Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 9 nr. 75
giugno 1979 - luglio 1979


Rivista Anarchica Online

Ruba compagno ruba
di Fausta B.

Milano, un mercoledì sera. Come sempre ci troviamo nella redazione di "A" dopo aver cenato tutti insieme nella trattoria all'angolo dove l'Eugenia (che ormai ci considera suoi figli adottivi) ci rimpinza a dovere. Stiamo lavorando, un po' appesantiti e stanchi dopo una giornata di lavoro e dopo il pasto affrettato, quando sentiamo un gran vociare nella strada. Ci affacciamo incuriositi alla finestra: s'è formato un capannello di gente che non ci permette di vedere, ma sentiamo qualcuno che urla di chiamare la polizia. Allora tutti ci precipitiamo.

Proprio di fronte alla redazione c'è un negozio in cui abita una numerosa famiglia di meridionali. Una squallida tenda a fiori è l'unico riparo alla loro privacy, ma spesso ci capita di dover ascoltare, nostro malgrado, gli echi di furiosi litigi prodotti dalla miseria e dall'ignoranza. Ebbene, proprio questa famiglia aveva colto sul fatto poco prima un ragazzo che stava rubando il loro motorino. Arriviamo nel bel mezzo della bagarre. L'uomo di casa sta picchiando sonoramente il ragazzotto e intanto grida agli altri di chiamare la polizia. Ovviamente interveniamo subito, immobilizziamo l'uomo, facciamo "casino" per dar modo al ragazzo di scappare e poi cerchiamo di far capire al derubato e alla gente accorsa che chiamare la polizia non risolverebbe nulla, eccetera, eccetera.

La spuntiamo noi, la polizia non viene chiamata e noi ritorniamo al nostro lavoro soddisfatti per il nostro intervento, per il ragazzo che se l'è cavata con qualche cazzotto ed anche per quel povero disgraziato che non ci ha rimesso il suo motorino. Il giorno successivo ritorniamo in redazione e ci ferma l'Eugenia. "Avete fatto proprio una bella azione ieri sera" ci dice ironicamente. "Sapete cosa ha combinato quel ragazzo dopo? È andato a casa di una vecchietta, l'ha derubata di quei quattro soldi che aveva e l'ha buttata giù dalle scale!". Non c'è bisogno di dire che siamo rimasti malissimo e che, se l'avessimo potuto avere fra le mani, gli avremmo volentieri dato una lezione a suon di sberle.

Probabilmente quel ragazzo avrà avuto bisogno di soldi o avrà creduto di averne bisogno (per comprarsi magari un paio di jeans di marca, o un paio di stivaletti alla moda, o per andare in discoteca, o per comprarsi una dose) ma niente, proprio niente può giustificare la guerra tra poveri, nemmeno il discorso, a noi tanto caro, della società bastarda che è colpevole di tutto. Un livello, seppur minimo, di responsabilità individuale credo sia indispensabile per rientrare nella categoria degli esseri umani.

Ovviamente questo che ho raccontato è solo uno dei mille episodi che giornalmente avvengono, soprattutto nelle grandi città dove il processo di degradazione (non solo ambientale) ha raggiunto stadi avanzati. Ma se fino a un po' di anni fa potevo almeno pensare che l'area rivoluzionaria fosse qualitativamente e umanamente migliore, che costituisse l'embrione di una nuova società retta da principi e da valori non codificati ma sentiti e condivisi, ora non ne sono più tanto sicura. Molte sono le cose che hanno messo in dubbio questa mia certezza e che vorrei provare a discutere per chiarirmi/ci le idee.

Innanzitutto l'ideologia del furto che si è diffusa a macchia d'olio nell'ambito rivoluzionario. Intendiamoci bene. Esistono diversi livelli e diversi aspetti del furto. Una distinzione potrebbe riguardare le motivazioni.

Esiste chi ruba per sfamare sé o la sua famiglia perché in quel momento non ha altre possibilità, e non c'è bisogno di dire che il suo agire è sacrosanto. Esiste chi ruba per rimpinguare le casse di organizzazioni rivoluzionarie assumendosi in prima persona i rischi e le responsabilità. Si tratta, in linea teorica, di una scelta di tutto rispetto, ma nella pratica sappiamo che sono esistiti ben pochi esempi di militanti - ladri all'occasione - che poi sono tornati a fare i militanti (mi viene in mente solo Durruti). Spesso, invece, si corre il rischio di diventare dei "professionisti", di lasciarsi prendere dalla logica "malavitosa" e di perdere quindi di vista i motivi etici iniziali. Esiste chi ruba esattamente come potrebbe fare carriera in una azienda, cioè per desiderio, conscio o inconscio, di uscire dalla sua classe e di entrare a far parte di quella superiore dei padroni, cioè dei ladri legalizzati. Esiste infine chi ruba per sé come forma di ribellione verso un sistema ingiusto con la coscienza più o meno precisa di prendersi ciò che gli spetta.

In linea generale, proprio perché si tratta di una forma di ribellione sotterranea, questo potrebbe essere considerato un fenomeno positivo, ma proviamo a prenderne in considerazione alcuni aspetti.

