Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 85
estate 1980


Rivista Anarchica Online

Anarco-femminismo. Perché il trattino?
di Kytha Kurin

Quelli che si lamentano per l'apaticità degli anni '70 saranno forse universitari superpagati, studenti ribelli e delusi degli anni '60, marxisti o anarchici di sesso maschile, coglioni dei mass-media che danno valore solo a ciò che fa spettacolo, magari anche esponenti liberal del movimento per la liberazione della donna, ma non certo femministe rivoluzionarie. Attraverso l'innumerevole alternarsi di iniziative ed eventi, dalle campagne di massa pro-aborto ai gruppi ristretti di autocoscienza, dalle fratture tra eterosessuali e lesbiche al separatismo anti-maschio, dall'organizzazione sindacale delle donne ai centri di assistenza anti-stupro; insomma, lottando sempre apertamente e direttamente contro la società avversa alla donna e alla vita stessa, il movimento femminista ha resuscitato l'euforica richiesta dell'impossibile degli anni '60 e si è posto l'obiettivo di tradurre veramente i sogni in realtà.

Anche l'anarchismo è stato costretto a confrontarsi con la rabbia, il dinamismo e l'amore del movimento femminista. Negli ultimi dieci anni, alcune femministe e anarchiche hanno proposto la fusione tra i due movimenti. Nel 1975 Peggy Kornegger ha pubblicato Anarchism, the Feminist Connection e il collettivo Zero ha stampato il suo manifesto, Anarcha-Feminism, nel 1977. Anche Open Road ha dedicato molti articoli all'argomento. Tuttavia, mentre questi tentativi hanno affrontato seriamente due concetti solitamente separati (o al più uniti da un trattino) e che secondo molti dovrebbero essere compresi entrambi nel termine "anarchismo", in molti altri casi i due movimenti sono stati considerati incompatibili l'uno con l'altro: ciascuna ritiene che il "suo" movimento sia "più rivoluzionario".

Molti di noi nutrono grandi speranze nel nuovo decennio, che sembra offrirsi come una tabula rasa, e questo ci sembra un buon motivo per riflettere di nuovo, e a fondo, sulla dialettica che sta dietro all'anarco-femminismo. Le femministe hanno lottato duramente contro la società patriarcale, e nella lotta hanno sperimentato gioie inattese e frustrazioni e hanno imparato molte cose. Nessuno di coloro per i quali l'anarchismo è qualcosa di più che un'etichetta può dire di non aver appreso nulla dall'esperienza femminista, né può aver mancato di riflettere sulla politica nell'anarchismo. Le esperienze femministe e il loro impatto sul movimento anarchico sono state valutate e comprese a fondo, tanto da consentirci di affrontare e creare gli anni '80? Questo è il quesito a cui bisogna dare subito risposta, perché se il nuovo decennio sembra offrirci la possibilità di ripartire verso nuovi orizzonti e di percorrere nuove strade, non altrettanto è disposta a fare la società nella quale viviamo. Le donne sono ancora oppresse da una concezione sessista a livello sia individuale, sia istituzionale; alla maggior parte della gente non è ancora concesso di vivere, se non entro i limiti della pura sopravvivenza e sull'umanità intera pende minacciosa la spada di Damocle della distruzione nucleare. Il significato o non-significato dell'anarco-femminismo non è una questione semantica o di preferenze, ma di che cosa abbiamo imparato e di come possiamo applicarlo nella pratica per rivendicare il pianeta come fonte di vita, invece di vederlo trasformarsi in un letto di morte. Di solito si definiscono i termini prima di usarli, ma nell'analisi dell'anarco-femminismo appare più sensato concentrare l'attenzione prima sull'attività, poi sull'etichetta. Dopo tutto sono state le esperienze concrete dell'attività rivoluzionaria femminista a creare la necessità di comprendere le potenzialità e i limiti dell'anarchismo e del femminismo. Dopo aver valutato i risultati, le speranze e le delusioni più significative del movimento femminista rivoluzionario saremo almeno in grado di comprendere le circostanze storiche che hanno dato vita al concetto di anarco-femminismo. Risalendo alle origini di questa definizione, piuttosto che discutendo sul significato che i termini "femminismo" e "anarchismo" dovrebbero avere isolati singolarmente nella loro purezza, ci troveremo in una posizione migliore per riflettere sul futuro dell'anarco-femminismo. Infine, potremo con maggiore sicurezza esplorare alcune delle strade che il movimento rivoluzionario degli anni '80 potrà imboccare.

