Rivista Anarchica Online
Il palazzo e i polli
di Luciano Lanza
Diciamocelo con franchezza: chi si scandalizza per la corruzione dei potenti? Quasi nessuno.
Un'affermazione, questa, che contrasta con l'immagine che i mezzi di informazione ci hanno
fornito, ma che con tutta probabilità è più vera di quanto non appaia a prima vista. Lo
scandalo, gli scandali dei petroli che vedono coinvolte le massime cariche dello stato e delle
istituzioni di vigilanza (ironia dei nomi) non rappresentano certo una novità. Le cronache di
questi ultimi trentacinque anni sono una sequenza ininterrotta di scandali: corruzione, ruberie,
frodi, peculati, truffe, estorsioni, prevaricazioni, a cui fanno da contrappeso insabbiamenti,
condoni, proscioglimenti, assoluzioni, perdoni, giustificazioni, redenzioni. Chi allora può ancora
scandalizzarsi di fronte ad un fatto consueto? Lo ripeto, quasi nessuno. Anche i censori di questi
giorni giocano la loro parte, scrivono articoli infuocati, chiedono le teste dei colpevoli, ma non
sono certo turbati come vorrebbero far credere. La ragione è molto semplice, quasi banale: la
corruzione e l'imbroglio sono una delle costanti fisiologiche della "razza padrona", i cui appetiti
sono cresciuti in maniera direttamente proporzionale alla sua immunità. Solo le lotte intestine tra
i potenti permettono che ogni tanto si alzi un velo e venga mostrata ai sudditi la putrescenza di
questo o quel signorotto. Questo non accade solo in Italia, gli scandali sono moneta in
circolazione in tutti i paesi, ma di solito chi è stato colto con le mani nel sacco viene perlomeno
messo alla porta e in questo modo il potere riesce a rinnovarsi e ad acquistare maggiore
consenso. Da noi, invece, le cose vanno grosso modo così: il potente colto in fallo viene additato
al pubblico ludibrio e lo si fa retrocedere di qualche posizione che viene subito occupata dai suoi
accusatori. A questo punto il processo di espiazione è compiuto e si ricomincia la gara. Il potere
democristiano è dunque capace di rinnovarsi mantenendo inalterati i suoi ranghi. In questo lo
sorregge la concezione cattolica dell'espiazione che permette di recuperare anche il peccatore più
incallito. Gli stolti denigratori di questo grande partito non hanno capito che se pur da
trentacinque anni vediamo le stesse facce spartirsi la torta, i cuori sono cambiati. Noi non
abbiamo visto il cilicio che mordeva le carni dei ministri-ladri, non abbiamo assistito alle veglie
fatte di preghiere e di autoflagellazioni fino al momento della redenzione. La dottrina cattolica ha pervaso la
società italiana in modo più profondo di quanto comunemente
si creda. Uno dei cardini di questa dottrina, l'assistenzialismo, si è trasfuso nello stato italiano. Il
proliferare di enti, la costituzione di imprese pubbliche inutili, il salvataggio di imprese in
cronico dissesto sono anche un'espressione tangibile dell'assistenzialismo cattolico. Un
assistenzialismo che ha dato i suoi frutti. Il persistere al potere della DC è stato possibile perché
questo partito ha comprato il consenso non solo corrompendo fino ai più bassi strati della
popolazione, ma anche elargendo posti di lavoro, pensioni, sovvenzioni, e tutte quelle altre forme
di corruzione larvata che l'inesauribile fantasia dei democristiani ha saputo escogitare. In questo
modo il potere democristiano è riuscito a non rimanere un elemento esterno alla società, ma ha
saputo innervarsi nel corpo sociale. Quindi il potere non corrompe solo coloro che lo esercitano,
ma purtroppo anche coloro che lo subiscono. Penosa constatazione, che ci richiama con prepotenza ad una
realtà troppo spesso taciuta,
rimossa, difficile da accettare. Come porsi dunque di fronte all'elemento "corruzione"? Se il suo
diffondersi non rappresenta più un fatto accidentale, ma, come possiamo constatare, un segno
caratterizzante la vita associata, forse non serve più di tanto denunciarla. Ci stanno già pensando
i moralizzatori che sono portatori di una corruzione con caratteristiche diverse, ma sempre
corruttori. Ebbene la corruzione ci racconta la miseria della nostra quotidianità. Ci indica i punti oscuri
che
non vengono rischiarati dal "sol dell'avvenir". La corruzione ci dice che questo potere
inefficiente, borbonico e bizantino ad un tempo, parolaio e capriccioso, inconcludente, ha trovato
una sua giustificazione, un suo spazio, ha creato consenso (mugugnante, forse, ma acquiescente). Come si
risolverà questo ennesimo scandalo di regime? Molti auspicano la fine del predominio
democristiano e la rifondazione della repubblica su basi diverse. È possibile. Ma questo
presupporrebbe una recisione dei cordoni clientelari che la DC ha allacciato con numerosissimi
potenti gruppi di pressione, presupporrebbe una predisposizione al cambiamento (anche se di
cambiamento limitato si tratterebbe) che non è dato scorgere nella nostra storia recente. La parte
in causa, la DC, spera invece di riuscire a mantenere inalterate le sue fortune elettorali grazie ad
un parziale autorinnovamento: accantonati i personaggi più compromessi e quindi oggi più
scomodi, pensa di potersi ripresentare con le mani un po' più pulite così da attenuare "irrazionali
desideri di pulizia morale". Delle due ipotesi la più realistica è senza dubbio la seconda, anche
se la prima non è affatto da
scartare. Staremo a vedere. Comunque sia in un caso che nell'altro chi avrà vinto sarà il potere
perché nulla sarà stato effettivamente cambiato, il rapporto di dominazione si sarà
tuttalpiù
rinnovato, al limite avrà trovato nuove forme per ottenere il consenso, ma la distanza gerarchica
tra governanti e governati sarà immutata. Esiste una terza ipotesi, la più irrealistica al momento
attuale, ma fino a quando? E cioè
un'ipotesi che ci veda intervenire fattivamente per ostacolare il riassorbimento di questa crisi solo
all'interno della logica del potere. Questo significa che possiamo e dobbiamo usare questa
momentanea rottura per inserire il dubbio e per trasformare successivamente il dubbio in azione
cosciente. Facile a dirsi. Lo so che le difficoltà sono enormi, che la voce del potere è molto
più
forte e più suadente, che i sudditi come tanti "piccoli poveri polli di allevamento" preferiscono il
rassicurante tepore del pollaio ai rigori delle intemperie a cui vorrebbero richiamare i nostri
gracili chicchirichì. Si sa che la strada della rivoluzione è lunga e difficile, ma non per questo
dobbiamo scoraggiarci.
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