Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 88
dicembre 1980 - gennaio 1981


Rivista Anarchica Online

Il culto del crimine
di Piero Flecchia

Pietro Kropotkin: per la cultura anarchica una figura indimenticabile, ma anche per tutta la sinistra, perché il suo libro di memorie descrive a un tempo un ambiente: quello dei rivoluzionari in lotta per una radicale trasformazione della società, e le tecniche del potere per contrastare la trasformazione. C'è poi la straordinaria umanità di Kropotkin; la sua capacità di superare le divisioni settarie, in un sentimento di amore universale; il suo modo di guardare ai fatti da un sereno distacco, reso ancor più penetrante dalla formazione scientifica e dalla pratica della scienza. Gli anni raccontati e vissuti da Kropotkin, tra prigioni russe e francesi, processi zaristi e persecuzioni di poliziotti occidentali, tra Siberia e Svizzera, nella oleografia sono "la belle epoque", che affonda catastroficamente nella prima guerra mondiale. Dopo viene la crisi, ma una crisi di progresso, perché continua la marcia della scienza e lo sviluppo della tecnologia, perché anche se parzialmente e distortamente, la classe operaia prende il potere e si libera in Russia e poi in Cina (oltre la metà del genere umano è liberato, magari imperfettamente, ma liberato), e finisce il brutale sistema coloniale. C'è poi da registrare la clamorosa vittoria sul nazifascismo. Insomma, il mondo, pur tra angosciosi conflitti, marcia in progresso.
Questo è il modello che, anche se con molte, moltissime zone d'ombra, quasi tutti sembrano condividere: questo è il modello bugiardo che la dominazione vuole imporre nei dominati, e che tutta la cultura, anche di sinistra, soprattutto di sinistra, è impegnata a divulgare. A confutare questa idea progressiva già basterebbe un solo dato: gli USA possiedono una armata dotata di un potenziale atomico in grado di distruggere sei volte tutta la vita sulla terra; ebbene, Reagan è stato eletto presidente, ed eletto a furor di popolo, per aver sostenuto la necessità di un maggior riarmo e una politica estera più aggressiva. Questo ci permette di misurare l'abisso sul quale camminiamo, e a un tempo la tremenda capacità di manipolazione del sistema dell'informazione che, spesso a nostra insaputa, ma anche noi attenti e vigili, riesce a inocularci, attraverso un quotidiano, metodico lavoro, le più assurde e distorte visioni del mondo e dei rapporti tra persone. Il sistema della dominazione si serve sistematicamente e vantaggiosamente delle stesse rivolte e opposizioni per rafforzarsi, come emblematicamente dimostra la vicenda di molti dissidenti russi, che vengono in occidente, per farsi strumenti, spesso inconsapevoli, di un ben calcolato piano, dove però la barbarie moscovita lavora scientemente in perfetta armonia con le peggiori voglie e gruppi di potere occidentali. E ancora le elezioni USA, l'aperto appoggio a Reagan della cricca del Kremlino, dimostra la inconfutabilità del dilemma.
Questa lunga, (e, per molti lettori di "A", ovvia) premessa, a dare il giusto rilievo allo straordinario libro di Leonid Pljusc, Nel Carnevale della Storia (pag. 593, lire 7.500, ed. Mondadori).
Se collochiamo nella coscienza di chi legge l'autobiografia di Kropotkin, questa autobiografia del dissidente Pljusc diventa l'altro punto per misurare lucidamente la direzione regressiva e disastrosa presa dal mondo. Parla ancora un russo, anche se ucraino: ergo di una minoranza nazionale oppressa; e oppresse in nome dei principi di quel leninismo che, in sede teorica, sosteneva la necessità di uno sviluppo delle culture nazionali contro la russificazione. Parla soprattutto uno scienziato che ha partecipato al progetto spaziale, parla un matematico che si è occupato di teoria dei giochi e di "modelli": cioè ha trafficato nei punti più avanzati del sapere scientifico; è venuto a contatto con i settori di ricerca più rigorosamente coperti da segreto. Da questo libro finalmente si capisce la ragione dell'interesse alle dottrine orientali, e segnatamente per lo yoga da parte di russi e USA:
"Mi raccontarono le loro esperienze. Sconvolgenti. I volontari cavie degli esperimenti di cosmonautica ricevevano somme enormi.... Discutemmo il problema del controllo delle emozioni. Tutti i cosmonauti erano sconvolti dalla paura... la psicologia occidentale non ha ancora risolto il problema, ma il Hatha Yoga ha elaborato metodi capaci di controllare il subconscio..." (pag. 172).

