Rivista Anarchica Online
Spagna senza illusioni
di Pep Castells y Casellas (trad. Andrea Chersi)
"Secondo me, uno dei problemi più gravi che oggi l'anarchismo deve affrontare è quello di
arrivare ad una chiarificazione delle posizioni che gli permetta di precisare l'ambito nel quale
deve svilupparsi". (1) Nell'articolo da cui è stato tratto il brano riportato, Jocas menziona due
fattori come cause di questa incapacità, da parte dell'anarchismo, di individuare l'ambito in cui
deve crescere. Da un lato l'influenza della terminologia e degli schemi marxisti e dall'altro il
predominio, in un determinato periodo storico, dell'anarcosindacalismo (la CNT) rispetto al
movimento libertario. Nell'articolo, l'autore sostiene che gli anarchici non sono economicisti e
successivamente "ripara" il torto, il malinteso della confusione creata tra lo specifico (l'intervento
nel movimento operaio) e il generico (l'anarchismo). Confusione che regna soprattutto
nell'ambiente libertario spagnolo, in cui era apparso naturale, da tempo, definire la federazione
dei gruppi anarchici (FAI) come "l'organizzazione specifica". Esiste evidentemente, al di là della
problematica teorica e delle sue implicazioni logiche nella realtà d'ogni giorno, una reale e
spossante carenza di delimitazione dello spazio d'intervento dell'anarchismo, in generale, ed in
Spagna in particolare. L'anarchismo spagnolo, dopo il 1939, non ha avuto, ad eccezione dei gruppi militanti
contro il
regime fino al 1970 all'incirca, neppure una sola immagine di propaganda conosciuta al di fuori
del campo accademico, in cui si studiava la storia o la filosofia recente del nostro paese. Dopo la
"liberalizzazione" formale dal franchismo (la democrazia) l'intervento dell'anarchismo spagnolo
si è accentrato esclusivamente (salvo rare eccezioni individuali) nel campo del sindacato
anarcosindacalista, col quale ha condiviso, tra l'altro, gli errori cui facevamo riferimento. (2)
Dove forse l'anarchismo ha avuto una presenza come tale, per quanto sempre piena di errori, è
stato nella sua lotta (che però non è andata oltre le semplici e insufficienti campagne
propagandistiche) contro la repressione e le carceri. Cercheremo di individuare alcune delle cause che han fatto
assopire l'anarchismo spagnolo. È
purtroppo chiarissima l'inesistenza di una "educazione" (non intesa come lezione, bensì come
frutto di discussione, confronto e dibattito) anarchica dopo gli anni '40 in questo paese. Ad
eccezione dell'opposizione borghese nazionalista (basca e catalana) non esiste in Spagna,
neppure formalmente, alcuna opposizione se non quella che viene covata nel marxismo. Nessuno
può negare che in questo paese la prima letteratura (per così dire) di opposizione politica che
appare in contrapposizione al franchismo è quella marxista, in tutte le sue varianti. Persino dei
gruppi che alcuni anarchici han voluto "recuperare" hanno utilizzato e pubblicato materiale
marxista. Ciò non impedisce che interventi concreti o individui sfuggano alla "etichettatura"
tanto in auge nei primi istanti democratici o nei rantoli del franchismo. Anche questo è un errore
che tutti dovremmo correggere: il vizio di etichettare in modo assoluto l'atteggiamento ed il
comportamento di uomini e gruppi. Ciò, a volte, ha fatto sì che per la semplice etichetta non si
accettassero atteggiamenti davvero rivoluzionari. Uno dei grandi assenti è stato l'uomo, l'individuo:
credo che anche in questo si constati
l'influenza marxista. Per una curiosa, eccessiva concezione dell'uguaglianza tra tutti, si sono
represse tutte le possibilità d'esistenza di vere individualità che potevano esprimere con la loro
persona e coi loro atteggiamenti tutto ciò che risulta fugace ed etereo in un clima che vorrebbe
conferire, in modo demagogico ma non effettivo, il potere decisionale e di intervento ad un solo
soggetto: la massa. Di ciò hanno approfittato i camaleonti politici lanciati in una corsa sfrenata
per il potere (condividere il potere anche dall'opposizione) che sono riusciti a fare in modo che
sia sempre più accettata (non messa in discussione) la professionalizzazione della politica. A ciò
ha contribuito anche un'errata interpretazione del concetto di politica di molti che passano per
anarchici. Mai come ora la delega del potere decisionale da uno ad altri è stata tanto istituzionalizzata.
