Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 85
estate 1980


Rivista Anarchica Online

Bolivia dopo il golpe
di Camillo Levi

Quando, il 17 luglio, le truppe agli ordini del generale Luis Garcia Meza hanno preso possesso dei centri vitali della Bolivia dichiarando decaduto il governo in carica e presentandosi come i nuovi tutori dell'ordine e della legalità, molti osservatori politici si sono precipitati a fare i conti: nei 155 anni della sua storia (prima del 1825 era una colonia spagnola) la Bolivia ha subito 189 golpe, quest'ultimo compreso. Una bella media, non c'è che dire: più di uno all'anno.
Eppure questo golpe sembra aver colto di sorpresa molti, tutti quelli cioè che credevano nella solidità del processo di democratizzazione in atto da un po' di tempo in Bolivia. Dopo la fine della dittatura del generale Banzer, salito al potere con un golpe nel '71 e restatovi fino a due anni fa, era sembrato che i generali volessero progressivamente passare le redini del potere ai civili. Il 29 giugno di quest'anno si era addirittura arrivati ad elezioni più o meno libere, i cui risultati - pur fra brogli e relative contestazioni - avevano premiato i partiti di sinistra. Al di là degli stessi dati elettorali, le forze di sinistra e soprattutto quelle sindacali hanno allargato molto la loro influenza in questi ultimi anni, determinando una svolta sociale più ancora che politico-istituzionale di grande rilevanza.
In un dossier fattoci pervenire dai compagni della Coordinadora libertaria latino-americana (con sede a Parigi) e dedicato interamente alla situazione in Bolivia, si legge tra l'altro: indipendentemente dal fatto che questo golpe fa parte di un piano generale nel quale giocano un ruolo preponderante le dittature del cono meridionale dell'America Latina (e in questo caso soprattutto l'Argentina), è fuori discussione che il suo obiettivo è la distruzione del movimento operaio boliviano rappresentato dalla C.O.B. (Central Obrera Boliviana), la cui combattività classista e rivoluzionaria è stata e continua ad essere considerata un pericolo permanente dai gruppi di potere dell'oligarchia boliviana. Costituita il 17 aprile del 1952, la C.O.B. organizza unitariamente operai, minatori e contadini. E, quantunque al suo interno coesistano tutte le tendenze di sinistra e rivoluzionarie, la C.O.B. ha saputo difendere gelosamente la sua indipendenza politica e sindacale, confermando costantemente la sua volontà di trasformazione sociale. In questi ultimi tempi di fronte alle carenze ed alle gravi irresponsabilità dei settori politici di sinistra, incapaci di dare al "processo democratico" in corso una alternativa capace di contare, la C.O.B. è divenuta l'unica organizzazione rappresentativa delle aspirazioni popolari. Ecco perché questo golpe ha diretto i suoi colpi fin dall'inizio contro la C.O.B. ed i suoi militanti.
Le notizie, pur inevitabilmente parziali, che ci sono pervenute in merito alle dimensioni della resistenza popolare al golpe da una parte e della repressione militare dall'altra parlano chiaro. I 70 mila lavoratori delle miniere di zinco sono subito scesi in sciopero bloccando le strade con autocarri pieni di dinamite e sparando contro i soldati che volevano forzare il blocco. Alcune radio operaie e sindacali hanno continuato clandestinamente le loro trasmissioni, incitando alla resistenza e facendo opera di contro-informazione. Nella capitale, La Paz, ed in altre città della Bolivia migliaia di giovani, soprattutto universitari, sono scesi in piazza. Questa volta i generali golpisti non possono contare su quell'indifferenza (fatta di estraneità ma anche di passività) che in molte altre occasioni ha caratterizzato l'atteggiamento popolare verso gli ultimi arrivati al potere.
Nemmeno sul piano internazionale sembra per ora, a un mese e mezzo di distanza dal golpe, che le cose vadano meglio per il generale Garcia Meza. Nemmeno una decina di governi hanno riconosciuto il suo governo, finora: mancano soprattutto il riconoscimento e l'appoggio decisivo del governo U.S.A., tradizionale alleato delle oligarchie latino-americane e di quelle boliviane in particolare. Ma i tempi dell'esplicito e decisivo appoggio di Washington, come una dozzina di anni fa nella lotta contro i tentativi guerriglieri di Ernesto Che Guevara e nella repressione delle lotte dei minatori, sembrano essere passati. Il fatto è che, non avendo attualmente interessi politici ed economici da difendere in Bolivia, l'amministrazione Carter non fa fatica a scaricare i generali ed a "difendere" le forze democratiche moderate: una pennellata in più all'immagine di difensore dei diritti umani e della democrazia può sempre tornare utile a Carter, in vista delle prossime elezioni presidenziali U.S.A..
Mentre, soprattutto a livello internazionale, si discutono le sorti del potere in Bolivia, giungono dall'interno notizie di migliaia di assassinii perpetrati dall'esercito, di prigioni stracolme, di lager, di terribili repressioni in ogni campo. Già otto giorni dopo il golpe, la secretaria de coordinacion exterior della C.O.B. ha emesso da Parigi (sua sede provvisoria) un comunicato, fornendo un primo elenco parziale di suoi militanti riuniti nella sede della C.O.B. stessa il giorno in cui questa è stata presa d'assalto dall'esercito. Si tratta di una decina di nominativi, tra i quali quello dell'anarchico Liber Forti, responsabile culturale della C.O.B. e della federazione dei minatori. Si tratta di un compagno nostro da moltissimi anni tra i promotori delle lotte nelle regioni minerarie boliviane, ed in particolare responsabile della radio dei minatori, attraverso la quale è stata resa possibile molte volte in passato - ed anche questa volta - l'immediata mobilitazione dei lavoratori, per motivi sindacali e politici. In un recente passato Liber Forti era passato a trovarci in redazione, troppo in fretta perché potessimo intervistarlo sulla sua ricca esperienza di lotta: era diretto a Parigi, dai compagni della Coordinadora libertaria latino-americana, della quale è membro fondatore.
La sua sorte, come quella delle altre migliaia di militanti sindacali, di sinistra e rivoluzionari boliviani, è in pericolo. È indispensabile che contro i militari, contro la feroce repressione che colpisce l'opposizione boliviana, si sviluppi una forte mobilitazione internazionale. Per i compagni che in Bolivia continuano la lotta contro l'esercito, è questione di vita o di morte.