Rivista Anarchica Online
Il culto del crimine
di Piero Flecchia
Pietro Kropotkin: per la cultura anarchica una figura indimenticabile, ma anche per tutta la
sinistra, perché il suo libro di memorie descrive a un tempo un ambiente: quello dei rivoluzionari
in lotta per una radicale trasformazione della società, e le tecniche del potere per contrastare la
trasformazione. C'è poi la straordinaria umanità di Kropotkin; la sua capacità di superare
le
divisioni settarie, in un sentimento di amore universale; il suo modo di guardare ai fatti da un
sereno distacco, reso ancor più penetrante dalla formazione scientifica e dalla pratica della
scienza. Gli anni raccontati e vissuti da Kropotkin, tra prigioni russe e francesi, processi zaristi e
persecuzioni di poliziotti occidentali, tra Siberia e Svizzera, nella oleografia sono "la belle
epoque", che affonda catastroficamente nella prima guerra mondiale. Dopo viene la crisi, ma una
crisi di progresso, perché continua la marcia della scienza e lo sviluppo della tecnologia, perché
anche se parzialmente e distortamente, la classe operaia prende il potere e si libera in Russia e
poi in Cina (oltre la metà del genere umano è liberato, magari imperfettamente, ma liberato), e
finisce il brutale sistema coloniale. C'è poi da registrare la clamorosa vittoria sul nazifascismo.
Insomma, il mondo, pur tra angosciosi conflitti, marcia in progresso. Questo è il modello che, anche se
con molte, moltissime zone d'ombra, quasi tutti sembrano
condividere: questo è il modello bugiardo che la dominazione vuole imporre nei dominati, e che
tutta la cultura, anche di sinistra, soprattutto di sinistra, è impegnata a divulgare. A confutare
questa idea progressiva già basterebbe un solo dato: gli USA possiedono una armata dotata di un
potenziale atomico in grado di distruggere sei volte tutta la vita sulla terra; ebbene, Reagan è
stato eletto presidente, ed eletto a furor di popolo, per aver sostenuto la necessità di un maggior
riarmo e una politica estera più aggressiva. Questo ci permette di misurare l'abisso sul quale
camminiamo, e a un tempo la tremenda capacità di manipolazione del sistema dell'informazione
che, spesso a nostra insaputa, ma anche noi attenti e vigili, riesce a inocularci, attraverso un
quotidiano, metodico lavoro, le più assurde e distorte visioni del mondo e dei rapporti tra
persone. Il sistema della dominazione si serve sistematicamente e vantaggiosamente delle stesse
rivolte e opposizioni per rafforzarsi, come emblematicamente dimostra la vicenda di molti
dissidenti russi, che vengono in occidente, per farsi strumenti, spesso inconsapevoli, di un ben
calcolato piano, dove però la barbarie moscovita lavora scientemente in perfetta armonia con le
peggiori voglie e gruppi di potere occidentali. E ancora le elezioni USA, l'aperto appoggio a
Reagan della cricca del Kremlino, dimostra la inconfutabilità del dilemma. Questa lunga, (e, per molti
lettori di "A", ovvia) premessa, a dare il giusto rilievo allo
straordinario libro di Leonid Pljusc, Nel Carnevale della Storia (pag. 593, lire 7.500, ed.
Mondadori). Se collochiamo nella coscienza di chi legge l'autobiografia di Kropotkin, questa autobiografia del
dissidente Pljusc diventa l'altro punto per misurare lucidamente la direzione regressiva e
disastrosa presa dal mondo. Parla ancora un russo, anche se ucraino: ergo di una minoranza
nazionale oppressa; e oppresse in nome dei principi di quel leninismo che, in sede teorica,
sosteneva la necessità di uno sviluppo delle culture nazionali contro la russificazione. Parla
soprattutto uno scienziato che ha partecipato al progetto spaziale, parla un matematico che si è
occupato di teoria dei giochi e di "modelli": cioè ha trafficato nei punti più avanzati del sapere
scientifico; è venuto a contatto con i settori di ricerca più rigorosamente coperti da segreto. Da
questo libro finalmente si capisce la ragione dell'interesse alle dottrine orientali, e segnatamente
per lo yoga da parte di russi e USA: "Mi raccontarono le loro esperienze. Sconvolgenti. I volontari cavie
degli esperimenti di
cosmonautica ricevevano somme enormi.... Discutemmo il problema del controllo delle
emozioni. Tutti i cosmonauti erano sconvolti dalla paura... la psicologia occidentale non ha
ancora risolto il problema, ma il Hatha Yoga ha elaborato metodi capaci di controllare il
subconscio..." (pag. 172).
