Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 9 nr. 79
dicembre 1979 - gennaio 1980


Rivista Anarchica Online

Perché ho firmato / Perché non ho firmato
a cura della Redazione

Due operai licenziati, due posizioni contingenti diverse rispetto al sindacato: uno (Bandiera) ha firmato il documento sindacale di condanna al terrorismo e la delega agli avvocati del sindacato (vedi riquadro a pag. 15), l'altro (Giancarlo) si è rifiutato di firmare. Eppure dalle due interviste che pubblichiamo in queste pagine emergono posizioni di fondo simili: entrambi hanno chiara coscienza del ruolo svolto dal sindacato e del significato dei 61 licenziamenti. A nostro avviso, comunque, entrambi sopravvalutano la portata della propria azione, l'uno sperando di poter condizionare la gestione sindacale del processo, l'altro illudendosi circa la capacità di mobilitazione del nuovo dissenso operaio.

Carmelo Bandiera della Carrozzeria Rivalta, appartiene al gruppo di coloro che hanno accettato di firmare il documento sindacale di condanna del terrorismo. Circa una settimana dopo i licenziamenti, ha iniziato, con altri due operai del medesimo gruppo, uno sciopero della fame, in una tenda piantata davanti ai cancelli della fabbrica.

Per quali ragioni, insieme con altri due compagni, hai deciso questo sciopero della fame?

Prima di tutto, tengo a dire che siamo tutti e tre contrari a questi metodi di lotta autolesionisti, masochisti. Però vi siamo stati costretti, per diversi motivi. Il primo è questo: con lo sciopero nazionale di due ore, nell'industria, il sindacato si è praticamente lavato le mani di ogni lotta, cioè per lui le lotte erano finite a quel punto, e quindi veniva a cadere ogni discussione, all'interno della fabbrica e nel sociale, sui 61 licenziamenti. Poi c'è la necessità (e questo l'abbiamo dichiarato pubblicamente) di porsi contro la stampa asservita e bugiarda, soprattutto quella che si dà una parvenza democratica, come l'Espresso, o la Repubblica, che proprio in questa occasione si sono dimostrati i giornali più a destra, fors'anche peggio della stessa Stampa di Agnelli. Inoltre, ingenuamente, sperando che questa lotta ci permettesse di difendere le nostre idee tra l'opinione pubblica, attraverso le interviste che, immaginiamo, la TV e i giornali ci sarebbero venuti a chiedere. Nei fatti non è stato così, perché, anche se i giornali hanno dovuto venire ad intervistarci, solo la Gazzetta del Popolo ci ha dedicato la prima pagina, gli altri hanno seppellito le notizie su di noi nelle pagine minori. Ad esempio, quando è morta donna Rachele, una fascista, tutti i giornali hanno riempito le prime pagine con questa notizia, mentre gli articoli su di noi, quando c'erano, erano relegati in poche righe di cronaca cittadina. Poi, le nostre dichiarazioni sono state regolarmente travisate.

Con gli operai siete riusciti a parlare?

Inizialmente sì, poi è arrivata quella nevicata anticipata e ci ha creato grossi problemi. Comunque gli operai uscivano in gruppi di venti-trenta, per parlare con noi, segno che il problema all'interno della fabbrica è abbastanza sentito. Tutto sommato, da questo lato possiamo ritenerci soddisfatti.

Tu hai firmato la delega per ottenere la difesa degli avvocati del sindacato, nonostante fossi contrario. Come mai?

