Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 9 nr. 78
novembre 1979


Rivista Anarchica Online

Il fantasma di Valletta
di Piero Flecchia

Cronaca e storia, vita e miracoli, del terrorismo sappiamo tutto: singole organizzazioni, memorabili azioni, uomini, ma è tutto irrilevante, perché non procede mai dalla volontà di comprensione delle matrici socio-politiche che producono il fenomeno.
Che cos'è il terrorismo, che cosa provoca il fenomeno terrorismo in una compagine sociale?
Procediamo dai fatti di casa nostra, trascegliendo dalla macabra serie di omicidi e gambizzazioni: tutti manufatti finiti del terrorismo, un episodio socialmente ben più rilevante, e il cui accadere è una conseguenza delle azioni terroristiche: le 61 lettere di licenziamento inviate dalla FIAT ad altrettanti suoi dipendenti, in data 9 ottobre 79. Licenziamenti impensabili senza l'assassinio del dirigente FIAT ing. Ghiglieno e il ferimento del funzionario del personale Varetto. Ma l'obiettivo dell'azione della proprietà FIAT è il terrorismo? Per capirlo è necessario un minimo di analisi della situazione dentro le officine FIAT, e a un tempo la collocazione della FIAT nel mercato internazionale dell'auto. La produzione FIAT è garantita da una struttura tecno-burocratica il cui stato d'animo è ben esemplificato da un anonimo capo che dichiara, tra l'altro, in una lunga intervista a Giampaolo Pansa (vedi La Repubblica 11/10/79):
"Tu insisti per ottenere la qualità e quantità necessarie di lavoro. E loro, soprattutto quelli giovani...: - Capo non rompere, capo vaffanculo, capo sei un fascista, ti faremo camminare in carrozzella, capo non fare rapporto in direzione, altrimenti... - Lama in televisione parla di professionalità, io vorrei che Lama venisse in fabbrica, e stesse a Mirafiori una settimana. Le colpe del sindacato sono grandi. Si è servito degli elementi più accesi per prendere potere dieci anni fa. Avrei fatto così anch'io, ma poi il sindacato avrebbe dovuto liberarci da questi elementi, e non c'è riuscito. Anzi, gli è corso dietro.... Ho un diploma, cerco di ragionare, leggo due giornali, La Stampa e L'Unità per un confronto... la parola intimidire mi fa paura. Per troppi anni in FIAT l'operaio è stato intimidito, ma adesso quelli che vogliono lavorare, e sono ancora tanti, non respirano più.... Mi costa confessarlo, ma mi sento un uomo colpito da una umiliazione continua...".
Nelle frasi estrapolate dalla lunga intervista emerge chiaramente che questo capo esprime appieno tutti i luoghi comuni della mitologia socialprogressiva quale traspare dalla stampa di regime. Non trova giusta la FIAT dei tempi vallettiani, sogna un mondo dove tutti facciano educatamente il loro lavoro, dove sia chiaro chi sta in alto e chi sta in basso: e lo crede possibile, mente devastata dalla pornografia politica insinuatagli concordemente dalle due testate che egli legge: La Stampa e L'Unità. Di interessante, di vero, di non deformato dal canone di lettura, nelle dichiarazioni dell'anonimo umiliato capo c'è solo:
a) che la rivolta è delle giovani generazioni
b) che i sindacati hanno cavalcato la tigre della rivolta giovanile per una operazione di potere, che però l'uomo semplice non riesce a decifrare per tale: e se lo capisse si trasformerebbe automaticamente in fascista. Ma il suo ragionamento è già fascismo a tutti gli effetti, perché egli sogna una società che ubbidisca a modelli corporativi quali vagheggiò Bottai, e quali poi gli sono stati insegnati dall'UNITÀ del PCI e dalla STAMPA di AGNELLI.