E stessa origine militaresca agli esperimenti di parapsicologia. Ecco dove il progresso è quotidiano e vertiginoso: nell'accumulo di armi e nel controllo delle menti. Cosciente di questa realtà, dopo essere stato un fervente militante comunista, aver partecipato alla caccia alle spie, negli anni tra adolescenza e prima gioventù; Pljusc comprende che deve opporsi al sistema. Per questo straordinario pensatore non ci sono dubbi: in Russia non è al potere una variante degenerata di socialismo burocratico, ma un capitalismo di stato forse ancor più abietto del capitalismo occidentale.
Incarcerato, combatte contro i suoi persecutori (di passaggio notiamo che i dissidenti russi ben prima dei politici occidentali rifiutano ogni competenza ai giudici nei processi, di qui la necessità di metterli in manicomio, in quanto nella logica del dominio solo dei pazzi possono non riconoscere l'autorità dello stato) una sottile battaglia a colpi di perfide citazioni tratte dalla stampa moscovita stessa. L'opinione pubblica dell'impero moscovita è tutta mobilitata a favore della militante negra Angela Davis. La stampa moscovita accusa, infamia delle infamie, i carcerieri del sistema capitalista di far pervenire il caffè freddo alla eroina. Leonid Pljusc chiede ai suoi torturatori di poter bere almeno il caffè come la Davis. Essi esultano: ecco la prova che è in contatto con l'occidente. Pljusc ribatte che è tutto scritto sulla Pravda: non si vergognano i carcerieri russi di essere peggiori dei capitalisti? Ogni qual volta Pljusc tira in ballo la Davis, puntualmente arriva la sconvolgente risposta: è giusto che lei sia trattata meglio, perché è una democratica progressista rivoluzionaria. Ecco la dimensione peggiorativa, rispetto alla polizia zarista che perseguitò Kropotkin: ora il poliziotto, il KGB medio, serve, nella coscienza di servire il bene dell'umanità. Serve quindi con lo zelo, l'astio controllato, la calcolata perfidia, per la quale tutto è lecito, di chi si batte per la causa delle cause. Si è insomma passati da una polizia politica a una casta animata da volontà inquisitoriale.

Anche della Davis è stata edita in Italia, da Garzanti, (pure in edizione economica) una interessante autobiografia, che rimanda ad altre sempre interessanti autobiografie. Il tratto che separa le autobiografie tipo Davis dalla autobiografia di Pljusc è l'assenza in quelle di ogni traccia di ironia, del desiderio di un mondo abitato dal comico e dal ridere. Quello stesso sentimento di ironia e di allegria, anche nella sventura accomuna Pljusc a Kropotkin; fa delle loro scritture una sola scrittura. Contro la seriosità furiosa e piagnona dei marx-leninisti, già vogliosi di burocrazie, sta l'allegria di ogni coscienza libertaria. Ecco come formidabilmente Pljusc esprime questa visione antidottrinaria e antidogmatica:
"Questi quattro anni erano stati anni di felicità e dignità. In fin dei conti non si va in prigione per delle idee, ma per il rispetto degli altri e di se stessi". (pag. 438).