L'esperienza rivoluzionaria femminista. Una nuova definizione del politico

Il movimento femminista rivoluzionario è sempre stato associato solo superficialmente alle femministe sul tipo della rivista Ms., che tanto meravigliosamente si adattano all'immagine liberal di "il mondo è vostro, fatene quello che volete". Le femministe rivoluzionarie, molte delle quali hanno alle spalle un passato di militanza attiva nei movimenti studenteschi e contro la guerra, hanno sempre saputo che l'establishment reagisce duramente quando si sente minacciato. E poiché essere femminista significa lottare contro l'establishment in ogni momento, le femministe rivoluzionarie hanno subito reazioni violente da ogni parte - dal governo, dagli uomini, dalle donne represse e oppresse, dagli amanti, da radicali non femministe e anche dal sessismo che inquina il nostro stesso movimento. Tuttavia, anche se le continue lotte sono state sfibranti e a volte deludenti, esse non hanno mancato di esortare le femministe a una ridefinizione del politico.
Quali sono i problemi politici delle donne? La salute, le preoccupazioni quotidiane, la sessualità, la famiglia, il lavoro, le prigioni, la scuola, la casa? E per ciascuno di questi problemi, una miriade di "sotto-problemi": salute vuol dire psichiatria, alimentazione, aborto, contraccezione, droghe, radiazioni nucleari. Non è questione di scelta, ma di trovarsi coinvolte in una lotta particolare che è manipolata da e compromessa con questa società autoritaria incline alla distruzione.
Per molte donne, la prima politicizzazione femminista è passata attraverso la rivendicazione del diritto all'aborto, cioè del diritto di gestire in nostro corpo. Quando fu chiaro che le leggi contro la donna non erano semplicemente una sopravvivenza del Medioevo, bensì uno strumento cosciente per riaffermare la proprietà del corpo femminile da parte dello stato, molte femministe erano già pronte a lavorare in un movimento politico, perché avevano già esperienza di lotta. Il problema di "imparare" come rendere personale il politico non si presentò: la dimensione intima e personale era già stata resa politica dallo stato.
Agli uomini questa realtà non era apparsa con altrettanta evidenza. Nonostante il fatto che la maggior parte degli uomini vendano, attraverso il sistema salariale, le energie e le potenzialità del loro corpo e della loro mente, e nonostante il fatto che le loro capacità creative siano inaridite, soffocate e sviate dal consumismo, molti cosiddetti radicali maschi sembravano ancora accettare una definizione elettorale del politico - di qualcosa, cioè, che si "faceva" al più per qualche ora al giorno. Mentre molti riconoscevano la necessità urgente della lotta politica (qualcosa deve cambiare, e in fretta), la maggior parte non riconosceva che la lotta doveva avere un carattere immediato (dobbiamo cambiare qualcosa ogni giorno).

Il separatismo

Della donna si dice, tradizionalmente parlando, che "non capisce nulla" di politica, e in una certa misura molte donne si sono dimostrate acquiescenti a questa definizione. Tuttavia, costrette a lottare per aver diritto di parola sul proprio corpo, molte donne si convinsero che ciò non era del tutto vero e compresero la necessità di lottare unite contro l'attuale struttura della società.