Molto opportunamente Giampaolo Pansa raccoglie anche, pubblicata il 12/10, la lunga intervista di uno dei 61 licenziati, un ex lottacontinuista: uno di quei giovani che sono, per il "capo", alla fonte di tutti i guai. Ecco che cosa ci racconta:
"Sono entrato (in FIAT) il 28 maggio 1969... fuori c'era l'autunno caldo. Io non ho partecipato. Non capivo niente.... Solo nel 70 ho incominciato a darmi un po' da fare. No, niente politica è nemmeno attività sindacale. Mi sono dato da fare sul problema dell'ambiente nella verniciatura, dove lavoravo. La situazione era disastrosa e anch'io ne risentivo. Ho perso otto denti, nausee, ulcera duodenale, udito scassato. Mi sono mosso quando ho visto che pagavo il posto in FIAT con la pelle. Ma non è stata una rivolta individuale.... Era una ribellione collettiva... chiedevamo alla FIAT di modificare gli impianti, e la FIAT rispondeva di no... (intanto, mentre lotta per l'ambiente, l'operaio incontra Lotta Continua). Per me è stata un'esperienza grande, politica e umana. Lotta Continua ha avuto un grande merito; apriva il cervello alle persone, le faceva parlare, discutere.... Stia attento, io non rifiuto il lavoro... sono convinto che bisogna lavorare bene... su questo, non sono mai stato tenero con i miei compagni che si comportavano male. Io dico: lavorare poco, ma quel poco farlo bene. E lavorare poco per lavorare tutti. Non è uno slogan di Carniti ma degli operai FIAT.... L'orario dev'essere di 7 ore per 5 giorni la settimana, se no, quelli che sono disoccupati continueranno a restarlo.... Adesso ho fifa. Agnelli mi ha messo il bollo di terrorista sulla fronte... ho perso il lavoro e non ho copertura politica.... Sono un immigrato, la FIAT, è stata la mia casa per 10 anni. È ingiusto che mi caccino di casa. Ho un'unica speranza: che i sindacati, che quelli che si dicono democratici, tengano duro.... Se i sindacati mollano? BR, Prima Linea potranno dire: vedete?!...".
La chiusa di questo amaro sfogo si tinge chiaramente del pornopolitico che attossica l'intervista del piccolo capo. Ma un uomo ha diritto ad almeno una speranza. L'intervista dell'ex lottacontinuista ci insegna innanzitutto una cosa: che i sindacati del glorioso autunno caldo sono una invenzione propagandistica, poiché questo giovane "terrone", per migliorare il proprio posto di lavoro ha dovuto perdere otto denti, e sentire le fitte di un'ulcera. Poi la gente come lui, si è rivoltata, e con la rivolta ha prodotto una nuova visione del mondo: lavorare poco e bene, affinché tutti lavorino. Che però è anche la speranza del piccolo capo, solo che per il piccolo capo il giovane immigrato che ha fatto tutte le lotte è il prototipo del ceto da espellere dalla fabbrica.
Da queste due interviste, lette in parallelo, emerge che la Mirafiori si è in qualche modo autoliberata, ma questa autoliberazione, che dovrebbe essere garantita dai sindacati, è possibile? Ecco quanto scrive Giorgio Bocca, in un corsivo su La Repubblica, in data 12/10/79:
"Non è una invenzione del padrone, ma una realtà, che la FIAT produce al 70% e magari al 60% delle sue possibilità... che esiste un proletariato giovanile che considera la fabbrica come luogo e occasione delle sue immaginazioni, delle sue improvvisazioni, dei suoi giochi e lotte anomale, con evidente sicuro danno della produzione. E non è neppure una invenzione di Agnelli che la FIAT corre il rischio di essere, tra due o tre anni espulsa dal mercato, se non torna a produrre...".
In una felice sintesi abbiamo qui tutti gli elementi della pornoeconomia che intossica la cultura italiana media: innanzitutto impianti sottoimpiegati, ergo minor produzione, poi la rivolta dei giovani che fanno casino e basta, e in ultimo il contesto internazionale della produzione, dove, o si è alla pari, o si va a ramengo. Supponiamo che improvvisamente gli operai FIAT si mettano a lavorare alla morte: che cosa accade? Accade che gli operai Renault e Ford e WW vanno fuori del contesto internazionale, a meno che non riaccelerino il ritmo, come risultato finale costringendo gli operai FIAT a riaccelerare. Svolta compiutamente, la logica dei rapporti internazionali evidenzia l'INFERNO CAPITALISTA, la cui legge non scritta è: "Tu sei operaio, ergo il tuo dovere è di crepare a lavorare". Ma esiste veramente questa legge o non è piuttosto pura mitologia creata ad hoc per mascherare il fallimento del marxismo? Domandiamoci a chi vanno i profitti della FIAT: ad Agnelli, da sempre ci sentiamo rispondere. Verità che però è