Ti dico una cosa: dopo aver firmato, sono uscito e ho vomitato, perché un affare così schifoso non mi era mai capitato. La lettera che mi ha presentato il sindacato è anche peggiore della lettera di licenziamento, un atto intimidatorio, che annulla la mia personalità, la mia dignità politica, i miei dieci anni di "storia" politica. Se ho firmato, è stato principalmente perché non volevo il collegio di difesa alternativo. Non volevo che i 61 venissero divisi, anche se prima o poi sarebbero stati costretti a farlo. Per me, mettere due collegi di difesa è molto pericoloso, al limite era meglio che coloro che non hanno firmato facessero causa ognuno per i fatti suoi, evitando la contrapposizione diretta con il collegio del sindacato. Io inizialmente volevo far causa da solo e sono andato a sentire diversi avvocati, per questo. Alcuni di essi, pur condividendo le mie posizioni, mi hanno fatto presente che un'azione isolata era pericolosa, sul piano giuridico, perché era probabile che il giudice avrebbe usato atteggiamenti diversi a seconda della forza degli schieramenti. Mentre ancora non sapevo cosa fare, ho incontrato alcuni compagni, che erano stati anch'essi titubanti rispetto all'idea di firmare la delega sindacale... erano più o meno tutti nella mia situazione... e mi hanno aiutato a convincermi a firmare. Comunque non voglio far cadere su di loro la responsabilità di quest'atto. La firma l'ho messa.

Adesso cosa pensi di fare?

Innanzitutto voglio far vedere che alla mia dignità politica non ci rinuncio. Voglio attaccare pubblicamente questo modo d'agire del sindacato, che, ripeto, è schifosissimo. Se loro mi accettano, bene, se no mi caccino, rifiutandomi la loro difesa. Ma dimostrerò che non sono riusciti a tapparmi la bocca, a farmi diventare uno strumento nelle loro mani.

Al Palazzetto dello Sport, allo spettacolo di Dario Fo, hanno parlato anche diversi compagni del comitato di difesa alternativo e hanno ricevuto ampi consensi da parte del pubblico...

Per prima ha parlato Ines che è una come me, che ha firmato ma con tanti dubbi, però più che altro ha cercato di difendere la propria scelta. Dopo di lei, sono intervenuto io, esprimendo più o meno quello che ho detto anche in questa intervista, poi ha parlato uno dei compagni che non hanno accettato di firmare. Naturalmente dopo questi interventi la linea filosindacale era nettamente indebolita, così il sindacato ha ritenuto opportuno buttare un suo elemento nella competizione ed ha preso Caforio (uno dei licenziati di Mirafiori, che appartiene alla IV Internazionale) che sta diventando l'uomo tutto-fare del sindacato, la "vacca di Mussolini". Di tutti questi interventi, penso che il mio e quello del compagno che non ha firmato abbiano prevalso, almeno per quanto riguarda i presenti al Palazzetto.

Ma tu cosa pensi, esattamente, dei compagni che hanno organizzato il collegio alternativo?

Di loro ho molta stima, e anche un po' di invidia... però credo che la loro scelta non sia conveniente, in quanto PCI, sindacato e tutti coloro che intendano criminalizzare una parte dei licenziati adesso hanno buon gioco... ben altro significato politico avrebbe avuto un collegio alternativo più numeroso di quello sindacale ma così gli sporchi tentativi di criminalizzazione e le manovre della stampa e della burocrazia nazionale vedono il collegio alternativo in una posizione poco difendibile, debole. Certo, la mia situazione adesso è poco dignitosa, ma la mia scelta non è stata dettata da opportunismo, lo giuro.



Giancarlo, delle Presse di Rivalta. È di quelli che non hanno firmato il documento sindacale e hanno dato vita al cosiddetto "collegio di difesa alternativo". Appartiene al Collettivo Operaio, uno dei pochissimi gruppi extrasindacali attivi nella Fiat, su posizioni vicine all'Autonomia.

Per quali motivi non hai accettato di firmare il documento sindacale?