Sempre di più, per la conservazione della democrazia borghese, si concede ai politici la
possibilità assoluta di decidere. Fino al punto che ultimamente non solo si parla, per giustificare
il tutto, della necessità di "stabilizzare" la democrazia, ma i mezzi di comunicazione parlano già
della necessità di stabilizzazione dei grandi partiti. La separazione tra l'apparato statale e gli
apparati politici da una parte ed il popolo e la base dall'altra, è ormai cosa evidente. D'altro canto,
i cedimenti del movimento operaio nelle gerarchie di alcune centrali sindacali che corrispondono
solamente agli interessi elettorali dei loro partiti, rendono la cosa pubblica, l'interesse generale,
un prodotto commerciale, elettorale, cui non si concede altra attenzione. Tutto ciò mi porta a due
conclusioni possibili, che si escludono a vicenda. Stiamo ritornando al
Medioevo in quanto a sistema politico, con un progresso tecnologico che non riusciamo a
controllare. O, al contrario, qualcuno (3) dovrà trovare il modo per mettere a nudo le
contraddizioni di un sistema che non avrà più via d'uscita nel momento in cui si accentuerà
la
scarsità dei beni quando il Terzo Mondo non sarà più la riserva dell'Occidente. Senza
mettermi a giudicare, atteggiamenti come la rinuncia dei "disincantati" che si rifugiano o
fuggono nella campagna (successori degli hippies, con connotazioni meno idealiste) oppure la
rinuncia tacita di coloro che si integrano, portano ad una situazione la cui struttura sociale può
essere paragonata a quella medievale. Altrettanto evidente lo sviluppo e la nascita di numerose
religioni che lasciano alla divinità la decisione del futuro storico e sottomettono gli avvenimenti a
volontà soprannaturali, rinunciando, in funzione di questo misticismo, alla pratica della politica. Ogni
volta di più, a causa della stessa crisi economica, gli strati sociali si assottigliano e le
comunità, se così si possono chiamare, si ripiegano su se stesse, lasciando che i signori feudali
(Felipe Gonzalez o Adolfo Suarez) agiscano nello spazio politico, spazio per il quale il popolo
prova sempre minor interesse. Ho detto lasciando ai signori feudali, così, lasciandoli,
consapevolmente, senza la minore preoccupazione, senza rifiuto né approvazione. La casta dei
professionisti politici è davvero la classe feudale che negozia col potere economico, facendogli
da amministratore, e con la Chiesa, in funzione degli interessi che assicurano la sua continuità.
Gli scontri in ogni caso avverranno per questa causa, e non per la rappresentatività che essi
dicono di avere. In questo quadro, che cosa ha fatto e cosa può fare l'anarchismo? Anche su questo
problema
facciamo dei raffronti. Evidentemente la crisi del marxismo in tutto il mondo si è riflessa in
Spagna. L'eurocomunismo come forma "civilizzata" di interpretazione storica, compromesso con
le forme di potere in Europa, non ha nulla a che vedere col marxismo-leninismo. Ma è anche
certo che dalle categorie marxiste sono uscite negli ultimi decenni vere analisi (che non
condivido del tutto) critiche, persino nei riguardi delle stesse categorie, per l'interpretazione di
questa società. Con maggior o minor fortuna il marxismo (diciamo critico) ha ottenuto una certa
diffusione teorica durante gli ultimi anni in Spagna. Lo stesso dissenso provocato nei partiti
comunisti ufficiali ha creato uno staff di teorici (professori universitari, intellettuali, ecc.) che
quanto meno occorre considerare onesti, il che in quest'epoca di sfrontatezza e incertezza
assolute è ammirevole. Peccato che un settarismo diffuso soffochi questi elementi progressisti
che esistono al di fuori degli apparati politici. Ma l'anarchismo non è riuscito a crearsi un'immagine
teorica rispettabile, in grado di mantenere
una posizione dialettica rispetto alla situazione attuale. (Ciò non coinvolge coloro che in
determinati momenti son riusciti a mantenere una notevole coerenza ideologica da una
prospettiva libertaria). Da un lato, a causa di una certa avversione verso l'intellettuale che si
respira in certi ambienti anarchici profondamente operaisti (operaisti in un momento in cui il
movimento operaio ha perduto ogni identità). D'altro lato la sottomissione dell'anarchismo
spagnolo (in generale) alla pratica operaista del sindacato anarcosindacalista ha sempre frenato la
creatività e la fantasia che spettavano di diritto all'anarchismo, cosa che, inoltre, avrebbe persino
