Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 80
febbraio 1980


Rivista Anarchica Online

Potere e maraviglia
di R. Brosio

Ai tempi dell'invasione russa in Cecoslovacchia, avevo un collega comunista, allineato, ma con qualche velleità di eterodossia intellettuale, che restò assai turbato dal modo con cui i carri armati posero fine alla "primavera di Praga". Un giorno, commentando l'avvenimento nel suo linguaggio un po' snob di persona colta, mi diceva che era stato per lui una "maraviglia". Il termine intendeva alludere non solo alla sorpresa per un fatto inatteso, ma anche all'indignazione, allo scandalo, che, proprio perché non previsto, il fatto medesimo suscitava. Non riusciva a capacitarsi che un paese "socialista" potesse aggredirene un altro, così brutalmente e senza complimenti. E per questo, soprattutto, si adirava, quasi rimproverasse all'U.R.S.S. di avergli distrutto le ingenui illusioni in cui si cullava.
Non vedo quel tale da diverso tempo, e non so quali siano, oggi, le sue impressioni sull'invasione dell'Afghanistan, di fronte a questo ennesimo esempio di un realpolitic sovietica, al tragico ripetersi del rituale di queste occasioni: la sostituzione del governo sgradito con uno di sicura lealtà, l'invasione presentata come solidarietà per uno stato amico, e poi il napalm, lo sterminio, la repressione. Dubito, però, che continui a provare "maraviglia". Se, come allora il suo atteggiamento è sintonizzato sulla lunghezza d'onda della normalità statisticamente intesa, starà probabilmente osservando il minaccioso aggroviglirsi degli eventi, e si chiederà se, per caso, non stia preparandosi una terza guerra mondiale. Così come facciamo tutti, quando ci incontriamo in strada, al bar, in ufficio. Preoccupati per la sorte del nostro "particulare" ma privi di reazione di fronte a ciò che rischia di comprometterlo: la violenza del potere.
Non c'è più "maraviglia". Non perché le ingenui illusioni, in cui si cullava un tempo il mio collega, siano state superate dalla consapevolezza critica circa la reale natura dell'autorità degli stati. La violenza del potere non è più un imprevisto, non fa più scandalo. E messe in conto, come qualcosa a cui non è possibile sottrarsi. Senza ribellione. E se la Russia invade l'Afghanistan, poco conta che nella condanna confluisca (con voce ben più stentorea che ai tempi di Praga) il nostro partito comunista, che, sentendo odore di governo, non perde occasione per dimostrare il proprio atlantismo. Dietro le proteste ufficiali non c'è l'onda dell'indignazione popolare, ma l'inerzia di un'opinione pubblica esautorata della propria volontà di intervento, espropriata dalla propria capacità di "scandalizzarsi" allo spettacolo della perversità statale.
Ma vi ricordate del Vietnam? Delle manifestazioni, delle assemblee, dei sit-in di fronte alle ambasciate americane, delle sassate alle finestre, dei tentativi di occupazione? Vi ricordate delle mobilitazioni immediate, dei cortei decisi dalla sera alla mattina, dopo l'aggressione alla Cambogia, ai bei tempi di Nixon? Vi ricordate di come la televisione fosse assai più parca di oggi, nel documentare le atrocità degli invasori e la diffusione della resistenza, e come ciò non impedisse né alla generalizzazione dell'odio anti-americano, né l'esplosione delle sue manifestazioni concrete? Vi ricordate di come una generazione intera, proprio intorno alla "maraviglia" che la guerra vietnamita suscitava, abbia costruito buona parte del proprio universo politico (pacifismo, anticolonialismo, ecc.), buono o cattivo che fosse? Non pretendiamo di vedere i giovanotti russi strappare pubblicamente le cartoline-precetto (qual è il Canadà dove i renitenti sovietici possono rifugiarsi? La Siberia?). Ma, almeno da noi, dove le libertà "democratiche" garantiscono ancora, e forse per poco, qualche possibilità di dissenso, sia pur platonico, sia pure verbale, ci piacerebbe poter indovinare, tra la cenere della passività e del silenzio, le faville di una nuova presa di coscienza, l'indignazione, seppur platonica, sia pur verbale, di una rinascente combattività antistatale.