solo una mezza verità. Sulla struttura economico-produttiva della FIAT campa una struttura socio-simbolica di partiti politici di affaristi ad ogni livello; di caperie piccole e grandi, e tutta quella complessa pseudocultura per metà spettacolo e per metà truffa, che va dai clubs calcistici alle varie fondazioni che conducono indagini sul mondo del lavoro. Questa enorme escrescenza parassitaria ha già raggiunto e di gran lunga superato il traguardo delle 35 ore settimanali: ecco per chi deve lavorare il lavoratore FIAT. Dunque il mito del mercato internazionale è l'ultima menzogna, per costringere gli sfruttati a mantenere gli sfruttatori, accettare volontariamente, e perfin gioiosamente - in nome dei superiori interessi generali - la condizione di sfruttati. Ma c'è menzogna anche nella verità degli impianti sfruttati solo al 60-70%, come è una menzogna che solo questa generazione di giovani si sia rivoltata. Alla fine degli anni 40, approfittando della liberazione, ci fu nella FIAT una situazione analoga, che culminò nella repressione vallettiana, poi raccontata come repressione anticomunista. Ma la sistemazione storicistica non è che una invenzione agiografica. Nei fatti il PCI fu un mero pretesto: anche allora lo scontro fu tra sfruttati e sfruttatori, e già allora dalla parte degli sfruttatori stava il PCI, che seppe o usare a proprio vantaggio lo scacco della classe operaia. Perché i partiti politici sedicenti progressisti possano avvantaggiarsi, è indispensabile che la sedicente destra sconfigga gli sfruttati. Solo allora sarà possibile per una fazione di sfruttatori ergersi a garanti di un "minor sfruttamento", così acquistando potere.

Tanto nel discorso del piccolo capo infelice quanto dell'operaio ex lottacontinuista emerge un rimando al sindacato: ultima spiaggia, altrimenti, come vede chiaro l'ex lottacontinua sarà provato che hanno ragione BR & C., e allora, come non dice il piccolo capo, ma lascia capire, sarà necessario un governo forte, anche se la parola repressione gli fa paura.
Emerge ora chiaro che il sindacato è una sorta di spazio simbolico dove tanto il piccolo capo infelice quanto l'operaio possono riconoscersi, e quindi rappresentarsi cittadini di una socialità non divisa nettamente e impeccabilmente in sfruttati e sfruttatori. Sogno di una ricomposizione già in atto in questa società divisa di dominatori/dominati. Ma se così è, il sindacato: quel sindacato che ha lasciato che l'operaio cedesse i suoi otto denti al padrone e lo stomaco, che lascia il piccolo capo al suo mondo di odio e di angoscia; questo sindacato sempre portato alla ribalta e sbandierato, questo sindacato anche se ha uomini istituzioni e funzioni, anche se fa notizia da TV e giornali, questo sindacato di fatto non esiste, se non nell'immaginario collettivo, esattamente come il prepuzio di Gesù, o le tante reliquie della santa croce. Prodotti del sogno, del desiderio di libertà, capaci di mobilitare masse enormi, che però, al momento della resa dei conti, si rivelano utili strumenti in mano ai detentori del potere. Infatti il sindacato reagisce alle lettere di licenziamento FIAT, ma reagisce rimandando al governo, e assumendo un atteggiamento di pesante discriminazione. Il sindacato tutelerà i buoni operai, mentre i cattivi saranno implacabilmente abbandonati al loro destino. Ma chi deciderà circa i buoni e i cattivi? Il sindacato non ha dubbi: il governo attraverso la magistratura e la polizia: farci dell'ironia sopra è perfin troppo facile. Chi invece prende molto sul serio la proposta è la FIAT: a lei sta bene, come sta bene ai partiti politici. Però, tutti dello stesso parere, e tutti a soffiare nelle tube della loro propaganda. Evidentemente dietro a questo ricorso allo stato c'è dell'altro. C'è innanzitutto la clamorosa inefficienza dello stato: questo stato che si lascia rapire e ammazzare un suo grand patron quale Moro, i cui apparati gettano indiziati dalla finestra e procurano passaporti diplomatici a conclamati criminali. Ci si può fidare di un tale stato, i cui funzionari si chiamano Crociani? Evidentemente sì, se sindacati e partiti unanimemente vi ricorrono. Forse perché essi sanno che accanto a uno stato fatto di Crociani esiste uno stato fatto di Stiz. Questa duplicità dello stato non serve tanto a farci credere che lo stato è fatto di uomini, ma che lo stato è in sé amorfo: una istituzione che la gente ha imparato a riconoscere come la fonte della legalità. Detto in altro linguaggio: la fonte del potere coercitivo.