È importante ricordare che in origine molte cercarono di lavorare nei gruppi politici di sinistra già esistenti. Gli anarchici, i quali ritenevano che il processo rivoluzionario non potesse prescindere ed essere separato dagli obiettivi della rivoluzione, sembravano essere più vicini alla concezione politica delle femministe. Gli anarchici erano convinti che un movimento autoritario, sfruttatore non potesse assolutamente creare una nuova società non autoritaria e non sfruttatrice. La differenza tra anarchici e femministe, tuttavia, era che ciò che i primi riconoscevano soltanto in teoria, le seconde lo rivendicavano. Le riunioni e le manifestazioni anarchiche non erano sostanzialmente diverse da quelle degli altri gruppi della sinistra. C'erano alcuni argomenti dei quali era giusto trattare nelle riunioni politiche e c'era anche un modo giusto di parlare. Ma le femministe, che ormai capivano la politica fin troppo bene, chiedevano che tutti i tipi di dominazione e sfruttamento fossero considerati problemi politici, perché quando l'oppressione si manifesta in ogni aspetto della vita, come si può decidere che alcune aree devono essere oggetto dell'azione politica e altre devono esserne escluse? Le femministe ritenevano che si dovessero affrontare i problemi della dominazione, del potere e del sessismo quando era il caso anche nelle riunioni, e non solo in astratto o al di fuori del gruppo.
Le femministe si rifiutavano anche di operare una separazione tra l'io "razionale" l'io "emotivo" prima di intervenire alle riunioni e rivendicavano invece il diritto di parteciparvi con tutta la persona, e con tutto il calore e anche le confusioni che fanno parte della vita. Secondo noi era irrazionale pensare che un modo di vita che non raggiungesse la pienezza attraverso la sensività potesse essere considerato razionale. Alla maggior parte degli anarchici nessuno ha mai chiesto di vivere in modo così diretto il proprio anarchismo, e di conseguenza essi erano infastiditi dalla continua insistenza delle donne sul "processo" rivoluzionario e dalle continue "interruzioni" per discutere il problema della dominazione maschile. Peraltro, molte femministe che erano state attratte dalla teoria anarchica, ma erano in realtà maggiormente interessate alla pratica dell'anarchismo, si sentivano frustrate e rifiutavano di accettare l'affermazione retorica, secondo la quale era impossibile che un anarchico potesse essere un sessista autoritario.
Fu così che molte femministe abbandonarono i gruppi misti. Alcune continuarono l'attività politica nei gruppi anarco-femministi; altre rinnegarono dirittura l'anarchismo. Per altri versi, tuttavia, le femministe cominciavano a dar segni di delusione anche nei confronti degli altri gruppi della sinistra. La maggior parte dei partiti marxisti, ad esempio, non si curava neppure di affrontare il problema del femminismo, perché la linea politica del partito fissava chiaramente le priorità e le gerarchie dell'azione. Le insistenze delle femministe sul sessismo venivano liquidate come intemperanze e debolezze borghesi; d'altra parte, quando si cerca di instaurare la dittatura del proletariato non è incoerente indulgere all'autoritarismo. Anche in queste aree della sinistra, perciò, alcune femministe continuarono a lavorare nei gruppi misti, ma molte li abbandonarono per militare esclusivamente nei gruppi di sole donne. In questi gruppi confluirono anche alcune donne che non avevano mai militato in organizzazioni politiche, ma che, come le loro sorelle disilluse dai gruppi misti, si rendevano conto che c'era molto lavoro da fare e che il separatismo sembrava, almeno temporaneamente, l'unica tattica valida da adottare per combattere la tendenza patriarcale. E in verità, se ci guardiamo indietro, una gran parte del lavoro politico più significativo, sia negli Stati Uniti che in Europa, è stato svolto o ispirato da femministe rivoluzionarie operanti al di fuori della sinistra tradizionale.

