Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 83
maggio 1980


Rivista Anarchica Online

Quel dio fallito di J.P.Sartre
di Jules Elisard

Già da parecchi anni i suoi occhi se ne erano andati, ancor prima che la morte potesse fargli visita; ora la morte lo ha sorpreso nel suo "buio" fatto di rimeditazioni, di nuove incertezze, di una mai sopita speranza. Di lui si è già detto tutto, anzi troppo. La sua fama, la sua notorietà se le era conquistate per merito della sua capacit "divulgatrice".
Sì, Jean Paul Sartre resta e resterà uno dei più grandi "maîtres à pénser" in quanto più di tutti ha saputo fare opera di divulgazione del pensiero filosofico esistenzialista. Non era un filosofo, nel senso che non ha creato ex novo un sistema ideologico e metodico; la sua filosofia era, fin dall'inizio abbondantemente tratta dalla fenomenologia husserliana, grazie alla quale ha fatto sì che il pensiero esistenzialista, atto a spiegare il nostro esserci, diventasse un pensiero ateo e materialista. Compito, a ben guardare, assai difficile dato che ogni analisi filosofica dell'uomo - perfino quella esistenzialista di un Kierkegaard, di un Heidegger, di un Spencer - confluivano in una sorta di metafisica della essenza dell'uomo. Sartre, dunque, opera una profonda trasformazione del pensiero esistenzialista, affermando che la conoscenza dell'uomo non è tanto la coscienza della sua essenza, quanto la coscienza della sua esistenza, di ciò che realmente è in rapporto al presente; così, infatti, si spiega: "ogni coscienza è coscienza di qualche cosa... un tavolo non è nella coscienza, sia pure a titolo di rappresentazione, un tavolo è nello spazio, di fianco ad una finestra, ecc.". La ricerca che attraverso i romanzi e le piéces teatrali lo porta all'elaborazione de L'essere e il nulla si ispira a tutta quanta la condizione degli intellettuali vissuti a cavallo fra le due guerre, quando la condizione di vuoto, di incertezza sul perchè delle cose assillavano i loro spiriti. Il "perchè delle cose" per il filosofo parigino, non era da ricercarsi in chissà quale ente astratto: l'angoscia, l'assurdo sono cose fin troppo palpabili ed esistenti nell'uomo di metà secolo; sono lì, si vedono, si possono toccare... si è toccati. Ma la risposta, allora, rimase del tutto imprecisa e affatto metafisica: il bisogno che l'uomo sartriano era disperatamente alla ricerca, il bisogno di libertà era tutto metafisico; l'uomo esistenzialista era cosciente della sua limitatezza in quanto "dio fallito" non potendo disporre della potenza infinita che sarebbe necessaria per soddisfare il "progetto fondamentale". La libertà perdurava ad essere libertà nel singolo e per il singolo.
Si sa, la guerra ed il rifiuto di prestare servizio come insegnate sotto il governo Vigni, modificarono in parte il pensiero di Sartre, aprendo nella sua speculazione filosofica la coscienza dell'altro. Fino all'ora la ricerca si era focalizzata sulla analisi dell'essere analisi che per convalidarsi doveva necessariamente ipotizzare il nulla, il non-essere come affermazione del contrario. Ma riconoscere la nostra esistenza rapporto alla non-esistenza delle cose e del mondo, non favorisce la speculazione interagente fra l'uomo e il mondo: l'uomo diviene libero in quanto limitato dal nulla, ma nonostante il suo essere libero non può materializzare, "provare" la propria libertà nel mondo. Ecco perchè in L'esistenzialismo è un umanesimo, Sartre rettifica il concetto di libertà trasportando la libertà del singolo nella libertà del mondo: "Volendo la nostra libertà, scopriamo che essa dipende per intero dalla libertà di tutti, come questa dipende a sua volta dalla nostra.".