Affermazione posta da Pljusc a conclusione dei quattro anni di militanza nella opposizione democratica, fatta di copiature a macchina di interi romanzi e saggi, di petizioni, di fughe, di incontri con quasi quotidiane frequentazioni con alcuni tra i nomi più famosi della dissidenza moscovita, quali il generale Grigorenko o il fisico atomico Sakharov; grazie all'intervento del quale, dopo quattro anni nell'inferno di un manicomio sarà liberato. La cui realtà manicomiale è puntualmente descritta da Pljusc, eppure, malgrado la straordinaria forza evocativa della pagina di questo scienziato che è anche un forte scrittore, solo la descrizione di Pljusc fatta dalla moglie ci dà la misura dell'orrore di un sistema, dove la scienza si fa serva del dominio e dei dominatori:
"La situazione di Lionja (Pljusc) peggiorava ogni giorno di più. Continuavano a dargli l'aloperidol. Gonfiava in misura incredibile, stava diventando quadrato. Nei nostri incontri faceva una grande fatica a parlare, restava apatico e non mi chiedeva quasi niente. Tutto sembrava disperato e assurdo. Nulla e nessuno poteva più aiutarlo. Mi chiese di non mandargli più libri. Non riusciva a leggere né a riflettere..." (testo di Taja Pljusc a pag. 574, op. cit.).
Ecco a che cosa serve la scienza, ecco la via redentrice tracciata dalla scienza, che conferma la profetica visione di Vittorio Alfieri in "Del Principe e delle lettere". La scienza non può sottrarsi al potere, perché il sistema di investimenti fonda il sistema scientifico. Una scienza umana potrà aver luogo solo là dove e quando si darà forma a una società umana.
Un libro di dolore e disperazione, fatti più forti e lancinanti dalla coscienza della necessità dell'allegria:
"Leonid Ivanovic (gli domanda un inquisitore) perché mi odia tanto? Non ho mai fatto niente di illegale. Sono entrato nel KGB dopo il XX congresso (quello della denuncia dei crimini di Stalin).
- Io non odio lei in particolare, ma la sua ignobile organizzazione antisovietica. Lei è solo una rotella al suo servizio.
- Questo odio posso anche capirlo. In fin dei conti siamo nemici. Ma c'è molta cattiveria in lei, ed è questo che le rimprovero".
Questo tema della cattiveria è la costante che unisce tutte le interrogazioni e azioni della polizia politica sovietica. Cattiveria di Pljusc, e richiesta di amore del sistema. Ancora sulla soglia della prigione-manicomio, quando le proteste di Sakharov, e soprattutto lo scambio propagandistico con Pinochet, avevano già deciso la liberazione di Leonid; ancora allora gli si chiede di firmare una sorta di dichiarazione d'amore per il regime sovietico.
Straordinaria è l'attualità e importanza di questo libro, evidente soprattutto a chi ha avuto anche solo un minimo contatto con la nostra polizia politica: il KGB italiano di Dalla Chiesa, Berlinguer e Craxi e i catto democratici tutti da Fanfani ad Andreotti hanno grandi promotori; ebbene leggendo Pljusc potrà verificare come i metodi dei nostri siano uguali ai loro, per cui, in previsione di quello che ci minaccia, ed ha già toccato alcuni di noi, leggere Pljusc, è imparare una buona linea di resistenza per non consegnarsi mani e piedi al persecutore. Ebbene, tutta la strategia della polizia politica moscovita mira a conquistare la fiducia dei perseguitati; a stabilire un dialogo, tra uomini, oltre le diverse posizioni. Questo appello alla comune umanità da parte del carnefice, è il linguaggio di tutte le polizie; la satanica trappola che sta dietro molte confessioni e inesplicabili capitolazioni, a incominciare dalle grandi purghe staliniste. Una tecnica che rimanda al grande e insuperato modello inquisitoriale clericale. Del gran libro di Pljusc il più immediato e utile impiego è dunque come manuale di resistenza alla polizia, perché le legislazioni democratiche sono uguali tanto in Moscovia quanto qui, anzi, in Moscovia sono ancor più progredite. Non si può fare perquisizioni senza la presenza di due testimoni estranei ai fatti; e si potrebbero moltiplicare all'infinito gli esempi di garanzie al cittadino: tutte bellamente eluse; che Pljusc richiama continuamente, non tanto nella speranza di ottenere qualche cosa, ma a segnalare l'impostura del sistema. Segnalarla per rammentarla a se stesso, contro la strategia d'amore dei persecutori, ma anche per lanciare significativi messaggi alla popolazione a lui intorno: di infermieri, secondini, criminali comuni, tra i quali sorgono tutta una serie di formidabili figure di una umanità irriducibile al sistema della dominazione.