L'opera svolta dalle femministe rivoluzionarie e le sue implicazioni

Non sorprende che le femministe radicali siano state attive soprattutto nel campo dell'educazione e dei servizi. Per molte donne, il passaggio dal ruolo tradizionale di donna di servizio e di educatrice in casa ad un ruolo analogo nel campo della politica è stato naturale. Poiché il catalizzatore dell'impegno politico di molte donne è stata la rivendicazione del diritto all'aborto, come logica conseguenza si sono sviluppati soprattutto i collettivi per il self-help riguardo ai problemi della salute. Consapevoli del fatto che le strutture autoritarie, sia dello stato, sia dei gruppi politici rivoluzionari conservavano il potere autoritario monopolizzando o mistificando un certo tipo di informazioni e di conoscenze, le femministe hanno cercato di scavalcare l'ostacolo diventando esse stesse le "nuove esperte". Infatti, si sono battute rivendicando il proprio corpo come organismo naturale che poteva essere compreso e curato da esse stesse, senza più delegare questo compito ai medici, alle società farmaceutiche multimilionarie e neppure alle femministe radicali. Hanno cercato di socializzare le proprie conoscenze sia le une con le altre, sia con le "pazienti". Perciò hanno formato non collettivi "di donne", ma collettivi per il self-help, cioè per cavarsela da sole.
Tuttavia, l'ardua impresa di combattere la massiccia diffusione delle droghe medicinali imposta dalla cultura dominante e la necessità di maggiori ricerche nel campo della medicina hanno imposto di lavorare anche al di fuori dell'ambito ristretto dei collettivi, per garantire che il femminismo ottenga un'efficacia reale. Se la ricerca sui metodi di contraccezione è riuscita soltanto a peggiorare dal medioevo in avanti, poiché alle società farmaceutiche e al patriarcato conviene che sia così, e se invece la ricerca sui metodi di contraccezione riveste un'importanza fondamentale per le donne, allora è chiaro che bisogna combattere il potere delle società farmaceutiche e del patriarcato. Le donne che lavoravano nei centri di assistenza contro lo stupro si sono trovate ad affrontare problemi analoghi. I centri sono molto importanti per le vittime delle violenze carnali; tuttavia, se il loro carattere è fondamentalmente "reazionario" non faranno che giovare allo stato. Molte donne hanno chiesto leggi più severe contro gli stupratori, ma le femministe rivoluzionarie sanno che lo stupro non è un crimine contro la società quale noi la conosciamo, quanto piuttosto l'espressione ultima della convinzione e dell'accettazione sociale della forza come diritto. A parte il fatto che gli stupratori condannati sono sempre poveri o appartenenti a gruppi razziali minoritari, conviene allo stato dipingere lo stupro come una forma perversa di sfogo sessuale, perché in questo modo si rafforza l'idea che la sessualità sia sempre "sporca" e deprecabile e che il corpo umano sia una cosa sulla quale lo stato deve esercitare un controllo anche attraverso le leggi. Quando lo stato definisce "crimine" lo stupro, esso impedisce alla gente di rendersi conto del fatto che la società stessa incoraggia e favorisce implicitamente lo stupro tramite la pubblicità, il provocare frustrazione e l'esaltazione del concetto secondo il quale è giusto che il più forte prevalga sul più debole.
La realtà mostra quante vittime dello stupro siano mogli maltrattate e oggetto di violenze e il terrore da parte dello stato all'idea di sconvolgere il nucleo familiare ha costretto le femministe a promuovere un'azione di lotta e di educazione sociale nei confronti di questo fenomeno, piuttosto che affidarsi alle vie legali. Ospitate in case-rifugio provvisorie, le mogli maltrattate si aiutano a vicenda a rifiutare la "sicurezza" di un rapporto violento. A differenza degli operatori sociali tradizionali, le femministe rivoluzionarie non nutrono alcun interesse nella rappacificazione domestica o nell'"ottenere giustizia" in tribunale. Ciò che interessa è eliminare lo stupro. Distribuendo materiale informativo che spiega il ruolo della società nello sviluppo del fenomeno; stampando e rendendo pubbliche le descrizioni dei violentatori, in modo da togliere loro la sicurezza dell'anonimato, e affrontando in gruppo, insieme alle vittime, gli stupratori in pubblico, le femministe cercano di denunciare gli stupratori e l'approvazione implicita della società al loro gesto. D'altra parte, svelando quali sono i veri problemi e le cause, cioè le frustrazioni, la debolezza, il capitale e il potere, compiono un'opera preziosa di educazione. Un'educazione, cioè, che parte dalla realtà e cerca di modificarla.
Il tipo di educazione collettiva, vissuta ed esplorativa che è stata realizzata nei centri anti-stupro e per il self-help è rappresentativa di quella che viene praticata dalla maggior parte delle femministe radicali. Per secoli le donne di casa hanno socializzato le proprie conoscenze tra donne, ma poiché esse avevano attinenza solo con la cucina, con la cura dei bambini e altre cose del genere, le si è denigrate spesso definendole "cose da donne". Allo stesso modo la disponibilità delle donne a parlare dei propri rapporti è stata bollata come "pettegolezzo". Ora nei gruppi teatrali, di stampa e per la salute - in tutti i gruppi femministi - le donne continuano a scambiarsi e a socializzare le loro capacità, le loro conoscenze, i loro sentimenti. Le femministe hanno rifiutato le distorsioni storiche della società patriarcale e hanno rivendicato una storia dalla parte delle donne; noi abbiamo cercato di liberare l'educazione, trasformandola da sottomissione in esperienza di vita.