Questa "scoperta", stanò il filosofo dalla solitudine speculativa per immergerlo nelle "cose" del mondo; senonché questa "immersione" lo colse impreparato ed in balìa di filosofie difficilmente compatibili con l'ipotesi da cui era partito: la ricerca della libertà. Una ventata di presunzione non lo rese consapevole che la sua "recherche" era stata iniziata quasi un secolo prima da uno che non era filosofo, Merlau Ponty, Aron e i collaboratori di "Temps Modèrnes"; ciononostante dobbiamo riconoscere che i pur minimi tentativi di superare l'ideologia marxista grazie ad una metodica libertaria, furono costantemente ostacolati da Sartre, costringendo non pochi redattori della rivista a rivolgere le proprie analisi verso contenuti sconfinanti e fuorvianti dal progetto fondamentale".
È inutile fare un richiamo a quello che Sartre scrisse nel testo sopra riportato; non si tratta di confutare la sua "scoperta"... dell'acqua calda; si tratta di capire che, sebbene l'analisi di cosa è la libertà fosse esatta, il metodo per conseguirla, quel metodo rivendicato dal filosofo in Critica della dialettica, ne è completamente sbagliato e fuorviante. Infatti, anche se il compito prefissato nel libro è quello di depurare il marxismo della sua concezione storico-dialettica della società, affermando che tale concezione è unicamente stalinista, non ortodossa, qualunque metodica che accetta l'analisi marxista, costituisce una filosofia del potere e non una filosofia della libertà come giustamente Bakunin ammoniva. L'impegno, l'engagement che Sartre, da quel momento della sua vita fino alla morte, ha costantemente applicato nella politica e negli avvenimenti sociali, questo impegno ha sempre scontato l'errore di fondo di chi ha cercato di far rivivere, sotto nuova luce, una concezione del mondo autoritaria e gerarchica, camuffandola con una parvenza di libertà generosamente offertagli dall'esistenzialismo. Ma la polemica sarebbe sterile se la stessa concezione sartriana dell'engagement non avesse sortito una sua logica "dittatura" letterario filosofica.
Fin dal primo dopoguerra, l'intera corrente esistenzialista-atea, fu bruciata dall'ottusità di Sartre nei confronti di chi, criticando "da sinistra" il marxismo, non voleva per sottomettere ogni analisi picritica della società al vaglio della "verità" storico-materialista di Marx. L'affaire più eclatante fu la rottura con Camus; in un linguaggio denigratorio e sfottente, il filosofo dell'esistenzialismo marxista, attaccò, condannò e distrusse la "figura politica" di Camus, poiché quast'ultimo si era permesso di confutare il pensiero storico dei marxisti nel libro L'uomo in rivolta. Criticando la nozione di Storia, di Progresso, di Rivoluzione dei socialisti, l'autore del libro scrisse: "I socialisti autoritari hanno ritenuto che la storia andasse troppo a rilento e che per accelerarla, si dovesse affidare la missione del proletariato ad un manipolo di dottrinari.... Volendo dominare la storia, vi si è perduta, volendo asservire tutti i mezzi, è stata ridotta a mezzo e cinicamente manovrata per il più banale e per il più cruento dei fini.". In quel frangente Sartre, pur sapendo bene di star per avallare le atrocità staliniste, non esitò a difendere a spada tratta i comunisti, l'Unione Sovietica, il marxismo, tacciando Camus di essere un piccolo borghese che si era venduto all'imperialismo americano, e quel libro di essere semplicemente la dimostrazione "della sua incompetenza filosofica".