fatto funzionare molto meglio il sindacato stesso. La creazione della Federazione Anarchica Iberica (con gli
stessi errori del sindacato
anarcosindacalista), che voleva riempire il supposto vuoto "generico" dell'anarchismo, ha
rappresentato un salto nel vuoto, senza alcuna struttura (impossibile in questo momento e senza
alcuna tradizione pratica negli ultimi anni) che non ha fatto altro che creare una assurda
dicotomia nella CNT. Assurda dicotomia che bipolarizza (ad eccezione di alcuni eterodossi, tra i
quali mi metto io) i militanti in "anti" e "pro" FAI, senza considerazioni ideologiche
sull'anarchismo. Errore tremendo che stiamo tutti pagando. Da una prospettiva libertaria non è stato
realizzato il benché minimo tentativo di lavoro
internazionalista; contraddizione evidente per chi si chiami anarchico. Ricordo in concreto che in
un Pleno Regionale della CNT di Catalogna proposi, a nome del sindacato edile di Barcellona,
che si discutessero approfonditamente gli effetti che avrebbe potuto provocare l'entrata o meno
della Spagna nel Mercato Comune. Un noto militante "anarchico", ironicamente canzonandomi,
chiese perché non discutevamo della NATO. Per lui esistono problemi molto più importanti di
queste discussioni. È questo un esempio della confusione nell'interpretazione di concetti
(apoliticismo, internazionalismo...) da parte di individui che ostentano e si fan vanto del loro
anarchismo militante. Gli anarchici spagnoli son maggiormente impegnati nel campo dei rapporti di produzione
(da una
prospettiva puramente economicista) che nell'affrontare seriamente il problema rappresentato
dalla qualità della vita e dal loro possibile intervento. C'è una notevole differenza strutturale
urbanistica nel nostro paese, tra le metropoli mastodontiche ed i piccoli comuni. Gli interessi
capitalistici cercano sempre più di regolare questa differenza in funzione della programmazione
industriale ed energetica che deve mantenere la loro industria. A questo contribuisce la
distribuzione dei piani energetici senza la benché minima considerazione per il mantenimento
della stabilità degli ecosistemi. In grandi aree della Catalogna, ad esempio, gli eucalipti hanno
soppiantato le conifere, la degradazione della fauna dei fiumi e della vegetazione nelle zone verdi
è giunta addirittura a provocare notevoli mutazioni climatiche. Dinanzi a ciò, i partiti politici han
fatto la loro campagna elettorale, compromessi col sistema, senza altra preoccupazione che, in
ogni caso, quella di cogestire il disastro. Alcuni gruppi ecologici non sono neppure riusciti a
rendere cosciente il personale... gli anarchici sono andati, come molti, a rimorchio degli
ecologisti. In una società in cui il lavoro è un oltraggio alla dignità umana, alcuni
anarchici continuano ad
essere impregnati di un moralismo operaista degno del secolo XIX. Mettere in discussione il
lavoro in una società che ha deviato la produzione fino ad ottenere che la crisi sia frutto
dell'eccesso, è per alcuni anarchici un'eresia: "L'operaio della fabbrica, sfruttato, incolto, solo lui
deve fare la rivoluzione". In un fine secolo in cui proliferano le religioni, noi anarchici spagnoli
non abbiamo ancora fatto niente contro la Chiesa. Sono conscio che il problema ruota attorno ad un'aspetto: il
possibilismo. Sul modo di
interpretarlo si basa la differenza. Per alcuni anarchici è necessario ottenere vittorie qui, ora ed in
questo momento. Questo è, oggi, possibilismo, perché per ottenere la vittoria ora e qui, occorre
farlo con la gente di qui e di oggi, un movimento operaio colle braghe calate, ipnotizzato dal
delirio della democrazia e che elegge comitati sindacali perché negozino per loro e gestiscano
l'indennità di disoccupazione, la crisi. Per me, rimane solo il suicidio armato nello scontro assoluto o
il mantenimento e la difesa di
alcuni criteri, cosciente che non rappresentano una vittoria evidente, concreta, ma che
costituiscono la garanzia dell'esistenza dell'utopia. È giunto il momento, in questo riflusso
storico, di dire che non esiste autogestione possibile, non si può autogestire lo Stato né la
Trilaterale. Non si può, né penso che si debba volere, autogestire le fabbriche del capitalismo.
È
giunto il momento di dire che gli operai si son stancati, sono vigliacchi e ingoiano. A partire da
qui, vediamo tra i pochi che siamo, che cosa possiamo fare, ma non sognate mai più nella
rivoluzione delle masse.