Alcuni limiti del movimento femminista rivoluzionario

Visto tutto il lavoro concreto svolto dalle femministe rivoluzionarie, si può ben capire perché il movimento femminista sia stato esaltato come il più forte e durevole degli anni '70. Tuttavia, se non vi sono dubbi sulla sua influenza positiva nel decennio appena trascorso, sarebbe nocivo e controproducente ignorarne i limiti e i problemi. La maggior parte delle femministe ha dimostrato una resistenza incredibile e non si è consumata come i militanti maschi. Ciononostante, molte hanno ceduto alla stanchezza e molte altre stanno sperimentando un senso di frustrazione e di tensione e si sentono incapaci di assolvere il compito di distruggere il patriarcato.
Le esperienze nei centri anti-stupro e per ilself-help hanno reso evidente il pericolo di essere cooptate come sostegno al sistema e di essere inefficaci fuori dall'ambito ristretto di un piccolo gruppo (oltreché di vedere limitata l'efficacia anche all'interno della forza dell'opposizione). Le femministe hanno dovuto riconoscere che, anche se la resistenza può essere considerata una delle qualità fondamentali di un vero radicale, esiste una necessità reale ed urgente di modificare la struttura della società, e per quanto un gruppo possa lavorare duramente non riuscirà mai a liberare tutta l'umanità. Infine, molti ritengono che uno dei limiti maggiori del movimento femminista consista nel fatto che non solo esso è incapace di raggiungere la maggior parte delle donne, ma che il concetto stesso di femminismo radicale è alienante per molte donne e per un numero ancora maggiore di uomini. Forse ciò risulterebbe più comprensibile se analizzassimo un analogo tipo di sfiducia che si è manifestato all'interno del movimento stesso: la frattura tra lesbiche ed eterosessuali.
Le lesbiche si sono rese conto ben presto che le eterosessuali non solo avevano interiorizzato spesso modi di comportamento e metodi di lavoro tipicamente maschili, ma che in molti casi negavano addirittura qualsiasi rapporto con le lesbiche per mantenere una facciata di "rispettabilità". D'altro canto, mentre molte eterosessuali non volevano lavorare con gli uomini, non avevano però rinunciato del tutto a loro e non volevano aver nulla a che fare con il separatismo anti-maschio di molte lesbiche. Così la causa originaria della frattura fu determinata dai problemi reali riscontrati nel tentativo di lavorare insieme e avrebbe potuto segnalarci molte cose sul nostro stesso sessismo. Molte cercarono di affrontare il problema e di risolverlo, ma in genere esso si rivelò nocivo alla causa femminista quando la frattura degenerò da problema di lavoro insieme in problema difensivo e di superiorità reciproca. Le lesbiche si consideravano più "pure" perché rifiutavano di vendersi agli uomini o ai mass-media. Le eterosessuali si consideravano a loro volta più "pure" perché lavoravano con la maggior parte della popolazione, cioè con le altre eterosessuali e con gli uomini. Molte eterosessuali riconobbero le proprie prevenzioni contro le lesbiche e cercarono di superarle, oppure provarono un senso di colpa e assunsero un atteggiamento difensivo. Le lesbiche, consapevoli della realtà storica di essere rifiutate dalle consorelle, erano spesso sospettose e spesso non riuscirono a comprendere e ad apprezzare gli sforzi sinceri di alcune eterosessuali per vincere le tendenze sessiste. Il risultato fu che molte eterosessuali si sentirono ingiustamente rifiutate dalle lesbiche, e che molte lesbiche manifestarono sfiducia nei confronti delle eterosessuali.
Per molti versi, il problema è analogo a quello sorto nei confronti degli uomini. Molti uomini si sentirono così drasticamente e ingiustamente rifiutati dalle femministe che anche quelli che originariamente avevano tentato di superare il proprio sessismo ripiegarono su posizioni di difesa tali per cui l'esperienza femminista fu per loro di scarso o nessun ammaestramento. E molte donne che lottavano contro il sessismo non volevano essere più "pure" degli uomini, ma solo uguali a loro. La lezione della frattura tra lesbiche ed eterosessuali è stata fondamentale per il movimento femminista. Molte di noi hanno fatto marcia indietro, scottate da esperienze traumatiche. Ma ciò ha significato anche smettere di imparare. Questa lezione dall'interno sull'oscuro confine tra critica costruttiva e colpevolizzazione nociva deve renderci più sensibili nei confronti di uomini e donne non radicali.
Infine, travolte dalla marea di cose da fare, le femministe rischiano sempre di perdere il senso dell'orientamento e di non capire più come trovare uno sbocco finale e diverso all'attività di tipo "reazionario". Come si può essere sicure che le riforme porteranno a una trasformazione? Come si può evitare di farsi dirigere dallo stato e dal capitale, e pianificare invece l'azione volta a distruggere il sistema? Come si può essere sicuri che il lavoro importantissimo svolto negli anni '70 non sia digerito dal sistema e catalogato come fenomeno storico interessante, ma invece continui per informare, dirigere e liberare l'attività politica degli anni '80?
In Anarchism: The Femminist Connection Peggy Kornegger affermava che le donne sono "le uniche in grado di farsi portatrici di una consapevolezza anarchica subepidermica" e in un articolo pubblicato su Open Road della scorsa estate Elaine Leeder ha scritto: "Si è detto che spesso le donne praticano l'anarchismo senza sapere di che cosa si tratta, mentre vi sono uomini che si dicono anarchici e non lo praticano". Né la Kornegger né la Leeder affermano che la donna è, da un punto di vista biologico, più adatta all'anarchismo, ma una troppo semplicistica interpretazione delle loro parole ha portato molti a crederlo. Tuttavia, se le tendenze anarchiche all'interno del movimento femminista vengono accettate come conseguenza naturale dell'essere donne, ciò impone alla donna il compito troppo arduo di "essere sempre all'altezza del proprio anarchismo naturale" e limita la nostra potenzialità di maturazione politica, poiché non ci stimola ad analizzare i motivi per i quali le donne si comportano in modo più anarchico degli uomini. Molti gruppi di donne si sfasciano, molte donne sfruttano altre donne e altri uomini e le femministe non sono state capaci di liberare l'umanità. Questi "limiti" non tolgono nulla alla femminilità della donna e confermano anzi la sua umanità.