Innanzi tutto vorrei dire che non ci sono stati alla base della decisione motivi moralisti o di purismo rivoluzionario, anche se tutti noi abbiamo dei problemi di coerenza con le nostre posizioni politiche.
Io e gli altri nove compagni non firmatari, ci siamo trovati, purtroppo, nel giro di pochi giorni in una situazione completamente diversa da quella che era nelle nostre aspettative. Infatti noi credevamo, conoscendo gli altri compagni, che si potesse andare, su posizioni di forza, ad una rottura con il sindacato e invece alla fine, solo una minoranza, non ha voluto assolutamente firmare.
Molti si sono sentiti sotto il peso di un ricatto, e chi per opportunismo, chi per paura di essere criminalizzato, chi con la speranza che attraverso l'aiuto sindacale avrebbe potuto rientrare in fabbrica, hanno firmato anche se non erano d'accordo. Tutto questo ha creato una situazione molto complessa. Noi licenziati avevamo un'occasione veramente storica per poter mettere il sindacato con le spalle al muro, in netta minoranza; il non esserci riusciti è stata una sconfitta reale, anche se in 10 abbiamo dato vita ad un collegio alternativo.
Il motivo principale per cui non abbiamo firmato e abbiamo creato questo collegio, sta nel significato politico che può avere oggi un simile atto di rottura; esso sta a dimostrare come sia possibile e necessario rompere con il sindacato. Noi, per anni, nei quartieri e in fabbrica, abbiamo fatto attività politica fuori dal sindacato, contro le sue forme di azione. Con il rifiuto di firmare abbiamo voluto dare continuità alla nostra scelta, abbiamo voluto dimostrare come in questa situazione, per certi versi drammatica, in cui molti compagni vedono nel sindacato l'ultima spiaggia, un'iniziativa, anche se in minoranza, sia ancora possibile. Tutto questo sta dando dei risultati. Innanzi tutto la campagna di criminalizzazione che pensavamo si scatenasse contro di noi non c'è stata, se non in minima parte. Inoltre abbiamo potuto constatare che la nostra posizione ha sviluppato delle contraddizioni all'interno del sindacato, ed ha creato, anche se in modo limitato, una certa discussione in fabbrica e fuori.
Molti, sia compagni che non, ora parlano di questi fatti, perché in un momento come questo hanno un significato notevole. Figuriamoci cosa avrebbe potuto essere, se fossimo stati 40 o 50 (cioè la maggioranza) a non firmare.

Che cosa pensi stia dietro ai 61 licenziamenti e quale futuro si sta prospettando, secondo te, in fabbrica, visto anche che la Fiat non è sola nella sua strategia, ma ha l'appoggio di tutto il padronato, con in testa l'Olivetti e le sue richieste di 4.500 licenziamenti?

Noi abbiamo sempre detto fin dall'inizio che il problema principale non era quello dei 61 operai licenziati, ma il grosso progetto della Fiat, che sta dietro questi licenziamenti.
La Fiat vuole arrivare alla normalizzazione all'interno della fabbrica, ristabilire il controllo gerarchico, riottenere livelli di produttività più alti. Ciò è fondamentale per lei: essendo una fra le fabbriche più automatizzate a livello mondiale (cosa che costata miliardi) vorrebbe ora cogliere i profitti di tanti investimenti, ma i risultati sono al di sotto delle speranze, perché c'è un'alta conflittualità interna, che non è legata ad iniziative del sindacato, ma è una microconflittualità, che si esplica in diecimila episodi di lotta. Lotta spesso diversa da quella classica; gli operai, ad esempio, si autoriducono costantemente la produzione, tirano fuori diecimila problemi, piccole vertenze, continue discussione con i capi, ecc....
Tutto questo crea alla Fiat un clima di ingovernabilità, conseguenza di un certo, sia pur minimo, "potere operaio" che si è creato in questi anni, cosa che la Fiat vuole assolutamente distruggere. È per questo che ha attaccato questi compagni e questo settore sociale che più sovente si è ribellato sia ai padroni che al sindacato.
Il sindacato, da parte sua è una garanzia di stabilità, non a caso Umberto e Giovanni Agnelli, e altri boss della Fiat, affermano di volere un sindacato forte che rappresenti tutti gli operai. Non è vero, perciò, come affermano molti che i licenziamenti rappresentano un attacco al sindacato, l'attacco in realtà è stato rivolto contro alcuni settori sociali all'interno della fabbrica, alcune strutture extrasindacali, alcune forme di lotta dura. In realtà la Fiat ha bisogno di un sindacato che controlli tutto, in modo che i rapporti di produzione vengano gestiti a livelli di vertice, fra un padrone che comanda tutti e un sindacato che comanda tutti, per poter spezzare ogni iniziativa operaia all'interno della fabbrica. Il rapporto con il lavoro oggi è cambiato moltissimo rispetto a 10 anni fa. Nel '69, la Fiat bene o male veniva considerata come un punto di arrivo, oggi invece è vista come una costrizione da cui ci si vuole liberare.
Per evitare di assumere gente che odia la fabbrica e quindi non produce, la Fiat, cerca di annullare la funzione di certi organismi, come l'ufficio di collocamento, per avere la possibilità di scegliere lei gli operai, e non dover accettare quelli che gli manda il collocamento. Il suo progetto è quindi quello di riprendere il controllo totale della fabbrica, ma anche di alcune strutture non direttamente legate alla produzione, come il collocamento.

