Rivista Anarchica Online
La catastrofe stato
di Paolo Finzi
Ci mancava solo il terremoto. Come se la vita di quelle genti da sempre povere, fottute,
dimenticate non fosse già abbastanza difficile. Come se i politici non avessero già abbastanza
occasioni per mettersi in mostra, per maneggiar soldi e distribuirli ove conviene, per
raggranellare voti. Come se di morti innocenti da una parte e di retorica dall'altra non ne
avessimo a sufficenza. Come se.... A pochi giorni dalle prime scosse di quella tragica serata domenicale del 23
novembre, il quadro
che presentano le regioni colpite dal sisma è allucinante: alla catastrofe terremoto si è aggiunta la
catastrofe Stato. Ci riferiamo innanzitutto, naturalmente, ai soccorsi - o meglio, ai non/soccorsi:
agli elicotteri che non si sono levati in cielo subito e che anzi sono stati tirati fuori dagli hangar
due o tre giorni dopo per trasportare i vari ministri, il papa, pertini, i notabili, i burocrati, i
generali. Ci riferiamo alle scatolette di cibo, ai gruppi elettrogeni, alle tende, ai medicinali, alle
coperte, a tutte quelle cose di prima necessità che in gran parte dei paesi sono arrivate grazie
all'iniziativa di individui e di associazioni prima che vi arrivassero i soccorritori ufficiali, "di
Stato". Ci riferiamo alle difficoltà di ogni tipo frapposte dalle autorità a chi non aveva
l'autorizzazione, il timbro, la carta da bollo, l'elenco vidimato, ecc.. Sono tutti avvenimenti
troppo recenti (stanno accadendo mentre scrivo) perché se ne possa parlare con distacco: è uno
schifo! Dopo la strage fatta dal terremoto, quanta gente ha ucciso l'inerzia, l'inefficienza, il
burocratismo di Stato? Parallela all'inefficienza, come sempre, c'è la retorica: la retorica dei ministri,
la controretorica di
pertini, le lodi ufficiali ad istituzioni nefaste e le improvvise scoperte che funzioni essenziali
come la Protezione Civile praticamente non esistono. Emblematico il caso dell'esercito, del quale
viene continuamente sottolineata l'opera, la disponibilità, l'utilità: si è arrivati a compiangere
le
regioni colpite da questo terremoto perché, contrariamente al Friuli, contano poche caserme. Ma
si è taciuto, per esempio, sui pesantissimi vincoli che allo sviluppo della società friulana pongono
le servitù militari. Soprattutto i mass-media si sono ben guardati dal mettere in luce l'abissale
sproporzione tra quanto di "buono" l'esercito riesce a fare in simili occasioni (ma più che
l'istituzione, è la generosità dei giovani che riesce ad esprimersi nonostante la divisa)
e quanto di
negativo esso fa e rappresenta, assorbendo tanta parte della ricchezza sociale per tener in vita la
sua struttura di morte, di gerarchica obbedienza, di guerra. In questi giorni è un continuo richiamo alla
necessità di stringerci intorno alle istituzioni,
partecipando ordinatamente allo "sforzo" comune. Tralasciamo di discutere la questione della
solidarietà concreta: come tutte le persone coscienti, umane, ci siamo mossi ben prima che lo
facessero e ce lo dicessero le autorità. Ed ora dovremmo stringersi attorno alle loro istituzioni?
Per quale ragione? Forse dovremmo chiedere l'autorizzazione a qualcuno dei loro notabili prima
di esprimere la nostra solidarietà? Magari a quello Zamberletti uscito malconcio dall'affare Friuli
e che la DC ha imposto tanto per chiarire come intende risolvere la cosiddetta "questione
morale"? A pochi giorni dal terremoto, troppi elementi ci confermano nelle nostre opinioni di fondo. E
questo innanzitutto: lo Stato, dopo aver espropriato i cittadini dello spirito d'iniziativa, dopo aver
avocato a sé le principali funzioni sociali (compresa quella della difesa dell'esistenza umana),
ancora una volta non ha saputo/potuto esprimere quell'iniziativa socialmente positiva che
dovrebbe giustificarne l'esistenza. In quest'ottica, gli intoppi burocratici ai massicci e tempestivi
aiuti spontanei della gente assumono un significato che va ben al di là dell'ottusità di qualche
funzionario particolarmente cretino o cinico: lo Stato è pienamente cosciente che in queste
occasioni è in gioco anche la sua credibilità, la sua legittimazione agli occhi della gente - e non
vuole perdere la faccia. È per questo che istintivamente rigetta quanto non viene dal suo interno.
Piuttosto tende a lasciar crepare la gente sotto le macerie, e questo è puntualmente avvenuto.
Ancora una volta. Se la gente iniziasse a rifiutare questa assurda delega allo Stato, se cominciasse ad
organizzarsi
autonomamente al di fuori dello Stato, se si rendesse conto di quanto "costa" (non solo in termini
monetari, ma di libertà e anche di vita) lo Stato, cioè l'organizzazione gerarchica della
società, si
potrebbe aprire una nuova prospettiva. Finché però ci si limiterà a borbottare o a protestare
solo
per chiedere di più allo Stato, pronti in cambio a dargli tutto se stessi, potrà al massimo
cambiare
il governo. Ma tutto resterà come prima. E quando un altro terremoto farà crollare le baracche
del Belice o del Friuli, dell'Irpinia o di
qualsiasi altra regione, ci ritroveremo nella stessa situazione di ora. Con uno Stato sul groppone,
tanto inefficiente nel "dare" quanto sciacallo e ladro nel prendere.
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