Rivista Anarchica Online
La polveriera America centrale
di Jorge L.
Nicaragua, Guatemala, San Salvador, Costarica, ecc.: un po' tutti gli stati centro-americani
attraversano una profonda crisi sociale e politica. Come sempre, problemi locali e questioni
internazionali - prima fra tutte la tradizionale pesante ingerenza degli U.S.A. - si intrecciano
sullo sfondo di una grande povertà delle masse contrapposta alla sfrenata ricchezza delle
ristrette cosche dominanti. Guerriglia endemica, colpi di stato, pseudo-liberalizzazioni si
susseguono mese dopo mese, mentre la tensione cresce e si concretizza in grandi esplosioni
popolari di rabbia e nella durissima repressione attuata dagli eserciti. In due di questi paesi - Nicaragua e Salvador - un compagno anarchico del Costarica ha
effettuato un viaggio qualche settimana fa, quanto basta perché i dettagli d'attualità siano in
parte già vecchi. Ma il suo resoconto mantiene a nostro avviso il suo interesse, non foss'altro per
lo spirito critico che lo ispira e che porta alla demistificazione di alcuni miti (come quello dei
"buoni" sandinisti) che la sinistra ha recepito come al solito a scatola chiusa. Viaggiare fino a
Managua (capitale del Nicaragua) significa cominciare a rendersi conto di quel
che è successo. I nicaraguegni e gli stranieri che viaggiano espongono le loro aspettative e i loro
dubbi sugli sviluppi della "rivoluzione sandinista": è questo il tema che più comunemente ricorre
nei discorsi e in certa misura si può dire che la vita si è politicizzata. Evidentemente non è
più il
paese di prima, quello caratterizzato dalla dittatura di Somoza. Già alla dogana le pratiche non
sono più brutali come una volta e i poliziotti non ti fregano più la roba.... Ai lati della strada si
vedono ora grandi cartelloni con scritte del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale
(F.S.L.N.) e del Governo di Ricostruzione Nazionale (G.R.N.). I piccoli villaggi mostrano ancora
gli effetti della guerra, ma nel complesso tendono a tornare al regime di vita consueto. Ovunque
si riconosce il marchio del F.S.L.N., strade e quartieri sono stati ribattezzati con nomi di eroi di
guerra. Ovunque sventolano le bandiere rosse e nere dei sandinisti. Che qualcosa sia successo
non c'è dubbio. Arrivando a Managua, però, il visitatore comincia ad accorgersi che questa
è solo la facciata,
l'apparenza esteriore di un'apparente rivoluzione. Già si sa che l'unica misura "rivoluzionaria" è
stata la nazionalizzazione dei beni di Somoza e dei suoi collaboratori. Se da una parte e chiaro
che un aspetto raccapricciante della dittatura di questi assassini era l'immensa concentrazione di
ricchezza nelle loro mani, non meno chiaro dall'altra è il fatto che il passaggio di queste
ricchezze dalle mani dei capitalisti privati a quelle dello Stato non ha rappresentato, da un punto
di vista degli interessi dei lavoratori, che un cambio di padroni. L'impegno principale, non certo
rivoluzionario, dei sandinisti è stata l'immediata ristrutturazione dell'apparato statale, obiettivo
che è stato raggiunto con grande rapidità. L'euforia rivoluzionaria del trionfo è già
un ricordo del
passato: oggi la parola d'ordine è la ricostruzione dell'esercito, della polizia, dei ministeri ecc..
Insomma, mettere ordine. Questa "rivoluzione" è nata morta, dal momento che è nata
caratterizzata da un terribile apparato
burocratico. Appena conquistato il potere, il fronte sandinista ha fatto quello che fa sempre
qualsiasi classe al potere: rivolgendosi alle masse e lodandone le virtù, ha detto loro di obbedire
ai suoi ordini, spiegando che ciò è corretto, perché loro da soli non saprebbero cosa fare....
Guai a
parlare di iniziativa e di spontaneità popolare, non sanno nemmeno cosa sia i nuovi padroni che
oggi vivono nelle case di quelli vecchi e che convivono con vecchi padroni che sono
sopravvissuti. Il Fronte Sandinista dirige tutti i suoi sforzi per ottenere la sottomissione alle sue
direttive delle masse e, nel contempo, la normalizzazione della situazione economica e sociale
del paese. Tutto ciò dimostra il suo carattere controrivoluzionario e assolutista. Ha preteso anche
dirigere il sindacato unico, la Centrale Sandinista dei Lavoratori, creando una
situazione che non favorisce per nulla i lavoratori. Ma ciò non ha evitato i conflitti, come ho
potuto osservare di persona, constatando numerosi scioperi, con occupazione delle fabbriche, in
varie industrie della capitale. Questi scioperi dimostrano perlomeno la refrattarietà dei lavoratori
ad accettare che le industrie rimangano nelle mani dei capitalisti, con pessimi salari; e mentre il
governo sandinista parla di aumenti della produzione e aumento del controllo sulla C.S.T., i
lavoratori difendono le organizzazioni sindacali da loro stessi create, indipendenti dal governo.
