Rivista Anarchica Online
Vertenza FIAT - Il cerchio si è chiuso
di Luciano Lanza
L'analisi più spregiudicata viene da un dirigente sindacale, Ottavio Del Turco, segretario
nazionale F.L.M.: "In una fase in cui la riconversione e la ristrutturazione industriale è una
necessità assoluta, se l'Italia vuole partecipare alla gara per la nuova divisione internazionale
del lavoro chi pensa che si possa partecipare a questa gara mantenendo inalterate le condizioni
di rigidità ottiene un solo risultato: condanna l'Italia a perdere.". Il fulcro del problema è
già tutto delineato: la crisi economica a livello internazionale rimescola
le carte e impone con forza una nuova configurazione della divisione internazionale del lavoro.
Si aprono nuove frontiere della competitività industriale. Una competizione dura, condotta a
colpi bassi e che si tinge delle gialle tonalità dell'interclassismo: gli interessi economici dei
padroni sono sostanzialmente analoghi (anche se quantitativamente diversi) a quelli dei
lavoratori. Un maggior peso dei primi si collegherà a una situazione privilegiata dei secondi
rispetto agli operai, ai contadini, agli impiegati, ecc. dei paesi che verranno sospinti alla periferia
dell'impero. In questo ambito l'organismo di difesa degli interessi dei lavoratori ha poche possibilità di
manovra. Un sindacato così corresponsabilizzato nelle scelte economiche non poteva impedire il
processo di ristrutturazione della FIAT. E così è stato. L'accordo firmato riconosce questa
"necessità storica". Non poteva essere altrimenti. Le compatibilità del sistema lo imponevano.
Agire in modo diverso significava pensare da rivoluzionari che logicamente se ne infischiano
delle compatibilità, anzi vogliono farle esplodere. Ma pretendere questo dal sindacato ufficiale
mi sembra ingenuo se non assurdo. Un po' di rispetto per i ruoli, diamine. Però il sindacato un po' di lotta
dura l'ha fatta, ma anche questo era logico. Come si poteva
accettare passivamente l'allontanamento dalla fabbrica di migliaia di operai? Non si potevano
eludere le aspettative della base che vedeva messo in discussione il suo posto di lavoro. Il
sindacato ha una necessità fisiologica: mantenere e rafforzare il consenso dei lavoratori, perché
questo è l'elemento che legittima il suo potere nella società. Infatti nell'attuale fase storica il
sindacato è divenuto uno dei tre cardini della struttura del potere insieme ai partiti e alla
dirigenza delle imprese. Analizzati secondo quest'ottica i dirigenti sindacali sono membri a tutti
gli effetti della nuova élite del potere. Ma a differenza delle altre due componenti - classe politica
e dirigenza economica - i dirigenti traggono la loro legittimazione di potere dalla capacità di
gestire la conflittualità operaia e di inserirla nelle compatibilità del sistema come variabile
prevedibile del processo produttivo-distributivo. Ma solo se conservano il consenso i dirigenti
sindacali possono presentarsi con pari forza nel confronto-scontro con la classe politica e la
dirigenza economica. Per funzionare correttamente questa crisi triarchica deve mantenere distinti i compiti, ma
grazie
alla crisi economica il sindacato tendeva a superare i limiti stabiliti. Tendeva cioè a gestire non
solo la forza lavoro ma anche a cogestire i mezzi di produzione (decisionalità nelle strategie
aziendali, nell'utilizzo degli impianti, ecc.), vale a dire il compito della tecnocrazia aziendale.
Una situazione quindi che minava il potere di quest'ultima, considerato che il sindacato già
cogestisce una parte del potere politico. In quest'ottica si può parlare - come molti hanno già
fatto, ma con altri intendimenti - della
vertenza FIAT come di una riscossa della dirigenza aziendale. La posta del contendere era,
soprattutto ma non soltanto, il ristabilimento della ripartizione dei ruoli. La FIAT ha vinto, anzi
ha rischiato di stravincere, e se si è accontentata di un tipico compromesso all'italiana è stato per
non screditare troppo il suo avversario-partner. Un sindacato troppo indebolito non serve
nemmeno alla FIAT. Chi altrimenti potrebbe garantire la pace in fabbrica? Dopotutto le sonore
legnate ai pontefici massimi del sindacalismo sono un sintomo esplicito della rabbia che cova
sotto molte tute blu. È cominciata l'epoca dell'autocritica. Il sindacato si lecca le ferite e scopre,
oh meraviglia, che non è più capace di controllare lotte ad oltranza. Scopre che i delegati di
fabbrica sono in crisi. Crisi soprattutto psicologica che investe l'ultimo anello dell'apparato
sindacale stretto tra le opposte critiche dei suoi compagni di lavoro e dei sindacalisti di
professione. Così questo sindacato che voleva uscire dai confini imposti dall'articolazione del potere
si scopre
debole nella sua struttura di base. Scopre che le sue fortune, dipese da un'equilibrata alternanza
dei suoi aspetti istituzionali e dei suoi aspetti movimentisti, sono oscurate dall'accentuazione del
processo di istituzionalizzazione. Questa doppia situazione ha messo e mette oggettivamente in
difficoltà il sindacato perché la forza che trae dall'essere movimento di rivendicazione si
modifica di segno nel momento in cui la utilizza nell'ambito istituzionale. Cambiamento
qualitativo che genera un affievolimento del consenso, cioè dell'elemento che genera la sua forza.
Il serpente si mangia la coda. Una coda strana, purtroppo, che si riforma mano a mano che viene
digerita. Ma la vertenza FIAT ha portato in evidenza un elemento nuovo. Sono proprio le modalità con
cui questa si è conclusa che ci permettono di analizzare il processo di ulteriore trasformazione
del sindacato: il consenso degli iscritti tende a non essere più il solo elemento di legittimazione
del potere sindacale. Questo consenso può essere anche momentaneamente disatteso. La
legittimazione può fondarsi, paradossalmente, su chi è ostile alle sue indicazioni di lotta e sulla
controparte aziendale. Infatti, l'accordo è passato anche grazie a coloro che si erano dichiarati in
disaccordo con il sindacato - i famosi quarantamila capetti - e alla mobilitazione messa in atto
dalla dirigenza FIAT. Governo, FIAT e capetti, dirigenza sindacale sono riusciti ad imporre un
accordo che la base sindacale metteva in discussione. Un'alleanza forse apparentemente ibrida,
ma rivelatrice di una nuova dinamica del potere: il sindacato in questo momento di debolezza
riceve la legittimazione per la perpetuazione del suo potere dagli altri due partners della struttura
di potere. Il cerchio si è inesorabilmente chiuso: la struttura di potere trova al suo stesso interno
l'autolegittimazione del potere.
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