E stessa origine militaresca agli esperimenti di parapsicologia. Ecco dove il progresso è
quotidiano e vertiginoso: nell'accumulo di armi e nel controllo delle menti. Cosciente di questa
realtà, dopo essere stato un fervente militante comunista, aver partecipato alla caccia alle spie,
negli anni tra adolescenza e prima gioventù; Pljusc comprende che deve opporsi al sistema. Per
questo straordinario pensatore non ci sono dubbi: in Russia non è al potere una variante
degenerata di socialismo burocratico, ma un capitalismo di stato forse ancor più abietto del
capitalismo occidentale. Incarcerato, combatte contro i suoi persecutori (di passaggio notiamo che i dissidenti
russi ben
prima dei politici occidentali rifiutano ogni competenza ai giudici nei processi, di qui la necessità
di metterli in manicomio, in quanto nella logica del dominio solo dei pazzi possono non
riconoscere l'autorità dello stato) una sottile battaglia a colpi di perfide citazioni tratte dalla
stampa moscovita stessa. L'opinione pubblica dell'impero moscovita è tutta mobilitata a favore
della militante negra Angela Davis. La stampa moscovita accusa, infamia delle infamie, i
carcerieri del sistema capitalista di far pervenire il caffè freddo alla eroina. Leonid Pljusc chiede
ai suoi torturatori di poter bere almeno il caffè come la Davis. Essi esultano: ecco la prova che è
in contatto con l'occidente. Pljusc ribatte che è tutto scritto sulla Pravda: non si vergognano i
carcerieri russi di essere peggiori dei capitalisti? Ogni qual volta Pljusc tira in ballo la Davis,
puntualmente arriva la sconvolgente risposta: è giusto che lei sia trattata meglio, perché è
una
democratica progressista rivoluzionaria. Ecco la dimensione peggiorativa, rispetto alla polizia
zarista che perseguitò Kropotkin: ora il poliziotto, il KGB medio, serve, nella coscienza di
servire il bene dell'umanità. Serve quindi con lo zelo, l'astio controllato, la calcolata perfidia, per
la quale tutto è lecito, di chi si batte per la causa delle cause. Si è insomma passati da una polizia
politica a una casta animata da volontà inquisitoriale.
Anche della Davis è stata edita in Italia, da Garzanti, (pure in edizione economica) una
interessante autobiografia, che rimanda ad altre sempre interessanti autobiografie. Il tratto che
separa le autobiografie tipo Davis dalla autobiografia di Pljusc è l'assenza in quelle di ogni
traccia di ironia, del desiderio di un mondo abitato dal comico e dal ridere. Quello stesso
sentimento di ironia e di allegria, anche nella sventura accomuna Pljusc a Kropotkin; fa delle loro
scritture una sola scrittura. Contro la seriosità furiosa e piagnona dei marx-leninisti, già vogliosi
di burocrazie, sta l'allegria di ogni coscienza libertaria. Ecco come formidabilmente Pljusc
esprime questa visione antidottrinaria e antidogmatica: "Questi quattro anni erano stati anni di
felicità e dignità. In fin dei conti non si va in prigione
per delle idee, ma per il rispetto degli altri e di se stessi". (pag. 438). Affermazione posta da Pljusc a
conclusione dei quattro anni di militanza nella opposizione
democratica, fatta di copiature a macchina di interi romanzi e saggi, di petizioni, di fughe, di
incontri con quasi quotidiane frequentazioni con alcuni tra i nomi più famosi della dissidenza
moscovita, quali il generale Grigorenko o il fisico atomico Sakharov; grazie all'intervento del
quale, dopo quattro anni nell'inferno di un manicomio sarà liberato. La cui realtà manicomiale
è
puntualmente descritta da Pljusc, eppure, malgrado la straordinaria forza evocativa della pagina
di questo scienziato che è anche un forte scrittore, solo la descrizione di Pljusc fatta dalla moglie
ci dà la misura dell'orrore di un sistema, dove la scienza si fa serva del dominio e dei
dominatori: "La situazione di Lionja (Pljusc) peggiorava ogni giorno di più. Continuavano a dargli
l'aloperidol. Gonfiava in misura incredibile, stava diventando quadrato. Nei nostri incontri
faceva una grande fatica a parlare, restava apatico e non mi chiedeva quasi niente. Tutto
sembrava disperato e assurdo. Nulla e nessuno poteva più aiutarlo. Mi chiese di non mandargli
più libri. Non riusciva a leggere né a riflettere..." (testo di Taja Pljusc a pag. 574, op.
