Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 9 nr. 75
giugno 1979 - luglio 1979


Rivista Anarchica Online

Signorno!
di Paolo F.

Nel gran parlare che si va facendo intorno alla "questione carceraria", ci si dimentica spesso dei detenuti nelle carceri militari. Si tratta di migliaia di giovani, in gran parte condannati per reati "comuni" legati alla dura ed assurda vita di caserma, spesso aggravata dalla coscienza delle difficoltà che la loro naja causa alla famiglia (quanti giovani, partendo soldati, privano i loro cari di un'entrata economica indispensabile per "tirare avanti"!). Vi sono poi centinaia di testimoni di geova, i quali si ritengono "soldati di Cristo" e si rifiutano perciò di fare il soldato per un "altro" esercito: per questo loro rifiuto di indossare la divisa, che niente ha a che vedere con l'antimilitarismo (tant'è vero che i testimoni di geova sono malfamati come "lecchini" delle autorità, anche in carcere), pagano con il carcere e da sempre costituiscono la grande maggioranza degli obiettori.

Vi sono infine alcuni obiettori totali che hanno compiuto quella scelta coscientemente, con la chiara volontà di rifiutare l'esercito, conoscendo in anticipo il prezzo della loro coerenza. Non sono molti, non sono mai stati molti. Anzi, solo negli ultimi tempi si sono avute dichiarazioni collettive di rifiuto dell'esercito e del servizio civile, l'ultima delle quali pubblichiamo su questo numero a pagina 48.

Con l'arresto di Renato Bressan e di Nunzio Cunico, anarchici, sale a undici il numero dei giovani attualmente detenuti nelle carceri militari per obiezione totale. Undici ragazzi che hanno detto NO sia al servizio militare sia a quello civile, rifiutando la falsa alternativa e pagando di persona per questa loro scelta. Di loro si parla poco o niente. Non ne parlano i mass-media di regime, non ne parlano (o quasi) nemmeno i giornali, le radio, i fogli "di movimento".

Gli obiettori totali, non c'è che dire, non godono di vaste simpatie in campo sinistrese. Nella migliore delle ipotesi vengono giudicati con paternalistica simpatia, con un sorrisetto ironico, con la simpatia che istintivamente provocano in molti gli "svitati", gli strambi. A volte ricevono anche della solidarietà sincera, ma quasi mai sono considerati gente, giovani, compagni come noi. Ma bestie rare, masochisti. "compagni che sbagliano".

Vi è poi tutto un filone di pensiero e di giudizio, nettamente predominante in campo marxista, che critica aspramente (scientificamente, pardon) gli obiettori totali perché la loro scelta sarebbe solo frutto dell'individualismo più deteriore, quindi sostanzialmente piccolo-borghese, slegato dai grandi movimenti di massa (tipo "soldati democratici"), perdente, inutile in questa fase, ecc.. Sotto sotto ci sentono puzza di anarchismo. E non hanno poi tutti i torti.

A noi non interessa, in questa sede, mettere in luce il fatto che la maggioranza dei giovani che negli ultimi anni hanno compiuto ed anche ora stanno compiendo la scelta dell'obiezione totale è composta da militanti e simpatizzanti anarchici. Certo, questo fatto ci inorgoglisce, ma non sta qui il punto. Ciò che vogliamo mettere in luce è che sono proprio le ragioni per cui l'obiezione totale viene trascurata, irrisa o stroncata dai marxisti e da altri ancora, quelle che ce la fanno sentire a noi particolarmente vicina - anche quando è compiuta (com'è, per esempio, il caso di Sandro Gozzo) partendo da posizioni "religiose" che certo non sono le nostre.

Chi rifiuta l'esercito ed il falso dilemma servizio militare/civile non lo fa certo per ragioni "politiche", nel senso (giustamente spregiativo) che generalmente si dà a questo termine. Non lo fa, cioè, per conquistare voti, per rafforzare questa o quella organizzazione, in nome di una classe o di un partito. Nemmeno lo fa per protesta contro questo esercito ma a favore di un altro esercito: se vivesse in Cina o in Uruguay, a Cuba o in Australia, non potrebbe che compiere la medesima scelta. Lo fa innanzitutto perché sente che non potrebbe fare altrimenti. Ciò che l'obiettore totale istintivamente rigetta è la solita scusante sempre addotta dagli altri per "lasciar perdere", per non impegnarsi in prima persona nelle lotte: che cosa serva che io mi sacrifichi, se poi tanto gli altri non mi seguono? È questa impostazione del problema che l'obiettore totale rifiuta, perché sa che è proprio dietro a questa scusante che ci si è sempre nascosti pur di non affrontare le situazioni difficili. È proprio su questo sostanziale menefreghismo, su questo rifiuto individuale prima ancora che collettivo di assumerci le nostre responsabilità, che il sistema autoritario - qualsiasi sistema autoritario - basa la sua sopravvivenza e legittima la sua funzione.

L'obiettore totale, dunque, pur nella naturale varietà e diversità dei comportamenti e delle motivazioni possibili, compie innanzitutto una scelta di coerenza individuale, ed è proprio questo che i marxisti non riescono a comprendere, ad ammettere e men che mai a sostenere. La cosa non ci meraviglia. In un'epoca di sempre più forzata e subdola massificazione, con l'individuo sempre più stritolato dai grandi apparati burocratici, svuotato dall'interno dalla dis/informazione di regime, mentre tanto si ciancia di un "nuovo modo di far politica", perlopiù facendosene scudo per giustificare il proprio disimpegno dalle lotte, è naturale che la coerenza degli obiettori totali venga irrisa o sottaciuta. Altrettanto naturale ci sembra il fatto che i marxisti, come tutti gli autoritari, si allarmino di fronte al possibile diffondersi di pratiche di lotta - com'è appunto l'obiezione totale - che si basano innanzitutto sulla responsabilità individuale, escludendo completamente qualsiasi dipendenza da strutture gerarchiche e partitiche. Le "lotte di massa" possono sempre essere controllate, regolamentate, strumentalizzate da chi se ne voglia proclamare l'avanguardia. Con l'obiezione totale, invece, non c'è niente da fare, non c'è spazio per burocrati e avvoltoi.

In favore di Curcio e degli altri stalinisti delle B.R. ("riconosciute avanguardie del proletariato", pardon) sono stati costituiti numerosi comitati di difesa/sostegno, così come in genere in merito all'intera "questione carceraria". Difendere i brigatisti è in fondo in fondo a la page. Prendendo le parti dell'esercito brigatista contro quello dello stato italiano si rientra comunque in un'ottica, in una pratica ed in un linguaggio militaristi: ci sono i comunicati, le risoluzioni strategiche, le colonne territoriali, le imprese-blitz, le azioni di ripiegamento, i tribunali, le sentenze, le esecuzioni, la centralizzazione organizzativa, gli schedari, ecc.. Tutto l'occorrente, come sempre, per la tragica pratica della guerra. Chiunque "vinca", vincerà sempre il militarismo, e con lui lo sfruttamento, l'oppressione, l'intolleranza che sempre lo accompagnano. Non è un caso, dunque, che i brigatisti ed i loro sostenitori ignorino e sprezzino l'obiezione totale, contrapponendole un'impostazione ed una pratica di lotta militarista quanto mai.

Il messaggio antiautoritario che ci viene dalle carceri militari, da Peschiera a Palermo, da Gaeta a Bari-Palese, è ben altra cosa.