L'anarco-femminismo e il caso del trattino

Perché i gruppi femministi hanno adottato tanti principi dell'anarchismo nella pratica politica? Prevalentemente perché in quanto donne siamo state educate alla sensibilità, ad essere educatrici e a immaginare le nostre azioni condotte in ambienti intimi, limitati. In passato questi tratti del nostro carattere hanno reso più facile l'esercizio brutale della dominazione maschile e hanno consentito di tenere la donna lontana dalle "cose del mondo". Oggi, invece, la consapevolezza della forza vitale ed educatrice delle nostre qualità "femminili" ci consente di allargare il nostro ambito di influenza senza perdere la nostra forza. Inoltre, consapevoli del fatto che è stata la nostra educazione a renderci tali, possiamo estendere consapevolmente lo stesso tipo di educazione anche agli uomini, ai figli e alle figlie in particolare. Ma sappiamo anche riconoscere i limiti insiti in questa stessa educazione, che comprendono una tendenza alla passività e una tendenza a far esplodere i conflitti dentro di noi, piuttosto che lottare contro chi ci opprime. Eccelliamo nell'attività condotta all'interno di un piccolo gruppo, ma per tradizione nutriamo sfiducia nei confronti di gruppi più vasti e dobbiamo stare attente a non isolarci.
Questo ci porta nuovamente al problema dell'educazione. Come abbiamo già detto, le donne hanno dovuto lottare per portare alla luce la nostra storia nascosta. Questa esperienza avrebbe dovuto insegnarci a sospettare sempre dell'"educazione". Proprio come l'operaio nella poesia di Brecht chiede se Alessandro ha conquistato l'India tutto da solo, così le donne hanno voluto sapere dov'erano le donne mentre gli uomini combattevano. Abbiamo scoperto quello che abbiamo sempre saputo, ma che non si trovava nella maggior parte dei libri: le donne c'erano, e lavoravano, soffrivano, amavano e combattevano; insomma, ad onta del ruolo invisibile assegnato loro dalla storia, vivevano.
La domanda che l'anarchismo deve porsi è del tutto analoga. Qualcuno ha opposto resistenza mentre l'umanità veniva trascinata attraverso la dominazione, il saccheggio e la guerra, e mentre veniva gabbata facendole credere che la competitività basata sullo sfruttamento fosse naturale? Come mai, se per natura siamo così cattivi, siamo ancora capaci di amare e di dividere con gli altri? La risposta è: perché hanno reagito, lottato, e hanno insistito per non perdere la propria umanità. Proprio perché tante persone, individualmente e collettivamente, hanno cercato di liberare l'umanità è importante che anche noi riscopriamo la nostra storia anarchica, per imparare e trarre forza da essa. Sarebbe ridicolo sostenere che tutti i gruppi anarchici abbiano sempre praticato l'anarchismo che professavano, tuttavia lo studio dell'idea e della storia anarchica rivela che l'obiettivo della liberazione dell'umanità e l'essenza dell'anarchismo. L'esperienza femminista rivoluzionaria si è rivelata spesso traumatica per gli anarchici perché è qualcosa con cui devono fare i conti e dalla quale devono imparare, se l'anarchismo non è semplicemente un'etichetta.
È anche importante rendersi conto del fatto che l'anarchismo non è più quello che era prima dell'esperienza radicale femminista. Se l'anarchismo è la sua storia, è anche creazione continua di una risposta sperimentale e attiva all'immediato e al futuro. In teoria, il femminismo ha sempre fatto parte dell'anarchismo, ma solo in questi ultimi anni abbiamo scoperto che cosa in realtà ciò significa e di conseguenza siamo state in grado di apprendere qualcosa su quella parte di noi stesse. Sempre teoricamente, le anarchiche non avrebbero mai dovuto imparare ad essere femministe, ma in realtà hanno dovuto farlo e la lezione è stata preziosa: ci ha insegnato che cosa significa veramente vivere la politica e ci ha fornito esempi concreti, attuali di azioni dirette, locali e collettive. È facile vedere quali benefici l'anarchismo abbia tratto dal femminismo, e sono molti coloro i quali prediligono il movimento femminista a quello anarchico. Tuttavia, mentre penso che sia ancora prematuro eliminare il trattino che unisce e divide nel termine anarco-femminismo, sono convinta che si possa tornare - o meglio arrivare - a un anarchismo come ideale libertario.
L'accostamento tra anarchismo e femminismo ha consentito di porre il lavoro svolto, immediato e concreto, in una prospettiva storica. Ciò è importante per far sì che i nostri metodi di lotta, vincenti, collettivi e umani, non siano considerati fenomeni sporadici e isolati, quanto piuttosto parte di un approccio e di una visione globali di tutta la nostra vita. Non possiamo muoverci in avanti se prima non abbiamo compreso chiaramente quali sono i problemi reali (e l'esperienza femminista ha contribuito a chiarirli), ma se vogliamo muoverci liberamente abbiamo anche bisogno di un ideale. Questo ideale non può che essere l'espressione del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro. Una parte di esso comprende la nostra storia anarchica, e una parte di questa storia comprende la condivisione di capacità che un tempo erano considerate esclusivamente "maschili". Se le nostre capacità "femminili" sono il prodotto della nostra educazione, anche i nostri difetti "femminili" lo sono. I compagni maschi possono aiutarci a liberare le capacità "maschili" dall'oscuro passato e dall'uso distruttivo al quale generalmente la società capitalista li destina.
L'esperienza femminista ha portato avanti la pratica, e noi troveremo nel nostro passato - e presente - anarchico dei tentativi di vivere una vita collettiva e non autoritaria. Anarco-femminismo non è l'unico nome composto nel movimento. I due che più spesso vengono citati sono l'anarco-sindacalismo e l'anarco-comunismo. In tutti i casi è l'aggiunta all'anarchismo l'elemento anarchico che sembra richiedere un'enfasi maggiore. Gli anarco-sindacalisti riconoscono che la vita della maggior parte delle persone è incentrata nel lavoro e sono convinti che in quel campo debba maggiormente puntare l'opera di organizzazione. Gli anarco-comunisti sottolineano l'importanza delle comuni e delle comunità. Poiché l'anarco-comunismo attiene alla vita e a tutti i rapporti di interazione che le sono propri, mi sento di affermare che il termine "anarchismo" comprende già il concetto di comunismo.
Nell'anarco-femminismo sono presenti aspetti comuni ad entrambi i movimenti citati. Nella misura in cui le donne sono sfruttate e umiliate ancor più degli uomini, l'anarco-femminismo è simile all'anarco-sindacalismo. In questo caso l'enfasi va posta sugli aspetti dell'anarchismo che attengono allo sfruttamento individuale e sessuale. Nella misura in cui l'anarco-femminismo va oltre la "reazione" allo sfruttamento e mira a un approccio globale alla vita, esso è simile all'anarco-comunismo e come questo diviene sinonimo di anarchismo.