cit.). Ecco a che cosa serve la scienza, ecco la via redentrice tracciata dalla scienza, che conferma la
profetica visione di Vittorio Alfieri in "Del Principe e delle lettere". La scienza non può sottrarsi
al potere, perché il sistema di investimenti fonda il sistema scientifico. Una scienza umana potrà
aver luogo solo là dove e quando si darà forma a una società umana. Un libro di dolore
e disperazione, fatti più forti e lancinanti dalla coscienza della necessità
dell'allegria: "Leonid Ivanovic (gli domanda un inquisitore) perché mi odia tanto? Non ho mai
fatto niente di
illegale. Sono entrato nel KGB dopo il XX congresso (quello della denuncia dei crimini di
Stalin). - Io non odio lei in particolare, ma la sua ignobile organizzazione antisovietica. Lei
è solo una
rotella al suo servizio. - Questo odio posso anche capirlo. In fin dei conti siamo nemici. Ma
c'è molta cattiveria in lei,
ed è questo che le rimprovero". Questo tema della cattiveria è la costante che unisce tutte
le interrogazioni e azioni della polizia
politica sovietica. Cattiveria di Pljusc, e richiesta di amore del sistema. Ancora sulla soglia della
prigione-manicomio, quando le proteste di Sakharov, e soprattutto lo scambio propagandistico
con Pinochet, avevano già deciso la liberazione di Leonid; ancora allora gli si chiede di firmare
una sorta di dichiarazione d'amore per il regime sovietico. Straordinaria è l'attualità e importanza
di questo libro, evidente soprattutto a chi ha avuto anche
solo un minimo contatto con la nostra polizia politica: il KGB italiano di Dalla Chiesa,
Berlinguer e Craxi e i catto democratici tutti da Fanfani ad Andreotti hanno grandi promotori;
ebbene leggendo Pljusc potrà verificare come i metodi dei nostri siano uguali ai
loro, per cui, in
previsione di quello che ci minaccia, ed ha già toccato alcuni di noi, leggere Pljusc, è imparare
una buona linea di resistenza per non consegnarsi mani e piedi al persecutore. Ebbene, tutta la
strategia della polizia politica moscovita mira a conquistare la fiducia dei perseguitati; a stabilire
un dialogo, tra uomini, oltre le diverse posizioni. Questo appello alla comune umanità da parte
del carnefice, è il linguaggio di tutte le polizie; la satanica trappola che sta dietro molte
confessioni e inesplicabili capitolazioni, a incominciare dalle grandi purghe staliniste. Una
tecnica che rimanda al grande e insuperato modello inquisitoriale clericale. Del gran libro di
Pljusc il più immediato e utile impiego è dunque come manuale di resistenza alla polizia,
perché
le legislazioni democratiche sono uguali tanto in Moscovia quanto qui, anzi, in Moscovia sono
ancor più progredite. Non si può fare perquisizioni senza la presenza di due testimoni estranei ai
fatti; e si potrebbero moltiplicare all'infinito gli esempi di garanzie al cittadino: tutte bellamente
eluse; che Pljusc richiama continuamente, non tanto nella speranza di ottenere qualche cosa, ma a
segnalare l'impostura del sistema. Segnalarla per rammentarla a se stesso, contro la strategia
d'amore dei persecutori, ma anche per lanciare significativi messaggi alla popolazione a lui
intorno: di infermieri, secondini, criminali comuni, tra i quali sorgono tutta una serie di
formidabili figure di una umanità irriducibile al sistema della dominazione.