Molti i percorsi di questo libro che chiedono di essere seguiti, e uno almeno ci proponiamo di riprendere, in un discorso più ampio: quello sull'antisemitismo; (Pljusc ci fa vedere come l'antisemitismo, virulentissimo in tutto l'impero moscovita, sia il segnale più attendibile della marcia della tirannide). Ci limiteremo qui a indicare le ragioni che fanno, a giudizio dello scrivente, di questo testo, e dello stesso pensiero di Pljusc un importante contributo alla dottrina anarchica. Una anarchia più vissuta che detta, ma "le parole, al massimo, riflettono una buona causa, quando non la deformano". (pag. 420).
Dunque abbandoniamo la ricerca di dichiarazioni di principio, che lasciano poi il tempo che trovano, e interniamoci nell'idea che percorre tutto il libro: una irresistibile e grandiosa fiducia nell'umanità. Riflettendo sul manicomio, Pljusc scrive:
"Volendo classificare il personale dell'ospedale psichiatrico speciale in base al grado di immoralità, i peggiori sono certamente i medici.... Più volte alcuni infermieri vengono a chiedere del Movimento democratico, e a esprimerci la loro simpatia... pestaggi e maltrattamenti vengono solo da infermieri decisi a leccare il culo ai medici..." (pag. 521).
Dove il manicomio diventa il modello trasparente del sistema della dominazione, l'adesione alla quale misura la necessità di farsi persecutori. Ecco come:
"La tortura e la menzogna non diventano mai migliori, o più umane, né in nome della nobile idea cristiana della salvezza, né dell'ideale umanistico comunista. Dove vengono usate, tortura e menzogna hanno la facoltà di propagarsi e fare tutt'uno con chi vi ricorre, mutandolo in bestia feroce, e di contaminare l'avversario, infettarlo della psicoideologia della sevizia: occhio per occhio, dente per dente. Gli ospedali psichiatrici in Unione Sovietica, portano i germi dei futuri ospedali psichiatrici occidentali, e le torture in Iran, Uruguay e Cile, quelli delle torture in Georgia... Robespierre... (alla) soppressione della pena di morte fece una eccezione: per il re; per finire nella decapitazione di massa, preludio al termidoro, a Bonaparte e alla restaurazione. E la rivoluzione d'ottobre e quella cristiana hanno conosciuto forme di repressione ancor più spaventose. Quando Angela Davis espresse la propria adesione ai processi truccati, contro gli oppositori socialisti cecoslovacchi, non fece che incoraggiare l'infiltrarsi nel diritto americano dei metodi di falsificazione degli incartamenti e della caccia alle streghe.... Così discutevamo in ospedale psichiatrico coi partigiani di Pinochet e del Ku-Klux-Klan." (pag. 508).
Con sostenitori di Pinochet e del Klan, perché tutti i perseguitati, soprattutto i comuni: una moltitudine cacciata in prigione più per atroce indifferenza che colpe reali; questa gente non può che prendere a propri ideali modelli quelli che il sistema moscovita indica come i modelli del male assoluto: Pinochet e il Klan. Passo mirabile che ci spiega anche perché, all'apogeo della dominazione cristiana, emerse tra le masse un diffuso culto di satana; quel satanismo che nel '700 appesta tutto il mondo. Tanti più oppositori perseguita, più un sistema produce e riproduce nemici, ma i sistemi della dominazione vogliono tutto questo scientemente, per mantenere nel terrore il "buon cittadino medio": questa entità ancor più mostruosa dei mostruosi sostenitori di Pinochet e del Klan che il sistema repressivo sovietico incuba, così come il nostro incuba stragi di Bologna.