1) Gerard Jacas, Refutación de algunos errores y malentendidos en que incurre el
anarquismo
español en la actualidad, NADA n. 3, Inverno '79. (La sottolineatura è
mia). 2) Nel mio articolo pubblicato da Ruta, organo delle Gioventù
Libertarie e da A-Rivista
Anarchica "La CNT elemento disgregatore del movimento libertario" alludevo a questo
tema. 3) qualcuno: è chiaro che non invoco un messia. In questo "qualcuno" in qualche
modo si riflette
il problema intero dell'articolo. Se si mette in discussione la lotta di classe e la definizione
classica di classe, si dovrà definire chi è questo "qualcuno" che si trasforma in soggetto
storico.
Il caso Scala
Con 3 condanne a 17 anni ciascuno per i compagni Cuevas, Canadas e Palma, ed altre 3
condanne lievi (in seguito alle quali altrettanti compagni sono stati scarcerati, avendole già
ampiamente scontate), si è concluso lo scorso mese di dicembre a Barcellona il
processo/montatura contro alcuni compagni libertari accusati per l'attentato al locale pubblico
Scala. Questo attentato fu attuato da ignoti la sera del 15 gennaio '78 e provocò 4 morti
tra i lavoratori
ed i frequentatori del locale. Nonostante l'assoluta mancanza di indizi, nonostante il fatto che
3/4 dei lavoratori di quel locale fossero aderenti al sindacato dello spettacolo della C.N.T., la
polizia, la magistratura ed i mass-media di regime incominciarono subito a battere la pista
anarchica e cenetista, tentando addirittura di collegare la manifestazione che al mattino aveva
organizzato la C.N.T. contro il "patto della Moncloa" con il provocatorio attentato
indiscriminato contro il locale Scala. La C.N.T. reagì subito contro questa campagna
diffamatoria, citando in giudizio lo Stato ed i suoi organi di informazione e chiedendo un
miliardo di lire a titolo di riparazione per i danni morali subiti: tale somma, qualora ottenuta,
sarebbe stata devoluta ai lavoratori rimasti disoccupati ed ai parenti disoccupati delle vittime
dell'attentato. Il governo regionale catalano riconobbe pubblicamente l'estraneità della C.N.T.
con un comunicato pubblicato sulla stampa. Collegando la campagna diffamatoria intorno al
caso Scala con altre, numerose provocazioni attuate dallo Stato contro la C.N.T. in un passato
lontano ed anche vicino, il movimento libertario spagnolo si è subito impegnato in una vasta
campagna di controinformazione e contro-indagine. Sono emerse così tutta una serie di "strane
coincidenze": qualche giorno prima dell'attentato furono ritirate dal locale le telecamere della
TV che stavano filmando da tempo gli spettacoli in vista di un programma televisivo;
l'edicolante che lavorava di fronte all'entrata del locale e che era stato testimone diretto
dell'attentato è morto in circostanze misteriose; un fotoreporter che, abitando anche lui di fronte
al locale, aveva realizzato un servizio, si vide acquistare il tutto da uno sconosciuto, dopo che
alcune foto erano apparse sulla stampa quotidiana; ecc.. Questi ed altri fatti - come l'identikit
dei presunti attentatori, dimostratosi assolutamente inapplicabile ai compagni incriminati -
hanno messo in luce il carattere di vera e propria persecuzione politica dell'intero caso
Scala. Approssimandosi il processo, poi, la polizia ha effettuato a partire dallo scorso ottobre una
serie
di retate, perquisizioni, arresti negli ambienti libertari, che tra l'altro hanno portato all'arresto e
all'incriminazione per reati previsti dalla "legge anti-terrorismo" del compagno Luis Andres
Edo, uno dei militanti più noti dell'anarco-sindacalismo spagnolo. Già detenuto per vari anni
durante il regime franchista per la sua intensa attività antifascista, Edo fu scarcerato anche in
seguito ad una mobilitazione internazionale - della quale si fece promotore in Italia il Comitato
Spagna Libertaria. All'indomani della sua liberazione Edo ha ripreso la sua intensa militanza,
partecipando anche ad iniziative pubbliche in Italia (lo scorso settembre a Venezia è stato tra i
relatori al convegno internazionale di studi sull'autogestione). Dopo le retate antianarchiche degli
scorsi mesi e le pesanti condanne al processo per il caso
Scala, il movimento libertario spagnolo è impegnato a fondo in una campagna politico-giudiziaria di
denuncia e di controinformazione.
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