Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 88
dicembre 1980 - gennaio 1981


Rivista Anarchica Online

Da Badu'e Carros

A fine ottobre, nel braccio speciale del supercarcere nuorese di Badu 'e Carros, è scoppiata una rivolta alla quale hanno partecipato varie decine di detenuti - tra i quali l'anarchico Horst Fantazzini, appena "rientrato" a Badu 'e Carros dopo la condanna ad 8 anni inflittagli dal tribunale di Parma (ne abbiamo riferito sullo scorso numero). In mancanza anche di una cronaca "dall'interno" della rivolta (materiali in proposito sono preannunciati per il numero 32 di Anarchismo) ci limitiamo a pubblicare la lettera inviataci, il giorno dopo la rivolta, dal compagno Gianfranco Bertoli, detenuto in quel braccio speciale in cella con un altro anarchico, Angelo Cinquegrani (verso la fine di novembre entrambi sono poi stati trasferiti nel supercarcere dell'Isola Pianosa). Bertoli e Cinquegrani non hanno preso parte alla rivolta: in questa lettera scritta a caldo Bertoli spiega il perché.

Cari compagni,
(...) vi dirò subito che la giornata di ieri è stata per me (che pure di periodi "burrascosi" nella mia vita ne ho passati parecchi) una giornata di estrema tensione. Raramente nella mia passata esistenza mi era capitato di trovarmi tanto in bilico tra decisioni contrapposte per il contrasto tra impulso emotivo e calcolo razionale dell'opportunità.
Quando di primo mattino l'improvviso clamore ci ha fatto rendere conto che era esplosa una rivolta della cui progettazione eravamo del tutto all'oscuro, l'istinto naturale di un essere umano che come me è sempre vissuto in antagonismo col potere, la sofferenza di tre anni di regime speciale, la coscienza che ribellarsi contro l'oppressione è sempre doveroso e giusto, mi spingevano a spaccar tutto, a cercare di uscire dalla cella, ad unirmi a chi si stava ribellando e questo impulso era reso ancora più vivo dalla certezza morale che tra costoro vi fossero anche un paio di persone che, seppur con una concezione dell'anarchismo che non è del tutto coincidente con quella che è oggi la mia, possono senz'altro essere considerati compagni ed il mio posto sarebbe dunque stato al loro fianco.
In senso contrario agivano la considerazione che (come è infatti avvenuto) anche questa agitazione sarebbe stata diretta e gestita dai membri organizzati di una fazione politica con la quale tutto mi divide e di cui respingo metodi e finalità. A ciò si aggiungeva una valutazione oggettiva di quelli che erano divenuti i rapporti con queste persone che da tempo avevano dato fondata ragione di non nutrire nei confronti miei e di Angelo dei sentimenti troppo "affettuosi". Tutto questo in un lasso di tempo molto breve (nel frattempo erano state scardinate tutte le porte e parecchie persone correvano lungo i ballatoi), nessuno si era avvicinato alla nostra porta (o meglio al cancello che era chiuso) con atteggiamento ostile e qualcuno ci aveva gridato: "che cosa aspettate, cominciate a rompere tutto e cercate di uscire". Una certa logica mi induceva a supporre che con tutta l'importanza che i marxisti-leninisti attribuiscono alla immagine spettacolare dell'unità del "proletariato prigioniero" e con la non troppo agevole "gestione politica" di una nostra eliminazione (a causa delle nostre prese di posizioni pubbliche sulla stampa libertaria), sarebbero stati probabilmente inclini ad un momentaneo "embrassons-nous" collettivo. Così sul momento cominciai anch'io a dar colpi e stavo per chiamare perché mi aiutassero ad aprire il cancello per uscire (c'erano in giro dei "seghetti" coi quali tagliavano le sbarre dei cancelli), ma mi fermai perché in primo luogo mi resi conto che, preso dall'emotività (e forse da una quasi "senile" nostalgia per i miei anni giovanili quando mi buttavo in tutti i "casini" a portata di mano) stavo agendo senza neppure aver consultato Angelo, poi perché avevo notato che quasi tutti quelli che circolavano per i ballatoi erano mascherati con sciarpe e passamontagna e vi erano molti coltelli e punteruoli tra le mani di costoro e questo fatto mi fece sovvenire di colpo di una analisi che io e Angelo avevamo fatto tempo addietro relativa alla composizione della "popolazione detenuta" delle "supercarceri" in generale, e di quello di Nuoro in particolare, sullo stato di vera paranoia diffusa esistente, sul fatto che essendo nell'ordinamento penitenziario attuale la situazione di molte persone già pluricondannate a lunghissime pene una volta giunte nel "circuito speciale" come non più "peggiorabile", cosa che facilita in persone con una particolare mentalità il desiderio di assurgere e di "affermarsi" in quello che ritengono "prestigio" ammazzando altri detenuti solo che se ne presenti l'occasione, a condizione che si tratti di qualcuno privo di legami con "cosche" o "amici", nel qual caso il fatto potrebbe risultare pericoloso.
Si sarebbe dunque trattato nel caso decidessi di uscire, (Angelo mi disse che si sarebbe sentito obbligato moralmente a venire con me, perché, mi disse, "scusami se te lo dico, ma tu sei tanto ingenuo in queste cose nonostante i tuoi anni che da solo ti scanna il primo imbecille solo per farsi un nome"), di fabbricarci anche noi un'arma rudimentale e sapere bene che avremmo potuto trovarci a dover ammazzare qualcuno oppure a restare ammazzati o entrambe le cose, perché anche se i "brigatisti" non avessero avuto cattive intenzioni, sarebbe stato loro difficile controllare quelle stesse animosità che avevano in precedenza eccitato contro di noi. In ogni caso, anche se (cosa improbabile) nessuno ci avesse attaccato direttamente, era facilmente prevedibile che qualche assassinio ci sarebbe stato (i fatti hanno dimostrato la giustezza delle nostre supposizioni) e saremmo stati costretti o ad assistere passivamente nella dimensione della complicità "omertosa", oppure a cercare di intervenire per evitare la barbarie di certi fatti (quali ne siano le motivazioni sempre mostruosi in un simile contesto) finendo ammazzati noi pure.
Così abbiamo deciso di restare dove eravamo, nessuno ci ha fatto ulteriori pressioni né ci ha manifestato ostilità (cosa abbastanza strana dati i presupposti per cui da tempo siamo mantenuti isolati da tutti). (...)

Gianfranco Bertoli