Come uscire dal cerchio infernale? Tutto il libro di Pljusc è una formidabile proposta strategica, che rimanda a tecniche e messaggi di chiara e cosciente origine e derivazione anarchica. Egli, nella premessa afferma che non può indicare tutti per nome e cognome, perché il primo suo lettore è il KGB, per cui, molti nomi ometterà e fatti indicherà distorti. Ed ecco che, mentre va a Mosca per incontrare il gruppo Grigorenko, è trovato in possesso della Storia della rivoluzione francese di Kropotkin, che, sembra molto poco attendibile Pljusc esponesse al rischio di un viaggio, soprattutto con la fame di libri che gli oppositori hanno, e la paura che questi libri siano sequestrati. Dunque Pljusc vuol mandare un segnale, vuol indicare al lettore quale il termine suo segreto di riferimento, dopo che ha messo in chiaro come, pur stimandoli, non condivide i modelli né dei puri nazionalisti ucraini alla Moroz, né le posizioni di Sakharov e Grigorenko, e neanche i vari marxismi dei molti gruppi di opposizione attivi in Russia. E si faccia attenzione, egli si dichiara ripetutamente e insistentemente sovietista (cioè consiliare) e rimanda spesso a Lenin e a Marx, ma sempre da una volontà esopica, fino alla anarchica affermazione: "Essi confondono la patria con lo stato!". Perché Pljusc abbia scelto di alludere: ed egli insiste molto sulla necessità di uno scarto minimo, ma necessario, tra i fatti e la loro narrazione, è problema che rimanda a tutta una plurimillenaria linea di resistenza delle scritture alla dominazione, che Alfieri denuncia come ormai morta per sempre, in una sua bella satira, perché è venuto il tempo di dire scopertamente tutta la verità. Forse il grande astigiano sbagliava? Forse il tempo cupo dell'intesa segreta tra quanti sanno e vogliono la libertà è di nuovo sopra noi? Questo non minore, tra i molti problemi sollevati dal grande libro di Pljusc, indico agli amici di "A". Se questo è il mondo che incalza, leggere l'opera di Pljusc è farsi cogliere meno impreparati dalla intemperie che ci sovrasta.
Oltre questo straordinario libro: il popolo di dannati che vi brulica, e le mirabili figure dei resistenti, il testo rimanda alla reale vicenda Pljusc: l'affare Pljusc. Uno scienziato che si fa resistente alla tirannide moscovita, e che viene salvato, solo perché scienziato. Viene salvato, accanto ai molti perduti e maledetti perché Sakharov non li conosce: questo straordinario uomo, scopriamo nella letteratura, non esita mai, quando riesce a saperlo, a recarsi là dove c'è un processo politico, per dare, con la sua presenza, un minimo di garanzia al perseguitato. Con Pljusc, Sakharov ottiene il massimo: la libertà in occidente. E com'è bella e gradita questa libertà. Pljusc è libero perché c'è Sakharov, ma anche perché ci siamo noi tutti, un poco anche perché c'è "A". Ci rendiamo conto sempre chiaramente di questa nostra capacità e possibilità di pressione in difesa dell'area delle libertà? Impieghiamo sempre tutti gli strumenti a nostra disposizione? Certamente no! E quando non lo facciamo, in Italia come in Moscovia, muore uno di noi: muore solo e abbandonato. Ecco la ultima e decisiva riflessione alla quale deve indurci questo straordinario libro, che, pur incomparabilmente splendido nella scrittura, rimanda ancora e soprattutto a uomini in carne ed ossa: uomini abitati dal desiderio di felicità, di allegria di vita. Un libro che deve sussurrarci diuturnamente: "Le parole al massimo riflettono una buona causa, quando non la deformano", e che: "Non si va in prigione per delle idee, ma per il rispetto degli altri e di se stessi". Due affermazioni che rimandano immediatamente e irresistibilmente all'uomo reale Pljusc; una autentica voce anarchica, perché ci ricorda che le carceri, tutte le carceri, vanno abolite, perché è nato prima il carceriere che il carcerato, il concetto di crimine che il criminale.