Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 85
estate 1980


Rivista Anarchica Online

A colloquio con l'avv. Zezza
a cura della Redazione

Quella in atto è una vera e propria aggressione giudiziaria, tesa a consolidare lo strapotere assoluto della magistratura. Per Luigi Zezza, uno dei pochi avvocati ancora impegnati a tempo pieno nella difesa dei militanti della sinistra rivoluzionaria, non ci sono mezzi termini. Siamo arrivati al punto che chiunque oggi in Italia fa politica al di fuori delle istituzioni può ritrovarsi dentro accusato di associazione sovversiva, quando non di banda armata. E cita alcuni dei numerosissimi casi dei quali l'insieme di questi avvocati/compagni (oltre a lui, ci sono a Milano Piscopo, Giugliano Spazzali ed altri) è stato testimone ed a volte protagonista in questi ultimi mesi.
Doveva, nelle intenzioni, essere un colloquio sul "caso Fuga", cioè sulla detenzione da ormai quattro mesi dell'avvocato anarchico Gabriele Fuga, arrestato il 30 aprile scorso al termine di un interrogatorio da parte della magistratura fiorentina. Ma, inevitabilmente, si è allargato alla situazione generale della repressione, della quale il caso Fuga non è che uno dei tanti - seppur particolarmente emblematico. Cominciamo dunque dal caso Fuga, analogo a quello dell'avvocato Sergio Spazzali, arrestato nello stesso periodo e sulla base di "prove" altrettanto inesistenti. Contro Gabriele - chiarisce Zezza - ci sono solo le affermazioni di un suo ex-cliente, Enrico Paghera, il quale ha detto che Fuga non si sarebbe limitato ai suoi compiti di difensore, ma sarebbe andato ben oltre, adoperandosi in progetti d'evasione, cercando di far entrare esplosivo nelle carceri, ecc.. Si tratta di un'accusa senza specificità, dal momento che Paghera non ha mai chiarito né il come, né il dove, né il quando ciò sarebbe avvenuto.
Ma chi è Paghera? Certamente una figura sporca: lo arrestano e gli trovano in tasca delle piantine che lui stesso dichiara di aver ricevuto da Ronald Stark, soprannominato "l'amerikano" perché sospettato di essere un agente della C.I.A.; subisce poi un processo nel quale si dichiara militante di Azione Rivoluzionaria, eppure viene assolto - il che è perlomeno strano, commenta Zezza, dal momento che negli altri casi basta una rivendicazione di appartenenza ad organizzazioni di lotta armata per avere una condanna certa. In quel caso invece tutti gli imputati vennero assolti, e due addirittura espulsi frettolosamente dall'Italia senza che nemmeno la Corte d'Assise ne sapesse niente. Successivamente il Paghera passa per varie carceri (Pianosa, Porto Azzurro, ecc.) e guarda caso in ogni carcere per cui lui passa gli si trovano (nella sua cella o nelle vicinanze) dosi d'esplosivo. Risulta anche agli atti che già mesi fa lui aveva chiesto un colloquio con il pubblico ministero fiorentino Vigna, colloquio del quale s'è perduta ogni traccia. E Vigna è proprio quello che più tardi firma il mandato di cattura contro Gabriele, il quale nel frattempo, proprio per questioni di scarsa chiarezza, aveva declinato il mandato di difensore di Paghera.
Ecco dunque la figura dell'ex-cliente pentito: se per Fuga c'è Paghera, Rocco Ventre finisce dentro per le "rivelazioni" del suo ex-cliente Pallotta e Sergio Spazzali resta dentro perché il noto Fabrizio Peci ha dichiarato di aver sentito dire nell'ambiente brigatista che lui, l'avvocato Spazzali (a suo tempo difensore anche di Peci), collaborava con le B.R.. Paradossalmente, ma non troppo, è proprio l'evanescenza e la sostanziale inconsistenza delle accuse a rendere difficile la difesa di Fuga e di Spazzali; con una magistratura interessata a dar credito, parola contro parola, solo alle dichiarazioni dei vari Fioroni, Peci, Sandalo, Paghera, ecc., che cos'altro possono fare gli imputati ed i loro difensori se non insistere perché gli accusatori specifichino dettagliatamente il come/dove/quando del presunto reato? Nel frattempo, a discrezione dei magistrati, restano dentro: non si sa quando sarà chiusa l'istruttoria, tanto meno quando sarà fissato il processo. Dopo esser stato prima nel carcere milanese di San Vittore, quindi in quello fiorentino delle Murate, Gabriele è ora rinchiuso in quello di Volterra, che pur non essendo un carcere speciale è una prigione punitiva, con condizioni di vita particolarmente difficili. Un'ultima precisazione: forse proprio per l'inconsistenza delle accuse di Paghera, nel tentativo forse di coinvolgerlo in altri fatti, Fuga è ora sotto la giurisdizione del tribunale di Livorno: la magistratura fiorentina ha preferito spogliarsi del procedimento.
