Rivista Anarchica Online
Da Badu'e Carros
A fine ottobre, nel braccio speciale del supercarcere nuorese di Badu 'e Carros, è scoppiata una
rivolta alla quale hanno partecipato varie decine di detenuti - tra i quali l'anarchico Horst
Fantazzini, appena "rientrato" a Badu 'e Carros dopo la condanna ad 8 anni inflittagli dal
tribunale di Parma (ne abbiamo riferito sullo scorso numero). In mancanza anche di una cronaca
"dall'interno" della rivolta (materiali in proposito sono preannunciati per il numero 32 di
Anarchismo) ci limitiamo a pubblicare la lettera inviataci, il giorno dopo la rivolta, dal compagno
Gianfranco Bertoli, detenuto in quel braccio speciale in cella con un altro anarchico, Angelo
Cinquegrani (verso la fine di novembre entrambi sono poi stati trasferiti nel supercarcere
dell'Isola Pianosa). Bertoli e Cinquegrani non hanno preso parte alla rivolta: in questa lettera
scritta a caldo Bertoli spiega il perché.
Cari compagni, (...) vi dirò subito che la giornata di ieri è stata per me
(che pure di periodi "burrascosi" nella
mia vita ne ho passati parecchi) una giornata di estrema tensione. Raramente nella mia passata
esistenza mi era capitato di trovarmi tanto in bilico tra decisioni contrapposte per il contrasto
tra impulso emotivo e calcolo razionale dell'opportunità. Quando di primo mattino
l'improvviso clamore ci ha fatto rendere conto che era esplosa una
rivolta della cui progettazione eravamo del tutto all'oscuro, l'istinto naturale di un essere umano
che come me è sempre vissuto in antagonismo col potere, la sofferenza di tre anni di regime
speciale, la coscienza che ribellarsi contro l'oppressione è sempre doveroso e giusto, mi
spingevano a spaccar tutto, a cercare di uscire dalla cella, ad unirmi a chi si stava ribellando e
questo impulso era reso ancora più vivo dalla certezza morale che tra costoro vi fossero anche
un paio di persone che, seppur con una concezione dell'anarchismo che non è del tutto
coincidente con quella che è oggi la mia, possono senz'altro essere considerati compagni ed il
mio posto sarebbe dunque stato al loro fianco. In senso contrario agivano la considerazione che
(come è infatti avvenuto) anche questa
agitazione sarebbe stata diretta e gestita dai membri organizzati di una fazione politica con la
quale tutto mi divide e di cui respingo metodi e finalità. A ciò si aggiungeva una valutazione
oggettiva di quelli che erano divenuti i rapporti con queste persone che da tempo avevano dato
fondata ragione di non nutrire nei confronti miei e di Angelo dei sentimenti troppo "affettuosi".
Tutto questo in un lasso di tempo molto breve (nel frattempo erano state scardinate tutte le porte
e parecchie persone correvano lungo i ballatoi), nessuno si era avvicinato alla nostra porta (o
meglio al cancello che era chiuso) con atteggiamento ostile e qualcuno ci aveva gridato: "che
cosa aspettate, cominciate a rompere tutto e cercate di uscire". Una certa logica mi induceva a
supporre che con tutta l'importanza che i marxisti-leninisti attribuiscono alla immagine
spettacolare dell'unità del "proletariato prigioniero" e con la non troppo agevole "gestione
politica" di una nostra eliminazione (a causa delle nostre prese di posizioni pubbliche sulla
stampa libertaria), sarebbero stati probabilmente inclini ad un momentaneo "embrassons-nous"
collettivo. Così sul momento cominciai anch'io a dar colpi e stavo per chiamare perché mi
aiutassero ad aprire il cancello per uscire (c'erano in giro dei "seghetti" coi quali tagliavano le
sbarre dei cancelli), ma mi fermai perché in primo luogo mi resi conto che, preso dall'emotività
(e forse da una quasi "senile" nostalgia per i miei anni giovanili quando mi buttavo in tutti i
"casini" a portata di mano) stavo agendo senza neppure aver consultato Angelo, poi perché
avevo notato che quasi tutti quelli che circolavano per i ballatoi erano mascherati con sciarpe e
passamontagna e vi erano molti coltelli e punteruoli tra le mani di costoro e questo fatto mi fece
sovvenire di colpo di una analisi che io e Angelo avevamo fatto tempo addietro relativa alla
composizione della "popolazione detenuta" delle "supercarceri" in generale, e di quello di
Nuoro in particolare, sullo stato di vera paranoia diffusa esistente, sul fatto che essendo
nell'ordinamento penitenziario attuale la situazione di molte persone già pluricondannate a
lunghissime pene una volta giunte nel "circuito speciale" come non più "peggiorabile", cosa che
facilita in persone con una particolare mentalità il desiderio di assurgere e di "affermarsi" in
quello che ritengono "prestigio" ammazzando altri detenuti solo che se ne presenti l'occasione, a
condizione che si tratti di qualcuno privo di legami con "cosche" o "amici", nel qual caso il fatto
potrebbe risultare pericoloso. Si sarebbe dunque trattato nel caso decidessi di uscire, (Angelo mi
disse che si sarebbe sentito
obbligato moralmente a venire con me, perché, mi disse, "scusami se te lo dico, ma tu sei tanto
ingenuo in queste cose nonostante i tuoi anni che da solo ti scanna il primo imbecille solo per
farsi un nome"), di fabbricarci anche noi un'arma rudimentale e sapere bene che avremmo
potuto trovarci a dover ammazzare qualcuno oppure a restare ammazzati o entrambe le cose,
perché anche se i "brigatisti" non avessero avuto cattive intenzioni, sarebbe stato loro difficile
controllare quelle stesse animosità che avevano in precedenza eccitato contro di noi. In ogni
caso, anche se (cosa improbabile) nessuno ci avesse attaccato direttamente, era facilmente
prevedibile che qualche assassinio ci sarebbe stato (i fatti hanno dimostrato la giustezza delle
nostre supposizioni) e saremmo stati costretti o ad assistere passivamente nella dimensione della
complicità "omertosa", oppure a cercare di intervenire per evitare la barbarie di certi fatti
(quali ne siano le motivazioni sempre mostruosi in un simile contesto) finendo ammazzati noi
pure. Così abbiamo deciso di restare dove eravamo, nessuno ci ha fatto ulteriori pressioni
né ci ha
manifestato ostilità (cosa abbastanza strana dati i presupposti per cui da tempo siamo mantenuti
isolati da tutti). (...)
Gianfranco Bertoli
|