complessiva di circa un milione di copie. Per tentare un primo bilancio qualitativo
dell'esperienza decennale di "A", abbiamo chiesto un contributo a Nico Berti, collaboratore di
"A" fin dal primo anno con lo pseudonimo Mirko Roberti; ci ha inviato questo pezzo
decisamente positivo. Nel dibattito che speriamo si apra, altri potranno mettere in luce carenze e
difetti della rivista, che - a noi stessi della redazione - non sembrano davvero pochi. (E
nemmeno a noi! - nota dei compagni tipografi).
Tracciare un primo bilancio critico della rivista, a dieci anni dalla sua nascita, non è certo un
compito facile. Delineare, nell'ambito di un angusto consuntivo, il significato ed il percorso fin
qui svolto presenta infatti molte difficoltà. Non tanto perché è possibile cadere in una sorta
di
inconscia commemorazione agiografica, quanto perché il lavoro svolto da "A" non è facilmente
riassumibile in poche e brevi note redazionali. Si tratta infatti di una ampia produzione che
investe molteplici campi e che ha una complessa "dignità" teorica che è difficile ricondurre entro
poche linee interpretative. Tuttavia, vediamo ugualmente di dare risposta a questa domanda. Potremmo subito
cercare di definire quale è stata fin dall'inizio la "filosofia" di fondo della
rivista, il pensiero complessivo che ha attraversato l'insieme della sua elaborazione teorica e
ideologica. Due sono state le prospettive analizzatrici a cui si è rifatta questa "filosofia". La
prima ha voluto sottolineare, contro ogni gnoseologia che legge la realtà secondo una chiave
interpretativa di tipo gerarchico, la costante mobilità dell'azione sociale a tutti i livelli materiali e
intellettuali prodotti dalla società. Ciò ha significato considerare la realtà nella sua
incessante
multiformità e pluridimensionalità, senza pretendere di cogliere e di stabilire un primato
dell'economico sul politico, del politico sul sociale, del sociale sul culturale. La realtà è stata letta
nella sua pluridimensionalità, non solo perché in sé è potenzialmente così,
ma anche perché
questo criterio di lettura ha coniugato una esigenza scientifica con una giusta e ovvia esigenza
ideologica: mantenere e riflettere teoricamente l'equivalenza di ogni realtà significa infatti
esprimere e realizzare l'idea egualitaria. La seconda prospettiva analizzatrice si collega direttamente alla prima,
nel senso che se la società
può essere pensata nel suo incessante divenire, se la riproduzione del modello gerarchico è
possibile ad ogni livello, proprio perché ogni attività umana è equivalente, ne deriva
operativamente la necessità di un approccio interdisciplinare. Il tentativo è quello di aggredire la
realtà sociale contemporaneamente da più punti di vista, perché vi è stato il
riconoscimento
dell'interdipendenza di tutti i suoi fattori e della loro sostanziale, equivalente importanza. La
lettura complessiva è stata insomma quella di delineare e di esplicitare una teoria sociologica del
potere. Tutto ciò però non ha significato affatto un empirismo improvvisatore, una frettolosa
e
disordinata rincorsa dei temi volta per volta attuali. Al contrario, si è trattato di un modo di
intendere l'analisi sociale e gli attori della realtà, secondo uno schema profondamente anarchico e
libertario che ha preservato la rivista da grossi abbagli e da errori, non esenti, invece, in tutte le
altre riviste "rivoluzionarie" sorte in questi ultimi dieci anni. Il "senso della misura" che ne è
derivato non ha comunque solo preservato la rivista da errori, ma ciò che è più importante
da
facili demagogismi e da insulse esaltazioni. L'approccio interdisciplinare volto alla comprensione di tutti i
fenomeni antiautoritari apparsi
negli ultimi anni, è convissuto comunque con alcune direttive teoriche di fondo relative
soprattutto all'analisi dell'ascesa tecnoburocratica che è stata in questi anni letteralmente seguita
passo per passo nei suoi progressivi insediamenti di potere. È importante sottolineare l'attenzione
della rivista verso questo centrale fenomeno del nostro tempo perché tale attenzione permette di