L'anarchismo negli anni '80

Dal momento che ho detto che è prematuro omettere la specificazione femminista nell'anarchismo perché l'ho fatto? Principalmente perché considero l'anarchismo - l'anarchismo arricchito dall'esperienza femminista - come la via rivoluzionaria più reale e praticabile per gli anni '80. Quelle di noi che decideranno di lavorare in certi periodi in gruppi misti dovranno probabilmente utilizzare una parte cospicua delle loro energie per dare rilievo alla componente femminista dell'anarchismo e naturalmente molte di noi continueranno a definirsi anarco-femministe. Per quanto mi riguarda, eliminerò la specificazione femminista dalla denominazione, ma non dalla pratica di lotta.
Il lavoro che spero sarà ispirato dall'esperienza femminista comprenderà anche la riscoperta delle nostre radici e delle nostre esperienze anarchiche e il riconoscimento del politico come problema quotidiano. Per radici anarchiche non intendo azioni o teorie specificatamente ispirate all'anarchismo, ma qualsiasi espressione di rivolta e di anti-autoritarismo. Molte rivolte infatti, come quella dei Diggers nell'Inghilterra del '600, quella spagnola degli anni '30, quella francese del 1968 e quella degli occupanti di case ad Amsterdam nei giorni nostri, ci rammentano che la teoria anarchica ha avuto origine dalle lotte dell'uomo contro l'oppressione e da una responsabilità di vita precedente ad ogni teoria. L'esperienza del femminismo rivoluzionario costituisce la dimostrazione più recente ed evidente di questa verità. Se presteremo molta attenzione a questo retaggio storico saremo stimolate ad analizzare più da vicino le nostre condizioni di vita e troveremo in esse frequenti segni e una straordinaria potenzialità di radicale rifiuto della società autoritaria. E questo è importante, se vogliamo essere qualcosa di più che una minoranza scontenta e se crediamo veramente nella possibilità di liberare l'umanità. Soprattutto attraverso il lavoro "defilato" nei collettivi per la salute, nei gruppi teatrali e antistupro le femministe sono riuscite a fondere una prospettiva politica consapevole con i bisogni inespressi di coloro le cui esistenze esprimono la necessità e la potenzialità di liberazione.
Il rapporto tra il senso di immediatezza e l'efficacia del lavoro svolto è apparso sempre più chiaro attraverso le lotte femministe e io sono certa che la maggior parte delle femministe continuerà a fare quello che abbiamo fatto in quest'ultimo decennio - combattere il sessismo dovunque si manifesti. Le donne sono ancora e senza dubbio alcuno più oppresse degli uomini e lo stato sta cercando di frenare gli aborti dopo essersi reso conto delle gravi conseguenze prodotte dall'aver "concesso" alla donna il diritto di gestire in qualche modo il proprio corpo. Infine, la maggior parte dei gruppi politici è ancora sessista. Le femministe tendono a lottare nel luogo in cui vivono e credo che, sulla loro scia, gli anarchici degli anni '80 si impegneranno soprattutto nella lotta per liberare gli ambienti urbani. Sono sempre numerosi coloro i quali manifestano ripugnanza per la vita in città e predicano un "ritorno alla campagna". Tuttavia, nel corso degli anni '70 sembra essersi diffusa la consapevolezza che la gente non può semplicemente andarsene, e le femministe in particolare hanno cercato di lottare in loco, soprattutto nelle aree urbane. Le femministe si stanno allontanando sempre più dallo spirito di reazione per imboccare una direzione e tutte lavoriamo per incrementare lo scambio comunitario di conoscenze ed esperienze. Dovremmo, perciò, cercare soprattutto di rendere più vivibili le città, invece di escogitare modi per fuggirne.