1. Cosa si ruba. Si tratta in genere di beni "voluttuari" o considerati tali: i cibi più costosi, capi di abbigliamento alla moda (periodicamente i negozi tipo Fiorucci sono oggetto di espropri di gruppo, soprattutto durante le manifestazioni), macchine fotografiche, ecc.. Ora, il desiderio di avere beni di questo tipo in sé e per sé e cosa comprensibile, ma io non posso impedirmi di sentirmi a disagio quando questi desideri vengono espressi da "rivoluzionari" e quando si spaccia il loro soddisfacimento come "pratica rivoluzionaria", perché ho la sensazione che tutto questo rientri perfettamente nella logica del sistema che è riuscito a massificare persino i gusti dei rivoluzionari e a farli agire in un ambito del tutto "privato".

2. Come si ruba. Individualmente "di nascosto", in modo circospetto, in una atmosfera di falsità diffusa che diviene, nella pratica quotidiana, l'atteggiamento sfuggente e ambiguo di chi disimpara a guardare negli occhi. Io non ho mai amato la finzione, e credo sia un prezzo da pagare solo per cose ben più importanti. Collettivamente in modo aperto, con il coraggio che ormai purtroppo riesce a dare solo il gruppo, il sentirsi le spalle coperte, il sentirsi parte del gregge. Sarà che io sono un po' individualista (seppure organizzata, nel senso che ho sempre lavorato in un piccolo gruppo), ma non mi sono mai sentita a mio agio negli ambiti numerosi (assemblee, manifestazioni, ecc.) perché ho sempre verificato che in queste situazioni scattano i meccanismi della psicologia di massa: l'individuo cessa di essere se stesso, diventa pecora tra le pecore, scatta il gregarismo, scatta il leaderismo.

3. A chi si ruba. Mi sembra che nell'ambito rivoluzionario la pratica del furto in grande stile ai ricchi (per intenderci come faceva Marius Jacob alias Arsenio Lupin) sia decisamente caduta in disuso. Al contrario, si è enormemente diffusa la pratica dei "furtarelli" per soddisfare esigenze puramente individuali. È un fatto, comunque, che chi ruba non fa nessuna distinzione, anzi di solito preferisce farlo dove è più facile, dove minori sono i rischi, per cui spesso finisce per rubare proprio ad altri compagni. Se, come è accaduto, ad una festa anarchica per il primo maggio organizzata con fatica e a cui era presente solo l'area libertaria, vengono "espropriati" libri, bibite e torte, questo può essere considerato un atto rivoluzionario? Se ospiti un compagno di passaggio, gli lasci le chiavi di casa e questo se ne va con libri, una coperta o qualche altra cosa, bisogna considerarlo un atto rivoluzionario? Se da una sede anarchica spariscono soldi e cose, chi le ha trafugate può essere considerato rivoluzionario? Se i soldi ricavati dalla vendita della rivista vengono utilizzati per comprarsi una moto o per pagare l'affitto di una sede anarchica perché i compagni non si sentono di rinunciare a qualcosa per pagare l'affitto di tasca propria, questo si può definire un comportamento rivoluzionario?

Io credo che questi "coraggiosi" individui di rivoluzionario non abbiano proprio nulla, se non fosse l'abbigliamento sinistrese standardizzato, credo siano tanti manichini completamente vuoti. Mi fanno una gran pena e una gran rabbia, pena per la loro esistenza così stupidamente inutile, rabbia perché hanno avuto tutti gli strumenti per capire e non hanno capito proprio niente.

4. Perché si ruba. Non a caso l'ideologia del furtarello si è diffusa nella sinistra negli ultimi anni, cioè con la "caduta delle illusioni", con il conseguente rifiuto dell'impegno politico, con la riscoperta del privato. Tutta una serie di valori sono stati buttati alle ortiche ma senza essere sostituiti, se non dal principio, estremamente discutibile, del benessere complessivo individuale. Come se fosse possibile "stare bene" in un vasetto di vetro sterilizzato. E poi, li vedi ogni giorno questi fantasmi svagati della sinistra, li riconosci a colpo d'occhio, un po' per il loro abbigliamento, ma soprattutto per la loro aria un po' infelice, un po' rassegnata, un po' vacua, un po' (tanto) spenta.

Costituiscono una società nella società, un ghetto nel ghetto. Il furtarello credo abbia per loro due funzioni: da un lato fornirgli i beni di consumo che desiderano senza fatica, dall'altro fornirgli quel brivido che dà il fare qualcosa di illegale, l'aver "fregato" qualcuno. La filosofia che sottende questo comportamento è quella del "tutto mi è dovuto - tutto mi spetta", è quella, in sintesi, dell'assistito. A casa, per la maggior parte hanno la mamma (quella stronza) che gli lava i calzini e il papà (quello pirla) che gli passa il mensile, ma i soldi, si sa, non bastano mai. Il desiderio di libertà e di indipendenza manco li sfiora. E sono talmente sicuri di essere furbi che considerano coglioni quelli che non si comportano come loro, quelli ad esempio che lavorano per vivere e magari lottano sul posto di lavoro, quelli che si ostinano a fare militanza per cercare di modificare la realtà. Loro, il tempo libero lo dedicano a ben altro. A suonare la chitarra, a trovarsi nei locali-ghetto della sinistra (a quanto mi si dice frequentatissimi), a sproloquiare sulle loro "menate personali", a sentire corsi di animazione o di mimo o di riappropriazione del corpo. Buon pro gli faccia. Sono, tutto sommato, esattamente quelli che io non vorrei mai avere come compagni di strada se potessi/dovessi costruire domani una società libertaria. Pallide ombre senza spina dorsale e senza idee.

Credo proprio che dovremo cercarci i nostri interlocutori altrove.