capire, indirettamente, proprio quanto dicevamo prima circa la non demagogia della rivista e la
non stupida esaltazione di alcuni exploit "rivoluzionari". Il lucido pessimismo che percorre si può dire
l'intero arco degli articoli redazionali deriva infatti
dalla consapevolezza delle vere e decisive tendenze di fondo della nostra epoca, tendenze che si
esprimono nei tempi lunghi e di cui proprio l'ascesa tecnoburocratica ne è forse l'esempio più
esplicativo ed esauriente. Così l'aver individuato l'ascesa dei "nuovi padroni" come vera tendenza
di fondo di tutta un'epoca ha permesso, per contro, l'individuazione dei tempi brevi di questo
complessivo processo di avanzamento tecnoburocratico, vale a dire l'identificazione di quei
fenomeni a suo tempo ritenuti importanti e che invece proprio il tempo - questo grande
galantuomo - si è impegnato a definirli nella loro reale importanza che è quella data dalla loro
funzionalità e subalternità verso le tendenze di fondo espresse nei tempi lunghi. Basterà
pensare a
questo proposito all'"antifascismo militante" e cioè all'idiotismo della sinistra extraparlamentare
che riteneva imminente nei primi anni '70 un colpo di Stato di destra, e che invece questa
redazione bollò come un puro escamotage per mobilitare le masse allo scopo di obliterare nello
stesso tempo il vero pericolo in corso e attuato grazie a questa "trovata": la manovra del
compromesso storico implicante una sostanziale pace sociale. O, ancora, sempre l'insulsa
esaltazione della sinistra extraparlamentare per le "vittorie" delle rivoluzioni anti-imperialistiche
del terzo mondo, come ad esempio il Vietnam, in realtà vittorie sì contro il bieco imperialismo
americano, ma, in definitiva nei tempi lunghi, vittoria pure della nuova classe dirigente
comunista quale espressione dell'avanzata del collettivismo tecnoburocratico. Ma la teoria dei tempi lunghi ha
trovato un reale armonico riscontro grazie anche allo sforzo
teorico di aggiornamento del patrimonio storico-ideologico, e in generale dei grandi temi
dell'ideologia anarchica, sviluppato soprattutto nel primo periodo di vita della rivista. Il
significato e lo scopo di tale aggiornamento fu quello di evidenziare una tradizione di pensiero
che, data per superata dall'accademismo borghese e marxista, mostrava al contrario una grande
straordinaria vitalità proprio in ordine ad alcuni problemi pressanti ed attuali che la cultura
rivoluzionaria odierna stentava ad afferrare come, ad esempio, la stessa avanzata
tecnoburocratica, la fine della centralità operaia, il mito assurdo della scienza proletaria. Una
rifondazione del pensiero anarchico soprattutto diretta ad esplicitare, proprio a partire dalla teoria
dei tempi lunghi, la fondamentale e decisiva distinzione fatta dall'anarchismo fra l'analisi dello
sfruttamento, che è sempre l'analisi di un determinato potere storico, e l'analisi della
disuguaglianza che è sempre l'analisi riguardante le leggi della riproducibilità del potere e quindi
le leggi dell'esistenza del potere in quanto tale. In effetti, se si scorrono le centinaia di articoli pubblicati su "A"
è possibile riscontrare una netta
preponderanza di analisi ideologiche, cioè di analisi riguardanti la struttura del potere e del suo
modello gerarchico e disegualitario più che analisi relative a situazioni particolari di sfruttamento
capitalistico. La spiegazione di questa significativa differenza è data non solo dal fatto che vi è
stata, come abbiamo già detto, una attenzione maggiore verso il fenomeno dell'avanzata
tecnoburocratica, ma anche e soprattutto dal fatto che si è voluto contribuire ad una teoria
sociologica del potere in grado di spiegare, nei tempi lunghi, la riproducibilità del potere che si
eternizza, appunto, nella disuguaglianza e perciò nella riproposizione del modello
gerarchico. Considerando questo punto di vista è facile vedere come la rivista abbia recepito e riprese
alcune
istituzioni fondamentali dei G.A.F. proprio riguardanti la differenza fra l'analisi dello
