Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 89
febbraio 1981


Rivista Anarchica Online

La società della crisi
di Francesco Codello

Due fatti di grossa attualità che hanno coperto le prime pagine dei giornali ed occupato gran parte dei telegiornali e dei notiziari radio in questi ultimi mesi sono: lo scandalo dei petroli e la sciagura del terremoto in Irpinia. Credo sia interessante cercare di interpretare le reazioni dei cittadini e degli organi di informazione di massa nei confronti di questi due fatti che sono particolarmente esemplari e significativi di una crisi ormai diffusa capillarmente in ogni aspetto e livello della vita sociale.
Lo scandalo dei petroli, che ha visto protagonisti i "soliti" uomini politici, alti ufficiali della Guardia di Finanza, petrolieri più o meno grandi ed importanti; lo scandalo delle bollette IVA; lo scandalo della mancata tempestività nei soccorsi alle popolazioni terremotate; lo scandalo.... Si tratta di una parola ormai entrata nel vocabolario di tutti i cittadini italiani, sempre accompagnata dall'altra parola "crisi". Ma gli scandali, la crisi non sono più ormai unicamente attributi del palazzo, sono diventati gli accompagnatori abituali della provincia. Il malcostume e il malgoverno (meglio sarebbe dire "la pratica di governo") sono ormai diffusi capillarmente, sono sotto gli occhi di tutti coloro che possono vedere, di tutti coloro che vogliono vedere e pensare. Numerosi sono infatti gli esempi che avvalorano questa tesi, troppo lungo l'elenco dei "piccoli scandali" di provincia per essere steso e completato.
Nonostante ciò la situazione non muta. Nel momento in cui lo sfascio delle istituzioni sembra totale, nel momento in cui gli stessi uomini politici di professione parlano di "moralizzazione" della vita politica (ma chi moralizza gli amorali, forse un amorale stesso?); nel momento in cui il maggior quotidiano italiano scrive in prima pagina (a proposito del terremoto) "Le vie dei soccorsi al Sud sono infinite. Partono da Milano non passano per lo Stato" (Corriere della Sera del 23 novembre 80); nel momento in cui tutti i "fedeli servitori dello stato" lamentano il distacco sempre maggiore che vi è tra paese civile ed istituzioni, nonostante ciò, tutto apparentemente continua come prima, niente viene a turbare il diffuso assistenzialismo. Anzi forse mai come ora lo Stato è forte, nonostante l'aumento delle astensioni alle elezioni, il clown Pannella, i manovali dell'omicidio-suicidio delle B.R. e del partito armato. La realtà è probabilmente riassumibile in un concetto: il passaggio da una crisi del sistema ad un sistema della crisi.
La nostra società è fondata sullo spettacolo, sulla capacità di recitare, in cui chiunque, per potere propagandare se stesso e/o i suoi ideali, deve stupire inventando sempre qualche cosa di nuovo, di diverso, a volte persino qualche cosa di "alternativo", non solo continua a sopravvivere con i suoi privilegi istituzionali, con le sue angherie e violenze, ma anzi si ripropone come ineluttabile e fondamentalmente immutabile. Una domanda è a questo punto legittima. Perché?
Credo che ci siano due livelli diversi, ma complementari, di risposte. La prima ragione consiste nel fatto che lo scandalo, la crisi sono ormai "mal comune", sono cioè pratica quotidiana non solo del Palazzo, ma di tanti cittadini. Troppi ormai sono i corrotti, seppur a livelli diversi. Per un lavoro, per una pensione, per una raccomandazione, per una casa, per una tomba in cimitero, per tutto, è necessario avere l'amicizia giusta, la conoscenza adeguata. Noi stessi, senza falsi pudori, viviamo a volte in queste appendici del Palazzo, noi stessi probabilmente almeno una volta siamo stati corruttori e/o corrotti. Questa constatazione non ci ha comunque portato alle conclusioni cui sono arrivati la maggioranza dei cittadini, poiché noi vogliamo, e lo vogliamo profondamente, mutare noi stessi mutando questa società. In questo modo, anche se non solo in questo, si spiega il perché un partito come la DC possa dopo trentacinque anni governare ancora con una maggioranza vasta e difficilmente riducibile. Inoltre bisogna considerare che i livelli materiali si sono decisamente alzati in questi ultimi trentacinque anni e la gente si è adagiata su di essi senza interrogarsi sull'opportunità di una qualità diversa della vita.
Un secondo livello di spiegazione consiste probabilmente nell'analizzare in che modo e in che misura vi è realmente un distacco tra il paese e le istituzioni. Anche in questo caso credo vi sia un elemento che riassume probabilmente una situazione di trapasso: stiamo infatti vivendo il passaggio da uno Stato rappresentativo a uno Stato rappresentato. Infatti se da una parte vi è una disaffezione reale tra i cittadini e la "politica", tra l'uomo qualunque e il politico di professione (e i sintomi sono evidenti a tutti), vi è però un cercare, da parte degli individui, un rapporto diretto con lo Stato, soprattutto, nel caso degli ultimi avvenimenti particolarmente evidente, con il presidente della repubblica che rappresenta, agli occhi della gente, la faccia pulita delle istituzioni. Non solo ma il suo intervento nei confronti di alcuni problemi della società (quello con i controllori di volo, l'appello e la "tirata d'orecchi" alla classe politica dopo il terremoto, il discorso di fine d'anno sui corrotti, ecc.), pone chiaramente un nuovo modo relazionale tra individui ed istituzioni. Ovviamente non si tratta qui di sopravvalutare il ruolo di Pertini, ma è innegabile che qualche cosa sta mutando nei rapporti tra cittadini e Stato.
Lo Stato, infatti, una volta apertasi la falla che ha allontanato da sé parte della fiducia, manifestatasi con l'aumento delle astensioni e in altri modi, con gli aiuti volontari e diretti ai terremotati, ecc., cerca in tutti i modi di riconquistare quella parte di credibilità che ha compromesso nella pratica politica di questo periodo.
In questa situazione di distacco tra cittadini ed istituzioni considerate corrotte od inefficienti, vi è purtroppo un rafforzamento dell'espressione più carismatica e quindi autoritaria, permeata di un profondo senso religioso, di uno Stato che sempre più si rivolge direttamente, senza mediazioni e nella sua globalità (il nuovo "leviatano") al cittadino tanto da diventare la sua coscienza e il suo super-io. La "moralizzazione" non è altro, in quest'ottica, che il tentativo da parte dei partiti, di contrastare il crescente distacco nei loro confronti da parte dei cittadini, e di arrestare una tendenza in atto di imporsi da parte di un nuovo Stato nascente, meno "politico", più efficiente, più tecnico e burocratico, ma più potente. Nella crisi diffusa, nell'assuefazione totale, nella pratica quotidiana dello scandalo, nella sfiducia totale in un mondo diverso, lo Stato rappresenta il momento di unione e di coesione, rappresenta l'indispensabile sicurezza, soprattutto psicologica, e pertanto esso si ripropone come indispensabile proprio nella sua forma più totalizzante. Unitamente alla Chiesa svolge la medesima funzione di unità politica e spirituale che, dopo la caduta dell'impero romano d'occidente, permise l'avvento del medioevo e quindi del feudalesimo.
Credo che solo in questo modo si possano spiegare i due nuovi fenomeni che si stanno producendo: dallo sfascio dello stato al bisogno dello stato, dalla crisi della chiesa al bisogno di chiesa. Ma proprio nel momento del trionfo della massima autorità noi dobbiamo trovare la forza di diffondere la nostra capacità utopica ed immaginaria per poterci incamminare verso l'orizzonte.