Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 88
dicembre 1980 - gennaio 1981


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La catastrofe stato
di Paolo Finzi

Ci mancava solo il terremoto. Come se la vita di quelle genti da sempre povere, fottute, dimenticate non fosse già abbastanza difficile. Come se i politici non avessero già abbastanza occasioni per mettersi in mostra, per maneggiar soldi e distribuirli ove conviene, per raggranellare voti. Come se di morti innocenti da una parte e di retorica dall'altra non ne avessimo a sufficenza. Come se....
A pochi giorni dalle prime scosse di quella tragica serata domenicale del 23 novembre, il quadro che presentano le regioni colpite dal sisma è allucinante: alla catastrofe terremoto si è aggiunta la catastrofe Stato. Ci riferiamo innanzitutto, naturalmente, ai soccorsi - o meglio, ai non/soccorsi: agli elicotteri che non si sono levati in cielo subito e che anzi sono stati tirati fuori dagli hangar due o tre giorni dopo per trasportare i vari ministri, il papa, pertini, i notabili, i burocrati, i generali. Ci riferiamo alle scatolette di cibo, ai gruppi elettrogeni, alle tende, ai medicinali, alle coperte, a tutte quelle cose di prima necessità che in gran parte dei paesi sono arrivate grazie all'iniziativa di individui e di associazioni prima che vi arrivassero i soccorritori ufficiali, "di Stato". Ci riferiamo alle difficoltà di ogni tipo frapposte dalle autorità a chi non aveva l'autorizzazione, il timbro, la carta da bollo, l'elenco vidimato, ecc.. Sono tutti avvenimenti troppo recenti (stanno accadendo mentre scrivo) perché se ne possa parlare con distacco: è uno schifo! Dopo la strage fatta dal terremoto, quanta gente ha ucciso l'inerzia, l'inefficienza, il burocratismo di Stato?
Parallela all'inefficienza, come sempre, c'è la retorica: la retorica dei ministri, la controretorica di pertini, le lodi ufficiali ad istituzioni nefaste e le improvvise scoperte che funzioni essenziali come la Protezione Civile praticamente non esistono. Emblematico il caso dell'esercito, del quale viene continuamente sottolineata l'opera, la disponibilità, l'utilità: si è arrivati a compiangere le regioni colpite da questo terremoto perché, contrariamente al Friuli, contano poche caserme. Ma si è taciuto, per esempio, sui pesantissimi vincoli che allo sviluppo della società friulana pongono le servitù militari. Soprattutto i mass-media si sono ben guardati dal mettere in luce l'abissale sproporzione tra quanto di "buono" l'esercito riesce a fare in simili occasioni (ma più che l'istituzione, è la generosità dei giovani che riesce ad esprimersi nonostante la divisa) e quanto di negativo esso fa e rappresenta, assorbendo tanta parte della ricchezza sociale per tener in vita la sua struttura di morte, di gerarchica obbedienza, di guerra.
In questi giorni è un continuo richiamo alla necessità di stringerci intorno alle istituzioni, partecipando ordinatamente allo "sforzo" comune. Tralasciamo di discutere la questione della solidarietà concreta: come tutte le persone coscienti, umane, ci siamo mossi ben prima che lo facessero e ce lo dicessero le autorità. Ed ora dovremmo stringersi attorno alle loro istituzioni? Per quale ragione? Forse dovremmo chiedere l'autorizzazione a qualcuno dei loro notabili prima di esprimere la nostra solidarietà? Magari a quello Zamberletti uscito malconcio dall'affare Friuli e che la DC ha imposto tanto per chiarire come intende risolvere la cosiddetta "questione morale"?
A pochi giorni dal terremoto, troppi elementi ci confermano nelle nostre opinioni di fondo. E questo innanzitutto: lo Stato, dopo aver espropriato i cittadini dello spirito d'iniziativa, dopo aver avocato a sé le principali funzioni sociali (compresa quella della difesa dell'esistenza umana), ancora una volta non ha saputo/potuto esprimere quell'iniziativa socialmente positiva che dovrebbe giustificarne l'esistenza. In quest'ottica, gli intoppi burocratici ai massicci e tempestivi aiuti spontanei della gente assumono un significato che va ben al di là dell'ottusità di qualche funzionario particolarmente cretino o cinico: lo Stato è pienamente cosciente che in queste occasioni è in gioco anche la sua credibilità, la sua legittimazione agli occhi della gente - e non vuole perdere la faccia. È per questo che istintivamente rigetta quanto non viene dal suo interno. Piuttosto tende a lasciar crepare la gente sotto le macerie, e questo è puntualmente avvenuto. Ancora una volta.
Se la gente iniziasse a rifiutare questa assurda delega allo Stato, se cominciasse ad organizzarsi autonomamente al di fuori dello Stato, se si rendesse conto di quanto "costa" (non solo in termini monetari, ma di libertà e anche di vita) lo Stato, cioè l'organizzazione gerarchica della società, si potrebbe aprire una nuova prospettiva. Finché però ci si limiterà a borbottare o a protestare solo per chiedere di più allo Stato, pronti in cambio a dargli tutto se stessi, potrà al massimo cambiare il governo. Ma tutto resterà come prima.
E quando un altro terremoto farà crollare le baracche del Belice o del Friuli, dell'Irpinia o di qualsiasi altra regione, ci ritroveremo nella stessa situazione di ora. Con uno Stato sul groppone, tanto inefficiente nel "dare" quanto sciacallo e ladro nel prendere.