Esempi come questi non mancarono, tutti dovuti alla grettezza delle speculazioni sartriane che non facilitavano analisi che si ponessero oltre la sua "critica al marxismo". Lungi da noi è voler difendere personaggi come Camus, ma che aveva dato tutta la sua vita per la libertà: Michail Bakunin! Quel buzzurrone di un russo che a stento aveva imparato Hegel, nel 1871, con una semplicità perfino stomachevole, aveva scritto; "Nessun individuo umano può riconoscere la sua umanità, nè per conseguenza realizzarla nella vita se non riconoscendola dagli altri e cooperando perchè gli altri la realizzino. Nessun uomo può emanciparsi se non emancipando insieme a se stesso tutti gli uomini che lo circondano. La mia libertà e la libertà di tutti, perchè io sono realmente libero non solo nell'idea, ma nel fatto, solo quando la mia libertà ed il mio diritto trovano la loro conferma nella libertà e nel diritto di tutti gli uomini, miei uguali.".
Senonchè la storia anche per il nostro filosofo, è "magistra vitae" ed è capace di insegnamenti ben più preziosi che qualsiasi documento, saggio o libro; i fatti di Budapest nel '56 e ancor più il maggio francese, costrinsero Sartre a dover far di conto con tutti i suoi "compagni di strada" stalinisti. Il "'68" francese risultò essere lo scontro più diretto e distruttivo nei confronti della praxis marxista; la teorizzazione de "l'imagination au pouvoir", necessariamente criticava l'ideologia del potere posta nella sua negatività. Sartre, checché ne dicano i suoi apostoli, non riuscì affatto a riconsiderare tutta la sua esperienza teorica alla luce dei nuovi fatti; è vero, che mai come in questi anni abbandonò i "compagni di strada", ma verso lidi che, in fondo in fondo, lo ricondussero sempre al medesimo punto di partenza. Come poterlo affermare, quando il filosofo nel pamphlet Autoritratto a settant'anni afferma: "La rivoluzione non è un momento di rovesciamento di un potere da parte di un altro, ma un lungo movimento di svilimento del potere"? Se l'ultimo Sartre nega il potere, lo nega nella sua "forma-stato" - come si usa dire oggi - non nella sua esistenza; il suo discorso non è frutto di un pensare libertario, ma tutt'al più di una metodica soreliana, sindacalista rivoluzionaria. Le sue affermazioni rispetto al valore da dare alla violenza, dimostrano un comportamento acritico nei confronti di qualsiasi violenza contro il potere: egli sorregge teoricamente non la ribellione al potere per l'instaurazione di una società libera ed egualitaria - in quanto sembra non crederci -; la sua difesa è tutta indirizzata al puro gesto di rivolta, riproponendo la violenza in chiave di "sommossa al potere", allo stesso modo che Sorel, agli inizi del secolo, valorizzava la violenza portandola a "mito".... E ben ci ricordiamo in quali lidi ha attraccato questa "filosofia rivoluzionaria". Che dire ancora di questo "uomo libero" del nostro secolo?
Da questa limitata analisi, abbiamo cercato di ricostruire il suo pensiero filosofico attraverso le tappe più significative; abbiamo visto come la nascita di quel "dio fallito" incapace di risolvere, praticando, la sua libertà in un mondo schiavo e schiavizzante, abbia condotto Sartre nelle braccia del marxismo, dove l'engagement dell'intellettuale sartriano potesse dare un volto umano ad una dottrina priva del concetto di libertà per ogni singolo. Ma anche in questo caso il fallimento di dio era segato dall'esperienza storica che, rimarcando la netta separazione fra filosofia del potere e filosofia della libertà, ha costretto il filosofo dell'esistenzialismo a trincerarsi in un terreno ancor troppo metafisico, per soddisfare il "progetto fondamentale" dell'uomo: la libertà!
Ciononostante dobbiamo riconoscergli un merito che ben pochi come lui han saputo tener fede in questo secolo corrotto e corruttore: il merito consiste nell'impegno sempre dato - come scrittore, come filosofo - alla lotta degli sfruttati, nello sforzo costante di non riuscire tollerato dall'ordine costituito. Pur non essendo suoi "compagni di strada", pur non riconoscendoci nel suo lavoro teorico e pratico, dobbiamo pur sempre salutare in lui uno dei pochi "dei falliti" che per lo meno si sono fatti onore nel dichiaralo.