Forse molte di noi vorrebbero fuggire, ma intanto la maggior parte è schiava del lavoro e del salario. Se veramente vogliamo vivere in modo più immediato la politica, dobbiamo cercare di liberare il luogo nel quale lavoriamo. Dal momento che il numero delle donne che lavorano è molto aumentato negli ultimi due decenni, le femministe si sono trovate sempre più impegnate nell'opera di organizzazione sul posto di lavoro. Come sempre, abbiamo dovuto batterci contro le gerarchie dei sindacati maschili. Dove questi esistevano, le donne si sono battute per introdurre anche solo un barlume di femminismo, ma per la maggior parte i sindacati non si erano mai interessati all'organizzazione delle donne, cosicché in molti casi l'attività delle femministe è svolta in modo autonomo. È importante che questa attività di organizzazione sia creativa e liberatoria come dovrebbe essere la nostra vita.
Per molti marxisti l'ambiente di lavoro offre caratteri ideali di rigidità e di autoritarismo per l'organizzazione della dittatura operaia. Ma agli anarchici, che contestano il concetto di stato e sono contrari a qualsiasi tipo di dittatura, l'opera di organizzazione richiede più immaginazione. Come ha osservato Murray Bookchin, il lavoratore diviene un rivoluzionario non facendosi più lavoratore, ma anzi smantellando questa sua immagine. Come le femministe si sono battute per chiarire l'aspetto personale della politica, così femministe e anarchici insieme devono battersi per conservare l'umanità nell'ambiente di lavoro e per far sì che i lavoratori non siano più considerati oggetti. È altrettanto dannoso organizzare i lavoratori secondo una concezione autoritaria, quanto desiderare semplicemente che gli individui non siano prima di tutto lavoratori. L'ambiente di lavoro è generalmente alienante e noioso e sembra difficile liberarvi energie umane. Tuttavia, poiché noi siamo nell'ambiente di lavoro, una volta liberato l'essere umano che è nel lavoratore la forza dell'anarchismo non avrà più limiti. Come il femminismo ha arricchito e ampliato gli orizzonti dell'anarchismo, così l'energia liberata nei luoghi di lavoro ci sorprenderà con la sua potenzialità. Se riusciremo a rivendicare il lavoro come attività che svolgiamo per noi stessi, piuttosto che come una cosa che siamo per altri, il nostro futuro creativo e immaginativo spazierà senza confini. Se invece falliremo, sappiamo già fin troppo bene che cosa ci attende.
Consapevoli che la sfera politica sarà sempre "sentita" con maggior forza a livello locale, immediato, dobbiamo tuttavia riconoscere che l'"immediato" non è facilmente riducibile. In quest'epoca di lavaggio intensivo del cervello da parte dei mass-media, di oppositori messi a tacere con droghe che ottundono il cervello, di imperversare del militarismo e della smania nucleare, la crisi globale è una crisi locale. Ovviamente non possiamo impegnarci attivamente a combattere tutte le forme di oppressione che ci schiacciano, ma se non inquadriamo le nostre lotte in un contesto globale rischiamo di essere condannati alla ripetizione di lotte individuali o collettive su piccola scala, e in ultima istanza alla fine di tutte le lotte, perché la follia nucleare ci distruggerà. Qui entra in gioco l'importanza dell'ideale, della storia e dell'organizzazione anarchica. È importante inquadrare le lotte costruttive locali in un contesto globale per non farci assimilare dal sistema, per imparare dagli altri che lottano altrove, per non dimenticare che siamo parte di una rivoluzione mondiale e per prendere parte a grandi manifestazioni come quelle antimilitariste e antinucleari in modo informato e costruttivo.
La nostra storia ha reso possibile le lotte per la liberazione che prevedo per gli anni '80. Lo spettacolo euforico di molte lotte degli anni '60 ha contribuito a liberare la nostra immaginazione. La definizione più ampia del politico negli anni '70 ha allargato gli orizzonti dei nostri ideali e il lavoro metodico, solido, costante a livello locale delle femministe radicali ha contribuito a darci la forza e la resistenza dei veri rivoluzionari.
Negli anni '80 avremo bisogno di tutto lo spirito, di tutta l'immaginazione e di tutta la forza di cui potremo disporre. Le grandi potenze si stanno preparando alla guerra e giocano con l'energia nucleare. Noi saremmo folli se azzardassimo previsioni ottimistiche sul nostro futuro. Tuttavia, con gli ideali anarchici e l'esempio di resistenza del movimento femminista, ci batteremo fino all'ultimo per la nostra umanità.