sfruttamento e l'analisi della disuguaglianza, specialmente per quanto attiene alla decisiva
questione teorica relativa alla divisione gerarchica del lavoro, nella sua specifica distinzione
gerarchica fra lavoro manuale e lavoro intellettuale, fra funzioni sociali direttive e funzioni
sociali esecutive. Si può dire a questo proposito che la funzione culturale e ideologica svolta da
"A" è stata, proprio in ordine a questo problema, di fondamentale importanza. Grazie alla
diffusione di questa teoria, che deve essere considerata centrale, il movimento anarchico
contemporaneo ha trovato infatti un giusto ed agguerrito bagaglio teorico che ha permesso ai suoi
gruppi e ai suoi aderenti più avvertiti di abbandonare definitivamente l'obsoleta analisi marxista
delle classi, per altri versi ancora diffusa in alcuni settori del movimento italiano e internazionale. La funzione
di "A" è stata dunque decisiva per la rifondazione e la diffusione del pensiero
anarchico, non solo durante il suo primo periodo di vita, ma anche dopo la "svolta" degli anni
'75-76, vale a dire quando la rivista è passata ad un impegno meno ideologico aprendosi
contemporaneamente alla domanda di libertarismo spontaneo che stava crescendo nei nuovi
soggetti sociali. Non si è trattato infatti di abbandonare la coerenza ideale, ma di aprire questa al
nuovo movimento sociale che chiedeva un passaggio immediatamente percorribile dalla
rifondazione dell'ideologia alla possibilità di viverla per quel tanto che era possibile. Ma questa
flessibilità non sarebbe stata comunque praticabile se non si fosse ugualmente mantenuta proprio
quella coerenza ideale di fondo che ha caratterizzato l'intero pensiero redazionale. E arriviamo così al
vero nocciolo della questione. Il significato e la funzione di "A" si
chiariscono infatti proprio nel suo secondo momento, nel senso che proprio allora si è rivelata la
giustezza della scelta fatta sin dall'inizio relativa alla voluta non ingerenza politico-strategica
rispetto alle lotte quotidiane del movimento anarchico. La coerenza ideologica non si è mai
tramutata infatti in strumento di direzione e di pratico orientamento "politico" dei gruppi e degli
individui, proprio perché sin dall'inizio la rivista si è posta coscientemente l'obiettivo di dare e di
fare cultura anarchica. Questa posizione, più volte rimproverata (si parla, si parla, ma non si dice
che cosa si deve fare) si è rivelata giustissima perché con il rifiuto del leaderismo si è potuta
fare
sia una vera opera direttamente ideologico-culturale, sia una vera opera di mediazione
teorico-culturale fra le varie voci del movimento. Il pluralismo teorico di "A", che è sempre stato
accompagnato alla sua coerenza ideologica, ha infatti permesso una continuità e una freschezza
(che proprio la "svolta" del '75-76 documenta) difficilmente possibile se si fosse unito a questa
coerenza ideologica una rigidezza strategica di parte. Il significato della differenza fra la continuità
ideologica e il momento della flessibilità teorica,
che deve essere ricondotto alla fondamentale diversità fra la critica di un determinato potere
storico e e la critica della riproducibilità del potere, rivela il senso dell'esistenza della rivista
quale duplice strumento di analisi attuale e di analisi ideologica. Se la bardatura ideologica può
rivelarsi anche pesante nell'analisi di alcune situazioni particolari di potere o di forme spontanee
di libertà, essa diventa decisiva per capire le leggi della riproducibilità del potere, del modo in cui
il potere si eternizza e si rinnova. Nel nocciolo duro dell'ideologia anarchica si racchiude
quell'insieme di insegnamenti che, se utilizzati con intelligenza e con rigore, possono permettere,
come hanno permesso finora, il rinnovamento critico e analitico della rivista. Soprattutto possono
permettere quella lucidità, sempre sul filo del pessimismo, che dà paradossalmente, ma a
pensarci bene non tanto, quella forza etica per proseguire nella lotta senza fine per la libertà e per
l'uguaglianza.
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