Zezza lamenta che le vicende di Spazzali e di Fuga, che pure suscitarono tanto clamore al loro inizio, passino oggi sotto silenzio anche sugli organi della sinistra rivoluzionaria. Colpendo gli avvocati non si è portato solo un attacco ai diritti della difesa, ma anche contro tutto il tessuto carcerario, dal momento che avvocati come Sergio, Gabriele e Arnaldi non si limitavano a difendere i detenuti, ma esercitavano come una funzione di controllo sulla situazione nelle carceri. Non si può dimenticare che questi compagni/avvocati hanno sulle spalle centinaia di processi, avendo difeso tutte le forme di lotta sviluppatesi in questi anni.
Chiedo a Zezza se vi siano stati negli ultimi mesi aspetti tecnici nuovi nel funzionamento della macchina repressiva. No, manovre tecniche vere e proprie non ci sono, diciamo piuttosto ci sono atteggiamenti di politica giudiziaria degni di nota. Più che i progressivi inasprimenti di pena fissati dai vari decreti-legge degli ultimi anni, Zezza sottolinea l'importanza pratica dell'impressionante allungamento dei termini per la carcerazione preventiva: con accuse più o meno legate al terrorismo, oggi ti puoi fare tranquillamente dentro due anni e otto mesi, e se nel frattempo interviene una condanna puoi restar dentro fino ad una decina di anni. Salvo poi esser riconosciuto innocente dal tribunale, e scarcerato. Intanto i tuoi dieci anni di galera te li sei fatti! Ma l'aspetto più eclatante venuto fuori con le operazioni di polizia giudiziaria della scorsa primavera è l'utilizzazione della figura del "pentito" - grazie alla quale la magistratura si è assicurata uno strapotere. Ciò si traduce nell'assenza di forma, di garanzie di legalità negli interrogatori, anche per quel che riguarda la difesa. E ciò non riguarda solo il momento dell'arresto, perché nella grande maggioranza dei casi la gente viene fermata, arrestata, quindi sparisce nel niente, nessuno - né parenti né avvocati - riesce a sapere dove si trova l'arrestato. Abbiamo casi limite di persone che hanno trascorso quaranta giorni nascosti in una caserma dei carabinieri del paesino più isolato, interrogati in assenza del difensore e perfino del magistrato, privati di qualsiasi contatto con il mondo esterno, sottoposti al trattamento fisico e morale che ben possiamo immaginare da parte della polizia. Vi sono poi pressioni enormi sul fermato perché l'interrogatorio possa svolgersi senza il suo avvocato di fiducia, tuttalpiù alla presenza di un avvocato compiacente che non pianti grane e non ostacoli il lavoro del magistrato. Anche l'isolamento carcerario viene usato fino ai suoi limiti massimi per indebolire ulteriormente il detenuto e fiaccarne le resistenze. È in questo contesto che non mi pare fuori luogo parlare di una vera e propria aggressione giudiziaria, anche nei confronti della figura giuridica del difensore: si tratta di una trasformazione istituzionale, non legislativa o normativa, ma di fatto.
Un ultimo elemento, che già era emerso con grande vigore nell'intervista a Fuga ("Tra repressione e garantismo") pubblicata sul numero di febbraio, è quello relativo al ruolo del P.C.I.. Riprendendo la definizione gramsciana - sostiene Zezza - si può affermare che i giudici torinesi impegnati sul fronte anti-terrorismo, ma non solo loro, possono essere definiti "intellettuali organici" del partito: si tratta infatti di persone (non gliene faccio alcuna colpa) iscritte al P.C.I., che fanno teoria, partecipano a convegni, scrivono su riviste specialistiche, firmano articoli (oltre che mandati di cattura), insomma fungono da longa manus del partito. Sono appendici pure e semplici non di un potere esecutivo o giudiziario, ma di un partito del quale esprimono le teorie e le logiche politiche. Intendiamoci, non che siano scomparsi i giudici conservatori e reazionari, anzi: semplificando un po', si potrebbe rilevare una divisione dei compiti tra questi giudici di Magistratura Democratica (a maggioranza filo-P.C.I.) che danno il via alle indagini e ne forniscono la chiave di lettura politica, e gli altri, i grandi insabbiatori (come l'ufficio istruzione di Roma), ai quali è demandato il compito di non fare niente, assicurando così il prolungamento della carcerazione preventiva. Intanto i compagni restano dentro.