Rivista Anarchica Online
La società della crisi
di Francesco Codello
Due fatti di grossa attualità che hanno coperto le prime pagine dei giornali ed occupato gran parte
dei telegiornali e dei notiziari radio in questi ultimi mesi sono: lo scandalo dei petroli e la
sciagura del terremoto in Irpinia. Credo sia interessante cercare di interpretare le reazioni dei
cittadini e degli organi di informazione di massa nei confronti di questi due fatti che sono
particolarmente esemplari e significativi di una crisi ormai diffusa capillarmente in ogni aspetto e
livello della vita sociale. Lo scandalo dei petroli, che ha visto protagonisti i "soliti" uomini politici,
alti ufficiali della
Guardia di Finanza, petrolieri più o meno grandi ed importanti; lo scandalo delle bollette IVA;
lo
scandalo della mancata tempestività nei soccorsi alle popolazioni terremotate; lo
scandalo.... Si
tratta di una parola ormai entrata nel vocabolario di tutti i cittadini italiani, sempre accompagnata
dall'altra parola "crisi". Ma gli scandali, la crisi non sono più ormai unicamente attributi del
palazzo, sono diventati gli accompagnatori abituali della provincia. Il malcostume e il
malgoverno (meglio sarebbe dire "la pratica di governo") sono ormai diffusi capillarmente, sono
sotto gli occhi di tutti coloro che possono vedere, di tutti coloro che vogliono vedere e pensare.
Numerosi sono infatti gli esempi che avvalorano questa tesi, troppo lungo l'elenco dei "piccoli
scandali" di provincia per essere steso e completato. Nonostante ciò la situazione non muta. Nel
momento in cui lo sfascio delle istituzioni sembra
totale, nel momento in cui gli stessi uomini politici di professione parlano di "moralizzazione"
della vita politica (ma chi moralizza gli amorali, forse un amorale stesso?); nel momento in cui il
maggior quotidiano italiano scrive in prima pagina (a proposito del terremoto) "Le vie dei
soccorsi al Sud sono infinite. Partono da Milano non passano per lo Stato" (Corriere della Sera
del 23 novembre 80); nel momento in cui tutti i "fedeli servitori dello stato" lamentano il distacco
sempre maggiore che vi è tra paese civile ed istituzioni, nonostante ciò, tutto apparentemente
continua come prima, niente viene a turbare il diffuso assistenzialismo. Anzi forse mai come ora
lo Stato è forte, nonostante l'aumento delle astensioni alle elezioni, il clown Pannella, i manovali
dell'omicidio-suicidio delle B.R. e del partito armato. La realtà è probabilmente riassumibile in
un concetto: il passaggio da una crisi del sistema ad un sistema della crisi. La nostra società è
fondata sullo spettacolo, sulla capacità di recitare, in cui chiunque, per potere
propagandare se stesso e/o i suoi ideali, deve stupire inventando sempre qualche cosa di nuovo,
di diverso, a volte persino qualche cosa di "alternativo", non solo continua a sopravvivere con i
suoi privilegi istituzionali, con le sue angherie e violenze, ma anzi si ripropone come ineluttabile
e fondamentalmente immutabile. Una domanda è a questo punto legittima. Perché? Credo che
ci siano due livelli diversi, ma complementari, di risposte. La prima ragione consiste
nel fatto che lo scandalo, la crisi sono ormai "mal comune", sono cioè pratica quotidiana non solo
del Palazzo, ma di tanti cittadini. Troppi ormai sono i corrotti, seppur a livelli diversi. Per un
lavoro, per una pensione, per una raccomandazione, per una casa, per una tomba in cimitero, per
tutto, è necessario avere l'amicizia giusta, la conoscenza adeguata. Noi stessi, senza falsi pudori,
viviamo a volte in queste appendici del Palazzo, noi stessi probabilmente almeno una volta
siamo stati corruttori e/o corrotti. Questa constatazione non ci ha comunque portato alle
conclusioni cui sono arrivati la maggioranza dei cittadini, poiché noi vogliamo, e lo vogliamo