Molti i percorsi di questo libro che chiedono di essere seguiti, e uno almeno ci proponiamo di
riprendere, in un discorso più ampio: quello sull'antisemitismo; (Pljusc ci fa vedere come
l'antisemitismo, virulentissimo in tutto l'impero moscovita, sia il segnale più attendibile della
marcia della tirannide). Ci limiteremo qui a indicare le ragioni che fanno, a giudizio dello
scrivente, di questo testo, e dello stesso pensiero di Pljusc un importante contributo alla dottrina
anarchica. Una anarchia più vissuta che detta, ma "le parole, al massimo, riflettono una buona
causa, quando non la deformano". (pag. 420). Dunque abbandoniamo la ricerca di dichiarazioni di
principio, che lasciano poi il tempo che
trovano, e interniamoci nell'idea che percorre tutto il libro: una irresistibile e grandiosa fiducia
nell'umanità. Riflettendo sul manicomio, Pljusc scrive: "Volendo classificare il personale
dell'ospedale psichiatrico speciale in base al grado di
immoralità, i peggiori sono certamente i medici.... Più volte alcuni infermieri vengono a
chiedere del Movimento democratico, e a esprimerci la loro simpatia... pestaggi e
maltrattamenti vengono solo da infermieri decisi a leccare il culo ai medici..." (pag. 521). Dove il
manicomio diventa il modello trasparente del sistema della dominazione, l'adesione alla
quale misura la necessità di farsi persecutori. Ecco come: "La tortura e la menzogna non
diventano mai migliori, o più umane, né in nome della nobile
idea cristiana della salvezza, né dell'ideale umanistico comunista. Dove vengono usate, tortura e
menzogna hanno la facoltà di propagarsi e fare tutt'uno con chi vi ricorre, mutandolo in bestia
feroce, e di contaminare l'avversario, infettarlo della psicoideologia della sevizia: occhio per
occhio, dente per dente. Gli ospedali psichiatrici in Unione Sovietica, portano i germi dei futuri
ospedali psichiatrici occidentali, e le torture in Iran, Uruguay e Cile, quelli delle torture in
Georgia... Robespierre... (alla) soppressione della pena di morte fece una eccezione: per il re;
per finire nella decapitazione di massa, preludio al termidoro, a Bonaparte e alla restaurazione.
E la rivoluzione d'ottobre e quella cristiana hanno conosciuto forme di repressione ancor più
spaventose. Quando Angela Davis espresse la propria adesione ai processi truccati, contro gli
oppositori socialisti cecoslovacchi, non fece che incoraggiare l'infiltrarsi nel diritto americano
dei metodi di falsificazione degli incartamenti e della caccia alle streghe.... Così discutevamo in
ospedale psichiatrico coi partigiani di Pinochet e del Ku-Klux-Klan." (pag. 508). Con sostenitori di
Pinochet e del Klan, perché tutti i perseguitati, soprattutto i comuni: una
moltitudine cacciata in prigione più per atroce indifferenza che colpe reali; questa gente non può
che prendere a propri ideali modelli quelli che il sistema moscovita indica come i modelli del
male assoluto: Pinochet e il Klan. Passo mirabile che ci spiega anche perché, all'apogeo della
dominazione cristiana, emerse tra le masse un diffuso culto di satana; quel satanismo che nel '700
appesta tutto il mondo. Tanti più oppositori perseguita, più un sistema produce e riproduce
nemici, ma i sistemi della dominazione vogliono tutto questo scientemente, per mantenere nel
terrore il "buon cittadino medio": questa entità ancor più mostruosa dei mostruosi sostenitori di
Pinochet e del Klan che il sistema repressivo sovietico incuba, così come il nostro incuba stragi
di Bologna. Come uscire dal cerchio infernale? Tutto il libro di Pljusc è una formidabile proposta
strategica,
che rimanda a tecniche e messaggi di chiara e cosciente origine e derivazione anarchica. Egli,
