Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 85
estate 1980


Rivista Anarchica Online

Un'altra stangata
di C. L.

Dal 17 agosto i quotidiani sono passati da 300 a 400 lire; dal 1° settembre le tariffe ferroviarie aumentano del 15-20%. E non sono che due degli ultimissimi aumenti del costo della vita, che si vanno ad aggiungere e a confondersi con tutti quelli a raffica decisi e messi in atto durante quest'altra estate italiana. Per quanto riguarda il governo, poco importa che sia il Cossiga 1° o il Cossiga 2°, che sia di unità nazionale o tripartito, che goda della neutralità del P.C.I. o della sua "intransigente" opposizione, che abbia sentito le parti sociali o che si adegui alla realtà europea: in una maniera o nell'altra, i "ritocchi" (come lor signori, a mo' di vaselina, definiscono gli aumenti da loro decisi) sono assicurati. E il giorno dopo, su tutti i quotidiani, compare il solito editoriale che mette in guardia il governo sulla stanchezza del Paese reale, sul fatto che la gente non ne può più, quindi sulla necessità che gli ultimi aumenti servano davvero a migliorare i servizi: come al solito, tirando un po' le orecchie al governo, non si fa che spingere la gente a credere che questa volta davvero gli aumenti erano indispensabili, che serviranno a migliorare la cosa pubblica, che non bisogna lasciarsi andare a reazioni inconsulte, ecc.. È sempre la solita recita, che tutti ben conosciamo.
Un copione un po' diverso ha avuto all'inizio dell'estate la vicenda dello 0,50%. Non si trattava del solito aumento, ma addirittura di una trattenuta (dello 0,50% appunto) direttamente "all'origine", sulla busta-paga. L'insieme delle trattenute sarebbe andato a costituire un Fondo di solidarietà gestito anche (seppur minoritariamente) dalla Confederazione sindacale CGIL-CISL-UIL: è questo aspetto di novità, rispetto alle forme tradizionali di rapina sul salario, che ha scatenato il dibattito politico-sindacale in proposito. Tra i rapinatori, questa volta, ci sarebbero stati ufficialmente anche i sindacati, e questo aspetto della vicenda non poteva passare inosservato. Tanto più che il direttivo confederale aveva dato il suo avallo completo al decreto-legge governativo con tale rapidità, come se si trattasse della cosa più scontata del mondo, da giustificare gli immediati dubbi di molti lavoratori su di una "pastetta" concordata tra il governo ed i vertici sindacali.
Pur rischiando di logorare la sua immagine unitaria, la leadership del P.C.I. non ha perso l'occasione per "scavalcare" a sinistra i vertici sindacali, sconfessando pubblicamente i propri esponenti nel sindacato (Lama in testa). Tutto ciò in coerenza con la dichiarata volontà di condurre una "dura" opposizione contro il Cossiga 2° e con quella, altrettanto chiara, anche se non dichiarata, di riacquistare credibilità e di serrare un po' le fila dopo la discreta batosta elettorale dell'8 giugno. Mobilitando i suoi militanti, rivitalizzando le cellule di partito nelle grandi fabbriche, lanciando parole d'ordine apparentemente dure e combattive, il P.C.I. si è presentato come la guida della riscossa operaia contro l'attacco di classe sferrato dal governo e dal padronato e reso possibile anche dal comportamento imbelle della dirigenza sindacale. Grazie anche all'atteggiamento analogo assunto su scala nazionale dalla F L.M., soprattutto nelle grandi fabbriche del Nord (Italsider a Genova, Alfa Romeo a Milano, Petrolchimico a Marghera, ecc.) si sono rivisti dopo molto tempo cortei interni ed esterni (a volte, con blocco della circolazione automobilistica) affollatissimi e combattivi, cui hanno fatto seguito assemblee surriscaldate nel corso delle quali l'operato dei vertici confederali è stato sottoposto a feroci critiche. Sono anche emerse molte richieste di modifica dei meccanismi sindacali di delega, con l'obiettivo di coinvolgere maggiormente i consigli di fabbrica a scapito delle strutture burocratiche sindacali nella contrattazione nazionale e nella discussione dei piani di settore. Senza troppa fatica, comunque, è prevalsa l'impostazione del P.C.I. e della F.L.M. tendente a limitare la protesta e ad indirizzare il malcontento al fine di ottenere la semplice trasformazione del decreto-legge in disegno di legge: approfittando dei tempi più lunghi, conseguenti alla necessaria discussione in parlamento, sarebbe così stato possibile "consultare" la base - il che significa, in termini pratici, prepararla adeguatamente all'accettazione di questa ulteriore batosta, magari un po' abbellita. Al contempo, il P.C.I. avrebbe avuto l'occasione per usare le Camere come cassa di risonanza per la sua linea demagogica, alla ricerca di nuovi consensi.
L'intera vicenda si è poi conclusa farsescamente all'italiana, con la rinuncia per ora da parte del governo all'applicazione della famigerata trattenuta, anzi con l'impegno a rendere al più presto quanto, in alcuni casi, già era stato trattenuto. Comunque, se ne riparlerà tra breve.
Le questioni sul tappeto restano aperte. Vi è per esempio il campanello d'allarme che è suonato per i sindacati confederali riguardo a possibili forme di cogestione istituzionalizzata: la prudenza in questo campo - questa la lezione per i vari Lama, Benvenuto, ecc. - non è mai troppa, sopratutto in momenti come questo di diffuso malcontento tra la base per il continuo aumento del costo della vita. Ancora più drammatica è la situazione dell'occupazione, dopo i preannunciati licenziamenti alla FIAT ed in moltissime altre aziende anche grandi; interi settori, come quello della chimica (sintomatico il caso della S.I.R.), sono sul punto di espellere decine di migliaia di lavoratori. In ogni caso, poi, la minaccia dei licenziamenti serve per "ridurre alla ragione" i lavoratori e le loro richieste: il rifiuto dello straordinario, le lotte contro il sabato lavorativo, il deciso no alla mobilità operaia, ecc., rischiano di diventare solo un ricordo del passato - seppure di un passato a noi vicinissimo.
Non vi sono elementi sufficienti per ipotizzare, in questo contesto, una crisi drammatica del sindacalismo riformista, e di conseguenza non v'è da farsi illusioni in proposito. Certo è, comunque, che la situazione sociale dei prossimi mesi non sarà troppo tranquilla. Chi intende opporsi al disegno di normalizzazione riformista nelle fabbriche non dovrà stare con le mani in mano.