L'atteggiamento dei sandinisti di fronte a questi fatti è brutale: il lavoratore che non accetta di
aumentare la produzione (cioè, in realtà, i profitti padronali), viene accusato di essere un
controrivoluzionario, una gente della C.I.A., ecc.. D'altra parte, nell'ambito della campagna per
l'aumento della produzione, il governo spinge i lavoratori statali a lavorare anche il fine
settimana nell'agricoltura o nell'edilizia, sotto la minaccia del licenziamento. Come ogni controrivoluzione
burocratica che si rispetti, in questo caso con l'aiuto della
borghesia, è già iniziata la repressione contro i lavoratori più combattivi e contro le
organizzazioni politiche e sindacali a sinistra del Fronte Sandinista. Sono stati incarcerati i
militanti del Fronte Operaio (maoista), della Lega Marxista Rivoluzionaria (trotzkysta),
i
lavoratori dei sindacati indipendenti e della Centrale di Azione e Unificazione Sindacale, legata
al Partito Comunista. È stato soppresso il quotidiano El Pueblo, incarcerato il suo direttore,
Melvin Wallace, e altri collaboratori. Il Fronte Sandinista ha infine attaccato le organizzazioni
che hanno denunciato la sua combutta con la borghesia e hanno reclamato l'approfondimento del
processo rivoluzionario, anche se sempre da una prospettiva rivoluzionaria. Sono stati attaccati in
ogni modo gli elementi più attivi del popolo, cioè quei lavoratori che pretendono di essere
realmente padroni del loro destino e non solo marionette utili alla propaganda di regime. Come io stesso ho
potuto osservare, si è in piena restaurazione dittatoriale. La paura, il terrore e
la delazione hanno fatto il loro ritorno sulle strade. Tutto ciò si esprime istituzionalmente nei
Comitati di Difesa Sandinista (C.D.S.), che funzionano nei quartieri delle città come vere e
proprie bande di spionaggio politico fra le masse, tali e quali gli "orejas" (orecchie), com'erano
chiamati gli spioni del vecchio regime. I C.D.S. non sono, come vorrebbero far credere alcuni
capi sandinisti, organi del potere popolare, dal momento che, tra l'altro, non hanno nessun potere
reale, ma servono solo per controllare il popolo e gli oppositori. I lavoratori leggono
ironicamente dietro le tre iniziali C.D.S. le parole "Criaderos De Sapos" (covi di rospi). Per quel
che riguarda la cosiddetta Polizia Sandinista c'è da dire che ogni giorno assomiglia di
più alla
Guardia Nazionale somozista: e la gente, che se n'è accorta subito, usa nei loro confronti gli
stessi nomignoli spregiativi di allora. Il malcontento e il senso di frustrazione non si sono fatti attendere:
occupazioni di fabbriche e di
campi coltivabili non-nazionalizzati, scioperi in imprese statali, scontri armati sulle montagne e
nelle città, a volte tra l'Esercito Popolare Sandinista e le truppe somoziste, a volte tra il citato
esercito sandinista e le Milizie Popolari Anti Somoziste (MILPAS, maoiste). Bisogna riconoscere
che queste Milizie hanno partecipato attivamente alla guerra contro la dittatura somozista e che
numerosi combattenti onesti hanno abbandonato l'esercito sandinista oppure vi sono rimasti con
doppia militanza (MILPAS). Un altro segno della disillusione popolare lo si è avuto in occasione
della commemorazione della morte di Augusto Cesar Sandino, alla quale ha preso parte poca
gente, nonostante gli sforzi organizzativi dei sandinisti. Comunque non tutto è perso e se ne ha una netta
sensazione in tutto il Nicaragua, fino alle
regioni più remote. La situazione economica è sempre più difficile e a pagarne le
conseguenze
sono naturalmente le masse sempre più povere. La disoccupazione e la miseria sono terribili, più
dure di prima. È chiaro, naturalmente, che questo peggioramento è in parte dovuto alla
distruzione conseguente alla guerra. Però non è più comprensibile, se ci riferiamo ai
programmi
borghesi di ripresa economica sostenuti dal governo e dal Fronte Sandinista, programmi che
prolungano all'infinito l'agonia dei poveri e rafforzano i nuovi padroni e la borghesia. Non tutto è
perso, dicevamo: nei quartieri indigeni di Monimbò è iniziata un'insurrezione vivace e spontanea.
