Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 9 nr. 74
maggio 1979


Rivista Anarchica Online

Contro il gatto e la volpe
di Palluntius

Qual è il limite tra conformismo ed anticonformismo? Dov'è la "terra di nessuno" della "normalità" che divide le due cose? Ma poi quale normalità? Ognuno di noi si è spesso, se non sempre, sentito autorizzato a giudicare anormali tutti coloro che non rientravano nel proprio schedario di normalità, con tutte le sue caselle di comportamento, abbigliamento, ambiente, idee politiche, gusti musicali, ecc. ecc.. Ormai è d'abitudine dividere la gente ed il suo manifestarsi in "Out" o "In". La paura del diverso? O forse la propria paura ed incapacità di cambiare. Non è il caso di iniziare il solito piagnisteo sull'impossibilità di comunicare a causa della rigidezza mentale di noi tutti, a causa degli strati di paraocchi preconcettuali che spesso ci lasciano solo uno spiraglio, una finestrella millimetrata in cui riusciamo ad inquadrare solo una sagoma ben precisa con determinati contorni, con determinate caratteristiche che corrispondono a schemi complicatissimi, contorti, che si fondono e si dividono. Io non potrò mai entrare nell'inquadratura di una femminista cosiddetta "dura", la protuberanza della mia sagoma all'altezza dell'incrocio delle cosce fa scattare in lei il campanello d'allarme. Tante piccole donnine guerrigliere corrono, nel suo cervello ai posti di combattimento: "Maschio a babordo!". È rischioso attaccare appunto con un esempio del genere. La donna non si tocca! E così se prima si toccava troppo, adesso non la tocca più nessuno. Non è vero, però tutti dicono di non toccarla nemmeno col pensiero. Avrei tanto voluto intervenire nel dibattito sul numero scorso che riguardava la donna. Ero anche facilitato dal fatto di far parte della redazione. No, doveva essere fatto solo dalle donne. Quando mi sono ritrovato completamente, come opinioni, nell'intervento di Rossella, ho pensato: "E se questo articolo avesse avuto una firma maschile?".

Già, cosa succede quando a dire le stesse cose che pensiamo noi, non è uno dei "nostri"? Altro esempio: spinto dal mio spirito missionario-ottimista retaggio di una diseducazione cattolica mi impegolo sempre in discussioni con chiunque vada un attimo al di là del grugnito, su anarchia, anarchismo, rivoluzione, ecc. ecc.. L'altro giorno mi capita con un mio collega di lavoro. Dopo lunghissime diatribe mi dice alla fine: "Va bene l'anarchia è una soluzione umana (testuali parole) sono d'accordo con te che è la soluzione ottimale, ma come si fa per arrivarci?". Io, tutto gongolante: "Semplice, con l'azione diretta!". Eccolo lì! In verità in verità vi dico.... Ma chi detiene i diritti d'autore sulla verità. Quali esempi realizzati abbiamo di organizzazione anarchica, che siano durati più di dieci anni? La Spagna? La colonia Cecilia? Kronstadt? Ecco il punto; quasi sempre chi è convinto di essere dalla parte della verità lo è solo in teoria. Ma se l'anarchia è una cosa così bella, così liberatoria, così umana cosa aspettiamo a realizzarla? Se essere donna è così bello perché le donne sono così piene di problemi di inferiorità, di crisi proprio come gli uomini? Ma perché c'è lo stato, no? Ma perché c'è il maschio che opprime e sfrutta no?!

È vero, ma proviamo a rovesciare il problema se non esistesse lo stato cioè il sistema di potere, se l'uomo inteso come maschio non fosse in una posizione di dominio rispetto alla donna, o addirittura, assecondando il desiderio della femminista più inferocita, non esistesse affatto, la donna sarebbe libera e felice? Esisterebbe una società anarchica funzionale e libera? Ecco. Proviamo ad eliminare per ipotesi la condizionale, ciò che impedisce la realizzazione di una condizione ottimale, questa condizione si realizzerebbe automaticamente? No! e lo dico decisamente. Proprio perché siamo tanto impegnati a cercare di eliminare il fattore di blocco, o meglio ciò che ognuno di noi identifica o vuole identificare con la causa prima che impedisce la realizzazione dei nostri desideri delle nostre aspirazioni, sociali, esistenziali ed emozionali che siano, che finiamo per sclerotizzarci, per conformarci cioè ad una immagine stereotipata di quella che è la situazione ottimale, l'aspirazione perfetta ad una realtà perfetta.