nella premessa afferma che non può indicare tutti per nome e cognome, perché il primo suo
lettore è il KGB, per cui, molti nomi ometterà e fatti indicherà distorti. Ed ecco che, mentre
va a
Mosca per incontrare il gruppo Grigorenko, è trovato in possesso della Storia della rivoluzione
francese di Kropotkin, che, sembra molto poco attendibile Pljusc esponesse al rischio di un
viaggio, soprattutto con la fame di libri che gli oppositori hanno, e la paura che questi libri siano
sequestrati. Dunque Pljusc vuol mandare un segnale, vuol indicare al lettore quale il termine suo
segreto di riferimento, dopo che ha messo in chiaro come, pur stimandoli, non condivide i
modelli né dei puri nazionalisti ucraini alla Moroz, né le posizioni di Sakharov e Grigorenko, e
neanche i vari marxismi dei molti gruppi di opposizione attivi in Russia. E si faccia attenzione,
egli si dichiara ripetutamente e insistentemente sovietista (cioè consiliare) e rimanda spesso a
Lenin e a Marx, ma sempre da una volontà esopica, fino alla anarchica affermazione: "Essi
confondono la patria con lo stato!". Perché Pljusc abbia scelto di alludere: ed egli insiste molto
sulla necessità di uno scarto minimo, ma necessario, tra i fatti e la loro narrazione, è problema
che rimanda a tutta una plurimillenaria linea di resistenza delle scritture alla dominazione, che
Alfieri denuncia come ormai morta per sempre, in una sua bella satira, perché è venuto il tempo
di dire scopertamente tutta la verità. Forse il grande astigiano sbagliava? Forse il tempo cupo
dell'intesa segreta tra quanti sanno e vogliono la libertà è di nuovo sopra noi? Questo non minore,
tra i molti problemi sollevati dal grande libro di Pljusc, indico agli amici di "A". Se questo è il
mondo che incalza, leggere l'opera di Pljusc è farsi cogliere meno impreparati dalla intemperie
che ci sovrasta. Oltre questo straordinario libro: il popolo di dannati che vi brulica, e le mirabili figure dei
resistenti, il testo rimanda alla reale vicenda Pljusc: l'affare Pljusc. Uno scienziato che si fa
resistente alla tirannide moscovita, e che viene salvato, solo perché scienziato. Viene salvato,
accanto ai molti perduti e maledetti perché Sakharov non li conosce: questo straordinario uomo,
scopriamo nella letteratura, non esita mai, quando riesce a saperlo, a recarsi là dove c'è un
processo politico, per dare, con la sua presenza, un minimo di garanzia al perseguitato. Con
Pljusc, Sakharov ottiene il massimo: la libertà in occidente. E com'è bella e gradita questa
libertà.
Pljusc è libero perché c'è Sakharov, ma anche perché ci siamo noi tutti, un poco
anche perché c'è
"A". Ci rendiamo conto sempre chiaramente di questa nostra capacità e possibilità di pressione in
difesa dell'area delle libertà? Impieghiamo sempre tutti gli strumenti a nostra disposizione?
Certamente no! E quando non lo facciamo, in Italia come in Moscovia, muore uno di noi: muore
solo e abbandonato. Ecco la ultima e decisiva riflessione alla quale deve indurci questo
straordinario libro, che, pur incomparabilmente splendido nella scrittura, rimanda ancora e
soprattutto a uomini in carne ed ossa: uomini abitati dal desiderio di felicità, di allegria di vita.
Un libro che deve sussurrarci diuturnamente: "Le parole al massimo riflettono una buona causa,
quando non la deformano", e che: "Non si va in prigione per delle idee, ma per il rispetto degli
altri e di se stessi". Due affermazioni che rimandano immediatamente e irresistibilmente all'uomo
reale Pljusc; una autentica voce anarchica, perché ci ricorda che le carceri, tutte le carceri, vanno
abolite, perché è nato prima il carceriere che il carcerato, il concetto di crimine che il criminale.
|