Mentre il Fronte Sandinista si preoccupava di armare dei villaggi che non ne avevano bisogno,
questi valorosi indios, con pali, machete, fucili da caccia e bombe rudimentali, hanno acceso la
miccia della rivoluzione. Oggi Monimbò resiste in armi e segue con attenzione gli sviluppi degli
avvenimenti. Certo vi è il pericolo di un controllo assoluto e di una strumentalizzazione da parte
della borghesia, alleata all'imperialismo U.S.A, ma questo non significa che bisogna legarsi al
Fronte Sandinista, anzi, se questi pericoli si concretizzeranno, se tornerà a dominare il capitale
privato, ciò sarà stato possibile grazie alla politica dello stesso Fronte Sandinista. Noi libertari
dobbiamo dare tutta la nostra fiducia alle masse del Nicaragua, sperando che
Monimbò costituisca la Kronstadt del Nicaragua, e che da lì parta la lotta contro la cricca degli
usurpatori e contro i capitalisti e gli imperialisti. Speriamo proprio che sulle bandiere rosso-nere
si possa leggere in futuro: Libertà e Giustizia!
La situazione attuale nel Salvador è simile a quella del Nicaragua prima dell'insurrezione. La
gente sta attenta a come parla, la paura è grande. Appena giunti alla dogana, ci si accorge di
essere nel Salvador: tre controlli per poter entrare, compresa una visita corporale. I giovani sono
studiati con particolare attenzione. Le pareti e i muri sono pieni di parole d'ordine delle
organizzazioni marxiste. Nelle strade vi è sempre poca gente, che per di più cammina in fretta.
Tutto intorno spira un'aria minacciosa. Le caratteristiche socio-economiche e geografiche sono abbastanza
differenti rispetto a quelle del
Nicaragua, mentre la situazione delle forze politiche è simile. In questo paese la borghesia e
l'imperialismo U.S.A. hanno già giocato la carta del cambio di governo: il nuovo governo si
prepara a promuovere alcune riforme come la nazionalizzazione delle banche, la riforma agraria,
ecc.. Nel frattempo la violenza segue il suo corso e perfino l'arcivescovo Romero, prima di essere
assassinato, aveva accusato il governo di essere più repressivo di quelli che l'avevano preceduto.
Il potere economico e politico è concentrato nelle mani di un'infima minoranza, mentre
l'immensa maggioranza del popolo vive nella miseria, sottoposta al dispotismo di padroni e
militari. Questo paese è sempre stato considerato una polveriera nell'America Centrale. La
situazione è tanto esplosiva da aver già provocato una guerra, la "guerra del football", tra il
Salvador e l'Honduras, paese contro il quale i capitalisti del Salvador hanno cercato di dirottare la
forte tensione interna. In effetti il paese sta vivendo una situazione incandescente: tutti i giorni vi sono scontri
armati tra
l'esercito e i guerriglieri, attentati, regolamenti di conti, sequestri di autobus nelle principali città,
scioperi operai, occupazioni di chiese e di ambasciate. Proprio il giorno che giunsi nel Salvador
la giunta militare decretò lo stato d'assedio e la sospensione delle garanzie costituzionali, dando
così carta bianca al governo per una maggiore repressione: detenzioni arbitrarie, applicazione
della "ley de fuga", massacri di contadini, censure sulla stampa, blocco delle frontiere per gli
elementi sospetti, controllo del traffico interno, ecc.. E tutto questo con la benedizione della
Democrazia Cristiana, alleata dei militari della giunta. Tutto sembra pronto per la guerra civile, non vi è
spazio per le mediazioni. L'elemento decisivo
comunque resta il popolo, il quale non ha ancora acquistato sufficiente fiducia in se stesso.
Attualmente la battaglia principale è quella che oppone i fascisti, appoggiati dall'esercito
regolare, ai guerriglieri, appoggiati da alcuni settori popolari. A questo punto sarà l'intervento, o
meglio l'irruzione violenta delle masse a determinare il prossimo futuro di questo paese. È
evidente che la caduta della dittatura somozista in Nicaragua ha dato respiro al popolo del
Salvador, che d'altra parte non ha saputo esprimere finora una solidarietà attiva. In definitiva il
Salvador è vicino all'insurrezione, se le masse irrompono, oppure ad uno scontro ancora più
acuto e sterile tra i fascisti e i guerriglieri dal quale non potrebbero che sortire vincitori il capitale
e i militari. A me sembra più probabile la prima ipotesi e se ciò avvenisse, con la conseguente
caduta della giunta militare, c'è da aspettarsi l'intervento degli U.S.A. in questo paese: ciò
provocherebbe l'allargamento del conflitto, mentre è chiaro che il popolo nordamericano non è
disposto a tollerare un nuovo Vietnam. L'America Centrale sta oggi vivendo le prove generali della rivoluzione:
importante è
l'esperienza che stanno accumulando i lavoratori: la crescita delle loro coscienze e delle forme di
lotta, il significato esemplare per le masse povere dell'America del Sud. Non ci deve
impressionare una sconfitta momentanea, l'uomo libero andrà avanti. Ne ho avuto continua
conferma nei numerosi contatti che ho avuto durante il mio viaggio. I popoli del Nicaragua e del
Salvador, oggi, come quello russo e spagnolo, ieri, aspirano alla libertà e alla giustizia sociale.
Dobbiamo ricordarci quanto sosteneva Luigi Fabbri: "La funzione dell'anarchismo non è tanto
quella di profetizzare un futuro di libertà, quanto quella di prepararlo".
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