Si potrebbe obiettare che non solo la "maraviglia" mosse gli animi ai tempi del Vietnam. C'era anche la simpatia per i Viet-Cong, per Ho-Chi-Min e, in generale, per il regime politico degli avversari degli invasori U.S.A. (simpatia che gli anarchici non hanno mai condiviso e continuano, adesso, a non condividere). D'altronde, anche il collega comunista che mi sta facendo da "spalla" in quest'articolo, corroborava il suo doloroso stupore per l'intervento russo in Cecoslovacchia, con qualche ammirazione, con comprensione, o interesse, per Dubchek e gli altri responsabili del "nuovo corso" praghese. (Ammirazione, comprensione, interesse, che nessun anarchico si è mai sognato di avallare, al di là della condanna dell'aggressione). Ma, nel caso dell'Afghanistan, chi sia arrischia a provare simpatia (e a dichiararlo) per la guerriglia islamica che tenta di opporsi agli invasori sovietici? Khomeini insegna (in particolare alla sinistra extra ed ex-extra-parlamentare) che bisogna andar cauti nello "sponsorizzare" le cose dell'Islam, anche quando si presentano come rivoluzionarie e popolari. Per quanto riguarda specificamente i ribelli afghani, poi, è noto (e quindi di difficile "sponsorizzazione") il fatto che la loro resistenza viene combattuta all'insegna di valori reazionari e mistici, del tipo di quelli prevalenti in Iran dopo la fuga dello Scià. Come si può, dunque, entusiasmarsi di furore anti-russo, se manca rispetto per quelli che contro i russi combattano concretamente?
D'accordo. Ma di elementi di "maraviglia" ce ne sono anche altri in questa crisi afghana. Per esempio, d'improvviso gli equilibri tra gli stati si sono rivelati fragili e instabili. Eppure, fino a ieri, ci avevano assicurato che tutto filava per il meglio e che gli accordi, sempre più stretti, tra le varie potenze garantivano l'armonia mondiale. Certo era un'armonia "lottizzata" quella che veniva presentata, basata sulla divisione della terra in aree di influenza, sulla reciproca accettazione dello status quo altrui, ma in fondo non si può pretendere troppo, bisogna accontentarsi. Certo, un'armonia interrotta ogni tanto da qualche crisi marginale, qualche genocidio qua e là, ma niente, alla fin fine, capace di intaccare i buoni rapporti tra Cina, U.R.S.S. e U.S.A.. Ora, invece, salta fuori che non è niente vero. Salta fuori che l'avvicinamento tra Cina e U.S.A. non è stato una tessera del mosaico di pace, ma, al contrario, è un elemento di disequilibrio perché suscita la gelosia dell'U.R.S.S., e anzi si rafforza in funzione anti-sovietica. All'improvviso, i rapporti fra Stati Uniti e U.R.S.S. entrano in crisi ed anche la loro volontà di disarmo, visto che, alla prima avvisaglia di burrasca, saltano i trattati per la limitazione delle armi strategiche. Si torna a parlare di "guerra fredda"; si ammette che l'U.R.S.S., nell'equilibrio attuale, ci sta un po' stretta e ha bisogna di spazio, militare e politico. Si torna a parlare, seriamente, di terza conflitto mondiale, dopo che ci è stato detto che era un evento impossibile. Tutto, in un paio d'anni.
Nessuno si incazza per questo, nessuno si scandalizza per l'ottimismo che ci è stato propinato e che d'improvviso si rivela infondato, senza nemmeno il beneficio di qualche anno di preavviso, e si tramutata in pessimismo e preoccupazione. E il petrolio? Esso è, adesso sappiamo, la vera "materia del contendere" di tutta la questione. Il bisogno di petrolio, la necessità di controllare le rotte della sua distribuzione, stimola l'aumento di "litigiosità" americana e sovietica e fomenta, nemmeno troppo nascostamente, lo scontro di interessi in Medio Oriente. Ma, scusate, fino a ieri ci veniva detto che, una volta che avessimo accettato le centrali nucleari il petrolio non sarebbe stato più un problema? Non abbiamo sempre sentito parlare del "bisogno di svincolarsi dal monopolio arabo"? Come mai, adesso, intorno al petrolio si annodano conflitti che potrebbero coinvolgere tutto il mondo? Maraviglia? Maraviglia! Niente affatto. Certo, il timore della guerra serpeggia ma alle menzogne dei potenti, alle loro "versioni" della verità, strumentali e mistificate, abbiamo fatto ormai l'abitudine. Ce le aspettiamo e non ci sorprendono. Ma la nostra indignazione ha proprio bisogno dello stupore, per prodursi? La violenza statale è meno odiosa perché è diventata prevedibile? O siamo noi che, ormai, abbiamo accettato tutto?