Ecco che allora va benissimo il precotto, il preconfezionato. Basta che abbia un odioso nemico da combattere. Per ogni fetta della nostra esistenza è già pronta una verità assoluta confezionata sotto vuoto con allegate le istruzioni per l'uso: cioè le condizioni perché questa realtà felice si realizzi, cioè il nemico da combattere, che più grosso e più cattivo è, più importante è la realtà felice da conquistare. Qualcuno prima o poi stilerà una classifica con tanto di obiettivi strategici o meno, tanto di fantocci da abbattere con le palle di pezza delle nostre teorie-verità-assoluta. È come camminare su delle ragnatele in qualcuna ognuno ci casca. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, che gliela ritiro perché è un bugiardo. È più facile lottare per questioni di principio, che lottare per conquistare o difendere una realtà concreta. Specialmente quando questa realtà sottintende un impegno duro, costantemente onesto, con se stessi e con gli altri. È più facile sparar dogmi soprattutto per gli altri.

La realtà, del resto, è come sempre molto più complessa ed articolata. Certo ci sarà sempre chi cercherà di spacciarmi verità assoluta a caro prezzo o a basso prezzo. Qualcuno che vorrà che mi conformi alle sue idee sulla lotta rivoluzionaria, sui rapporti con l'altro sesso, sui rapporti con me stesso, altrimenti non sono un compagno, non sono uno che comunica, non sono un uomo aperto, non sono me stesso. Ci saranno sempre i cultori della critica pura, magari violenta, sprezzante, unicamente distruttiva, ma che, con la scusa che non è una cosa abbastanza rivoluzionaria o perfettamente aderente ai canoni del manuale del perfetto compagno, non muovono un dito, anzi magari ti accusano di essere un borghese perché hai un lavoro fisso e che quindi è giusto che loro ti scrocchino anche l'anima e che coltivino l'arte di arrangiarsi sulle tue tasche e sulle tue spalle. Ci saranno sempre aspiranti gatti e volpi venditori di verità, ma questo non vuol dire che debbano esserci di conseguenza sempre pinocchi idioti pronti a pendere dalle loro labbra o dai loro breviari in brossura. Questo è il punto focale del problema: sono peggiori e più colpevoli i gatti e volpi & C. o i pinocchi sempre pronti a farsi fregare i loro cinque zecchini di ragionamento? È più colpevole e ipocrita chi inventa i dogmi o chi li accetta, soprattutto a parole, e li difende a spada tratta contro ogni possibile deviazionismo o ismo qualsivoglia?

Esistono per di più due tipi di pinocchio: quello infantile che per superficialità e spesso in buona fede (chissà) accetta il suo bel costumino e la sua bella mascherina di questo o quel baraccone venditore di verità; e quello molto più pericoloso e ipocrita che dopo essere passato per la prima fase di bagonghismo prende coscienza della propria boccalonaggine che, per preciso calcolo di comodità ideologica esistenziale o altro, continua a fingere di non sapere, continua a fare la parte delle tre scimmiette e magari diventa più duro più spietato contro i nemici dell'ideale, li combatte fino a farne l'unica ragione della sua militanza. E qui si ritorna al discorso iniziale. Ma quello che più preme è il discorso del conformismo tra anarchici, dall'ambito più vasto del movimento a quello più ristretto, ma non per questo meno complicato dei rapporti tra compagni. La prima impressione che si ha osservando gli anarchici dall'esterno è quella di un gruppone di amici sempre pronto a far quadrato per difendere l'idea, o il compagno perseguitato.

E fin qui niente di male. Non sia mai detto che la solidarietà verso i compagni perseguitati dal sistema sia una cosa disdicevole. E neanche sia mai detto che è sbagliato che chi difende le idee in cui crede sia un conformista. Ma è veramente così? Voglio dire, veramente è un fatto cosciente o piuttosto non è un'abitudine? Ma l'abitudine non è conformismo. No, ma è conformismo lo spirito di chiesuola un po' (un po' tanto) martirizzata, che quando può si prende la sua rivincita, magari durante un dibattito, tifando unilateralmente per il "nostro" campione che deve distruggere e demolire il nemico e le sue idee. Diventa conformismo l'andare a rimorchio delle iniziative degli altri, non perché è giusto esprimere la propria opinione su quell'argomento, ma perché tutti ne parlano e siccome si va a rimorchio si arriva magari con un paio d'anni di ritardo facendo anche la figura dei pippa. È conformismo giocare a fare la figura del ribelle quando magari non se ne ha il coraggio, o peggio si ha la certezza di propugnare una realtà di là da venire. Allora persino l'utopia assume un significato negativo. Tanto non si realizzerà mai e allora cosa costa farne la propria bandiera? Via ragazzi non fate quella faccia cosa volete che siano questi problemi di fronte al tremendo conformismo della massa. Di fronte al travoltismo, di fronte al rimpirlimento totale di una gran parte dei giovani?

Certo che allora siamo anche dei cretini, abbiamo scelto l'idea più difficile da confermare. L'utopia più umana, che ci brucia dentro proprio perché la vediamo così reale, così palpabile, così difficile da trasformare in un giochetto di pensierini e tanti bei "Noi l'avevamo detto" da distribuire agli eretici. Forse era meglio che anche noi diventassimo tanti piccoli burattini con la brillantina sui capelli, magari ci divertivamo di più. O no?