Quali iniziative di lotta pensate di portare avanti?

Noi in occasione della prima udienza del processo per i licenziamenti, abbiamo proposto una mobilitazione a livello nazionale in fabbrica, nelle scuole, ecc..
È importante che si riesca a mantenere un continuo contatto tra i licenziati e i compagni che stanno ancora dentro alla fabbrica, in modo da poter dare continue informazioni e indicazioni di lotta, e promuovere iniziative autonome. Oggi per esempio, a Rivalta, ci sono stati scioperi al montaggio e in altre officine... si svolgono assemblee, insomma, anche se poco, in fabbrica qualcosa sta cambiando, molte cose cominciano ad essere chiare per molti operai.
L'atteggiamento del sindacato è chiaro: non intende assumere nessuna iniziativa di lotta per sostenere la causa dei licenziati e aspetta le decisioni della magistratura. Noi non possiamo rimanere ad aspettare, non possiamo legarci al carro della magistratura ed attendere che essa legittimi la lotta di classe, questo non avverrà mai. Noi abbiamo però accettato di utilizzare anche le vie legali perché crediamo che bisogna usare tutti gli spazi che ancora ci rimangono per cercare di ribaltare la situazione.

In conclusione, hai qualcosa di particolare da dire a chi legge questa intervista?

Io vorrei dire a coloro che leggeranno questa intervista di tenere, ovunque sia possibile, in piedi il problema. È importante soprattutto che non passi sotto silenzio la lotta di quelli che hanno rotto con il sindacato, che ne vengano spiegate le motivazioni, impedendo i tentativi di criminalizzazione portati avanti da PCI, sindacati e stampa. Questa non è una campagna di cinque giorni, ma si prospetta assai lunga: bisogna quindi mobilitarsi in tutti i modi possibili, con assemblee, discussioni, scioperi.

firma che ti difendo

Atteso che il sottoscritto dichiara di accettare i valori fondamentali ai quali il sindacato ispira la propria azione ed in particolare di condividere la condanna senza sfumature non solo del terrorismo ma anche di ogni predico di sopraffazione e di intimidazione, per la buona ragione che non appartengono alla scelta di valori, alle convinzioni, al patrimonio di lotta del sindacato stesso, consolidati da una lunga pratica di varie forme di lotta e di difesa del diritto di sciopero, così come risulta dal documento conclusivo del coordinamento nazionale FIAT approvato all'unanimità a Torino l'11.10.79 dai membri del coordinamento stesso.
Delego a rappresentarlo nel presente giudizio, nonché nella procedura ordinaria, in ogni fase e grado, compreso quello esecutivo, gli avvocati Bruno Cossu, Prof. Giorgio Ghezzi, Prof. Andrea Proto Pisani, Prof. Tiziano Freu, Prof. Luciano Ventura, Alberto Bascone, Franco Giordano, Nino Raffone, Elvio Rogolino, Giuseppe Scalvini, Giovanni Villani, sia congiuntamente che disgiuntamente, conferendo loro ogni facoltà di legge, ed eleggendo domicilio presso l'Avv. Giuseppe Scalvini, in Torino Via Botero, 16.