Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 89
febbraio 1981


Rivista Anarchica Online

Ma Napoli trema ancora
di Centro redazionale della provincia di Napoli

Dopo poco più di due mesi da quel tragico 23 novembre 1980 il ricordo del terremoto sembra farsi più labile, i suoi contorni paiono sbiaditi. Le emozioni, le paure, la costernazione, i sentimenti di solidarietà, così forti all'indomani della tragedia, sembrano dileguarsi come la prima nebbia in autunno. Anche i grandi mezzi di comunicazione non ne parlano quasi più, la grande stampa relega le poche notizie nelle pagine interne; se si ritorna su quanto è accaduto lo si fa solo con toni strappalacrime e con accenti pietistici. Anzi sul dopo terremoto e sulla ricostruzione, sulla gestione dei fondi stanziati, sulla spartizione di tanti miliardi, sulle lotte a coltello tra opposti gruppi di potere il silenzio è d'obbligo, in modo che la piovra dai mille tentacoli del sistema di potere nel sud possa "lavorare" meglio, aumentando la sua forza e la sua capacità di penetrazione. A scorrere un po' tutti i giornali pare che la situazione nelle zone terremotate sia tornata alla normalità e quindi quella operazione di rimozione di tutto ciò che causa fastidio e dolore può essere felicemente condotta in porto. E poi si tratta sempre del profondo sud, "dell'altra Italia", di zone cioè considerate di peso all'economia e allo sviluppo del paese. Quindi della loro sorte non c'è da preoccuparsi più di tanto.
In realtà le cose stanno diversamente: solo ora comincia a delinearsi la gravità del disastro e ci vorrà ancora del tempo, occhi bene aperti e disponibilità a capire per valutare totalmente la sua portata. Il piano di sgombro previsto da Zamberletti ("l'arretramento a valle") è in parte fallito, i legami con la terra sono troppo forti, i più sono rimasti per recuperare quanto era recuperabile, per badare alla terra e alle bestie. Altri hanno preferito emigrare o in paesi europei o addirittura oltreoceano. Lo stato con "generosità" ha pagato loro il biglietto, di sola andata sia ben chiaro, per la destinazione prescelta. Da così lontano, anche se può sembrare paradossale, hanno maggiori speranze di tornare in un futuro più o meno lontano, ritrovando magari, in piccolo, la comunità del proprio paese, e il calore dell'ambiente perso sotto le macerie. È segno tutto questo di una profonda atavica sfiducia nello stato: diffidenza storicamente giustificata, umanamente comprensibile e legittima da ogni punto di vista. Uno stato estraneo ed ostile che si ricorda di queste genti quando c'è da far pagare loro le tasse, quando c'è da mandare i giovani sotto le armi e quando c'è bisogno di manodopera a basso prezzo in altri punti del paese. Uno stato che anche in stato di calamità manda nei paesi colpiti prima i suoi ministri e i suoi rappresentanti, poi i suoi generali infine i soccorsi male organizzati. Uno stato che si preoccupa di impedire e di bloccare ogni iniziativa autonoma, tendente allo sviluppo di queste zone, e che tiene legata a sé, totalmente dipendente, grazie al sistema delle pensioni, che concede con la mediazione dei notabili locali veri e propri padroni assoluti legati a doppio filo a pratiche camorristiche che neanche in queste occasioni vengono meno, anzi, sembrano rafforzarsi proprio nel dolore e sulla miseria dei tanti.
Situazione forse peggiore a Napoli, dove il cuore della città è completamente sconvolto. Il centro storico è in parte pericolante e sgombrato, in parte puntellato. Ciò vuol dire che è stato colpito a morte il piccolo commercio, il piccolo artigianato e tutta quella economia sommersa che rappresentava l'unica risorsa economica di migliaia di famiglie. Qui ogni casa era un piccolo laboratorio, ogni basso una piccola officina. Sempre in questa zona della città esistevano decine e decine di piccole fabbriche i cui i prodotti giravano il mondo. Tutto ciò è stato spazzato via dal terremoto. Anche a Napoli come in Irpinia lo stato ha cercato "di alleggerire" la città, ma anche qui c'è stato un mezzo fallimento, una parte si è "arrangiata" rifiutando l'esodo perché sanno che in città ci sono ventimila alloggi sfitti che le autorità non vogliono toccare, per non diventare impopolari e non pregiudicare i loro successi elettorali, in parte perché si è organizzata dando vita ad un movimento spontaneo di occupazione di case senza precedenti riversandosi sulla 167 nella periferia più prossima di Napoli e sulle scuole della città. Anche a Napoli si sta riversando una pioggia di miliardi: e proprio perché nessuno vuole rinunciare a una fetta di tale torta si parla di apertura al PCI nella giunta regionale, in cambio di un ingresso della DC in quella comunale a Napoli. Intanto la città è sempre più frequentemente percorsa dai cortei dei terremotati che si sono aggiunti ai senzatetto. Unica nota stonata, i fasci: questi, mentre fino alla tragica domenica di Novembre guidavano i senzatetto in funzione di "capopopolo" sono spariti, tranne che nei primi giorni di occupazione della 167 con provocazioni più o meno grosse, senza peraltro sortire molto effetto. Un'altra Reggio Calabria? È possibile, come è possibile che lo spirito di "adattamento" del napoletano si adatti e riprenda nella sua precarietà "quell'economia del vicolo" che è saltata. Rimarrebbe il problema delle scuole occupate, della camorra, sempre più spregiudicata intraprendente e tollerata, ci sarebbero, ancora, tanti altri interrogativi che rendono la situazione assolutamente instabile e sempre in evoluzione per cui, a voler guardare attentamente le cose si rischierebbe di rimanere seduti solo in poltrona e in ogni caso riuscire a far luce in questa situazione significherebbe "Acchiappa cinche nummere 'o banch'lott'".