Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 9 nr. 74
maggio 1979


Rivista Anarchica Online

Le navicelle di Berlinguer
di E. Z.

Se non ricordiamo male, fu Ferdinando Cortes che, una volta messo piede sul continente americano, fece bruciare le navi con le quali era arrivato.

Il significato del gesto e le sue implicazioni pratiche furono immediatamente evidenti: il corpo di spedizione spagnolo doveva andare avanti, combattere, restare distrutto o conquistare il continente. Questo esempio ci è stato richiamato alla mente da uno dei risultati più significativi, secondo noi, e meno pubblicizzati del XV congresso del P.C.I.: la nuova formulazione dell'articolo 5 dello statuto del partito. Tra i doveri dell'iscritto al partito non vi è più, come appunto diceva l'articolo 5, quello di "acquistare e approfondire la conoscenza del marxismo-leninismo e applicarne gli insegnamenti nella soluzione delle questioni concrete" bensì il dovere di "accrescere le sue conoscenze culturali e politiche e approfondire lo studio della storia e del patrimonio delle idee del Partito Comunista Italiano e di tutto il movimento operaio e rivoluzionario". La navicella ideologica del Marx-Engels hanno sempre ragione, la peste colga chi a loro si oppone, è stata così bruciata.

Se dovessimo ancora riferirci a questo esempio dovremmo concludere che, ormai oltre la metà del guado, spinto su una strada senza ritorno, il P.C.I. arriverà, prima o poi, alla conquista dei suoi Palazzi d'Inverno: Palazzo Chigi e il Viminale (ognuno ha i palazzi che si merita).

Quello che però in questo momento ci preme di far rilevare, ancora una volta, è che per la base del partito comunista, per quella base che ha sopportato trent'anni di sacrifici, di lotte, di emarginazione, con la speranza della redenzione socialista nel cuore, con la speranza di essere finalmente un giorno chiamati a menare le mani, che in vista di queste prospettive ha giustificato, ligia agli ordini del partito, i crimini di Stalin, l'Ungheria del '56, la repressione a Berlino, in Polonia, in Cecoslovacchia, per questa base il tempo delle illusioni è finito.

"Le campagne elettorali si devono condurre naturalmente con un programma preciso, e noi l'abbiamo; si devono condurre in modo da guadagnare voti, non da perderli; e quindi si devono evitare atteggiamenti e comportamenti che possono anche far piacere ai nostri militanti più fedeli, ma che non spostano voti o opinioni a nostro favore e possono anzi sortire l'effetto contrario". L'ha detto Berlinguer, nel discorso conclusivo a definitiva sanzione degli orientamenti maggioritariamente espressi dal congresso, orientamenti evidenziatisi con particolare vigore negli interventi prima di Giorgio Napolitano e poi di Pietro Ingrao. "Noi comunisti siamo portatori di una grande ispirazione e tradizione rivoluzionaria, di una capacità di lotta che vogliamo ora trasfondere in un'opera, unitaria e democratica, di governo e di rinnovamento in senso socialista della società" (Napolitano). "Abbiamo imparato dall'U.R.S.S. e dall'Ottobre; non vedo niente di male se impariamo anche dalle vicende della socialdemocrazia... certo in questa piena conquista di una laicità del partito c'è il rischio di sbandamenti, ma c'è anche una fecondità che può essere eccezionale, se il legame con il socialismo si affiderà sempre meno alla fede ideologica di alcuni e sempre più alle lotte reali" (Ingrao).

Di fronte al pragmatismo di queste posizioni conta poco un Amendola che, ponendosi come assertore della continuità nella politica di egemonia culturale e di elaborazione teorica e pratica da parte del partito, si scontra, negandone l'esistenza, con bisogni ed esigenze nuove della società che tenderebbero ad introdurre elementi paralizzanti della vitalità del partito, o un Cossutta che richiamando rudemente l'attenzione di tutti sulla irrinunciabilità al riferimento costante al Marx-Engels-Lenin pensiero, all'internazionalismo inteso come legame di collaborazione e fraternità con l'Unione Sovietica e con i paesi socialisti, cerca, con questo soprassalto nostalgico, di coagulare un nucleo di nuova opposizione. La risposta, con buona pace dei duri, sta nei fatti, è ancora nelle parole di Ingrao.

Nei fatti, cioè nella composizione sociologica della base elettorale del partito, quale è venuta configurandosi dopo le elezioni del giugno 1976 e che trova espressione nella composizione percentuale dei delegati al congresso: operai 31,7%, impiegati, tecnici, intellettuali, studenti, liberi professionisti 60,6%, braccianti e contadini 4,1%. Una base, quindi, nella quale quella che storicamente veniva definita classe sfruttata e perciò soggetto rivoluzionario, è di fatto una minoranza.

Nelle parole di Ingrao che rispondendo ad Amendola (il quale nega il diritto di cittadinanza ai "movimenti spontanei" negando la possibilità in quanto "ogni movimento sorge sulla base di forze e di interessi di classe") dice che "il collegamento con i movimenti che in modo tumultuoso si registrano nella società di oggi è un'esigenza vitale per le alleanze, per i collegamenti con la società civile; ma soprattutto perché, sia pure in modo confuso alcuni di essi esprimono spinte individuali e collettive a cui è nostro compito storico dare risposte". Ovviamente le risposte sono risposte di mediazione, di omogeneizzazione delle varie esigenze, risposte che fanno riferimento non più alla pratica rivoluzionaria bensì a quella riformista, con la ricerca di una terza via o delle cosidette vie al socialismo, una terza via non in senso geografico di equidistanza tra Est ed Ovest ma in senso di innovazione, di nuova ed originale elaborazione riformistica. Assistiamo così alla nascita di una nuova socialdemocrazia, per la quale gli schemi marx-engelsiani non sono più strumenti per indagare, conoscere, interpretare le realtà esistenti e costruire realtà nuove, per la quale la sequenza lotta di classe-abbattimento del capitalismo-nascita della dittatura del proletariato-estinzione dello stato-trionfo del socialismo è ormai niente di più che una filastrocca con la quale si può, forse, ancora tentare di abbagliare quella minoranza (comunque sempre meno importante) di puri di cuore, i quali tuttora credono che la falce e il martello dello stemma del partito abbiano un reale significato e che il dito puntato di Berlinguer dalla tribuna del congresso indicasse il sole dell'avvenire. Per tutti gli altri ci sono, giustamente, la storia e le idee del partito quale nuovo patrimonio ideologico.

Come se non bastassero 60 anni di "socialismo realizzato" a dimostrare la ineluttabilità della evoluzione in senso autoritario burocratico, in nuove e più raffinate forme di dominio dell'uomo sull'uomo, del pensiero marxista applicato alla realtà (ricordate Bakunin?), il P.C.I. porta un suo specifico e originale contributo alla demolizione del mito sancendo la impraticabilità della via rivoluzionaria marxista, sfumando sempre più, con l'accoglimento all'interno di essa di nuovi soggetti sociali, i connotati della "classe", annacquando i vecchi dogmi, dotandosi in definitiva di caratteristiche di ambiguità che permettendo maggiore duttilità e capacità di manovra, gli daranno la possibilità di arrivare alla gestione del potere come organismo autonomo, indipendente dalla volontà di quella che continua ad essere contrabbandata come la base, alla faccia cioè degli sfruttati.