profondamente, mutare noi stessi mutando questa società. In questo modo, anche se non solo in
questo, si spiega il perché un partito come la DC possa dopo trentacinque anni governare ancora
con una maggioranza vasta e difficilmente riducibile. Inoltre bisogna considerare che i livelli
materiali si sono decisamente alzati in questi ultimi trentacinque anni e la gente si è adagiata su
di essi senza interrogarsi sull'opportunità di una qualità diversa della vita. Un secondo livello
di spiegazione consiste probabilmente nell'analizzare in che modo e in che
misura vi è realmente un distacco tra il paese e le istituzioni. Anche in questo caso credo vi sia un
elemento che riassume probabilmente una situazione di trapasso: stiamo infatti vivendo il
passaggio da uno Stato rappresentativo a uno Stato rappresentato. Infatti se da una parte vi è una
disaffezione reale tra i cittadini e la "politica", tra l'uomo qualunque e il politico di professione (e
i sintomi sono evidenti a tutti), vi è però un cercare, da parte degli individui, un rapporto diretto
con lo Stato, soprattutto, nel caso degli ultimi avvenimenti particolarmente evidente, con il
presidente della repubblica che rappresenta, agli occhi della gente, la faccia pulita delle
istituzioni. Non solo ma il suo intervento nei confronti di alcuni problemi della società (quello
con i controllori di volo, l'appello e la "tirata d'orecchi" alla classe politica dopo il terremoto, il
discorso di fine d'anno sui corrotti, ecc.), pone chiaramente un nuovo modo relazionale tra
individui ed istituzioni. Ovviamente non si tratta qui di sopravvalutare il ruolo di Pertini, ma è
innegabile che qualche cosa sta mutando nei rapporti tra cittadini e Stato. Lo Stato, infatti, una volta apertasi
la falla che ha allontanato da sé parte della fiducia,
manifestatasi con l'aumento delle astensioni e in altri modi, con gli aiuti volontari e diretti ai
terremotati, ecc., cerca in tutti i modi di riconquistare quella parte di credibilità che ha
compromesso nella pratica politica di questo periodo. In questa situazione di distacco tra cittadini ed istituzioni
considerate corrotte od inefficienti, vi è
purtroppo un rafforzamento dell'espressione più carismatica e quindi autoritaria, permeata di un
profondo senso religioso, di uno Stato che sempre più si rivolge direttamente, senza mediazioni e
nella sua globalità (il nuovo "leviatano") al cittadino tanto da diventare la sua coscienza e il suo
super-io. La "moralizzazione" non è altro, in quest'ottica, che il tentativo da parte dei partiti, di
contrastare il crescente distacco nei loro confronti da parte dei cittadini, e di arrestare una
tendenza in atto di imporsi da parte di un nuovo Stato nascente, meno "politico", più efficiente,
più tecnico e burocratico, ma più potente. Nella crisi diffusa, nell'assuefazione totale, nella
pratica quotidiana dello scandalo, nella sfiducia totale in un mondo diverso, lo Stato rappresenta
il momento di unione e di coesione, rappresenta l'indispensabile sicurezza, soprattutto
psicologica, e pertanto esso si ripropone come indispensabile proprio nella sua forma più
totalizzante. Unitamente alla Chiesa svolge la medesima funzione di unità politica e spirituale
che, dopo la caduta dell'impero romano d'occidente, permise l'avvento del medioevo e quindi del
feudalesimo. Credo che solo in questo modo si possano spiegare i due nuovi fenomeni che si stanno
producendo: dallo sfascio dello stato al bisogno dello stato, dalla crisi della chiesa al bisogno di
chiesa. Ma proprio nel momento del trionfo della massima autorità noi dobbiamo trovare la forza
di diffondere la nostra capacità utopica ed immaginaria per poterci incamminare verso
l'orizzonte.
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