Se lo stato è una istituzione in sé amorfa, istituzione che per essere attivata nella sua funzione di garante della legalità deve essere occupata da un gruppo, ne consegue che, là dove, nella società si determina, tra le varie forze politiche una situazione di equilibrio, lo stato sarà impossibilitato ad agire. Tale è appunto la situazione italiana, dove forze tra loro antagoniste e concorrenti si contendono l'occupazione della struttura. Ma l'azione per l'occupazione della struttura stato, qualifica da sola la scelta di linea politica dei gruppi che vi concorrono. Lo stato è il solo e decisivo strumento di dominio mediante il quale i gruppi egemoni si garantiscono lo sfruttamento dei gruppi dominati. Là dove l'azione dello stato subisce un arresto, immediatamente gli sfruttati acquistano vasti spazi e possibilità di azione, per cui i gruppi che contendono per controllare lo stato sono costretti a trovare una qualche intesa, perché minaccia di essere lesa tutta la base di sfruttamento sulla quale si fondano. Lottando per la conquista dello stato un gruppo politico si qualifica come congrega che aspira allo sfruttamento di altri uomini. Ma parallelamente alla lotta per il controllo dello stato, più antica e più violenta si svolge la lotta implacabile tra sfruttati e sfruttatori. Dove due gruppi di sfruttatori si elidono vicendevolmente, gli sfruttati acquistano un vantaggio di vasta portata. Questo è quanto è accaduto in Italia, dove il potere DC è sempre stato antagonistico rispetto al potere liberal-confindustriale. In questa faida interna, scontro industria di stato gruppi privati, e poi intervenuta l'ascesa del PCI a complicare il quadro, tanto sul piano interno quanto internazionale. Uno stato bloccato è uno stato che non può più svolgere il proprio compito istituzionale: esercitare efficacemente il terrore sugli sfruttati. Là dove questo accade, ognuno dei gruppi in lotta per il controllo dell'istituzione tenderà a comportarsi come pseudo-stato, esercitando la repressione in proprio. L'Italia alle soglie del fascismo ci offre un tipico quadro di una tale situazione. Ma mentre un gruppo esercita la repressione in proprio, il gruppo, o i gruppi antagonisti denunceranno questa repressione come violenza non legittima, come terrorismo. Non appena accadrà che un gruppo acquisti il controllo dello stato il suo terrorismo diverrà la legalità e l'ordine che spazzerà via, con irrisoria facilità i terrorismi concorrenti. Così accadde in Russia con i bolscevichi, così accadde in Italia con i fascisti. Ma bisogna qui distinguere attentamente: l'obiettivo del terrorismo non è mai colpire un gruppo antagonista: questa non è che la fenomenologia del terrorismo. La volontà terrorista mira sempre a colpire tutta la società, perché ogni gruppo che lotta per il potere statale, per controllare la macchina statale, lotta cosciente che nella società, ora che lo stato è bloccato, gli oppressi stanno organizzando una contro-società. Il terrorismo mira innanzitutto a insegnare agli oppressi che là dove cessa l'azione dell'istituzione stato, là si scatena la violenza, e nessun uomo è più sicuro. Esattamente come ogni uomo cosciente del trascorrere del tempo sperimenta nella vita l'angoscia della morte, così ogni personalità dominata dal simbolico statale davanti alla crisi di valori di ordine costituito sperimenta l'angoscia dell'anarchia: assenza di sistematicità dell'universo per la perdita dell'ordine gerarchico. Ad aumentare questa angoscia là i vari gruppi in lotta simuleranno una pseudo-anarchia, scatenando il terrorismo, come il caso delle bombe di piazza Fontana insegna.
Abbiamo ora tutti gli elementi per tracciare una genealogia del terrorismo:
1) La società divisa ha bisogno dell'istituzione stato, mediante la quale i dominatori si assicurano lo sfruttamento dei dominati.
2) Può però accadere che, nella lotta per il controllo dell'istituzione, opposti gruppi si elidano reciprocamente, bloccando il funzionamento della macchina repressiva.
3) Poiché più antica della lotta tra sfruttatori per la ripartizione del profitto è la lotta tra sfruttati e sfruttatori, quando lo stato si blocca, immediatamente gli sfruttatori acquistano iniziativa.
4) Da questa situazione emerge il terrorismo, strumento in sé effimero, perché non innesca movimenti di liberazione degli sfruttati, ma facilita gli sfruttatori, tanto nelle loro faide interne, quanto nella loro azione di controllo sulla società.
Questa è la dinamica nel sociale e la funzione politica del terrorismo, estremo garante dello sfruttamento nelle società divise in dominatori/dominati, tutto l'altro non è che mitologia.