Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 9 nr. 73
aprile 1979


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La S.M.E.... nata
di D. C.

L'idea dell'unione monetaria europea nacque alla fine degli anni sessanta, sostenuta dai francesi, ma avversata dai tedeschi. Frutto di un compromesso, nel 1972 il piano Werner propose una strategia costruttiva a tre stadi. Primo passo fu la riduzione dei margini di oscillazione dei cambi (accordo di Basilea dell'aprile 1972) concordato fra i paesi della C.E.E. più Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca. L'esperimento incontrò difficoltà: le monete dei paesi economicamente più deboli non ressero e al principio del 1973 dovettero uscire. La crisi del petrolio (fine 1973) aggravò la situazione. Di fatto, da allora fino a fine '78 il serpente monetario è stato un'area al marco, intorno a cui gravitano il fiorino, il franco belga e la corona danese. Per anni si è ritenuto che l'accordo fosse destinato a saltare, ma a fine 1977 il problema dell'Europa monetaria è tornato in primo piano. E, con sorpresa di molti, è stata la Germania a muoversi decisamente in questa direzione, fino alla proposta franco-tedesca dell'ottobre '78. Cosa significa questa svolta, ed è effettivamente una svolta?

La strategia di politica economica internazionale dominante negli anni sessanta è stata quella teorizzata dagli U.S.A., detta delle "locomotive": lo sviluppo produttivo sarebbe cioè determinato dallo stimolo della domanda operata dai maggiori paesi industrializzati. I cambi fluttuanti fra le monete dovrebbero fungere da regolatore automatico degli squilibri. Questa strategia è entrata in crisi con la crisi del dollaro, ovvero del sistema monetario internazionale, e l'elevata instabilità dei cambi che ne è seguita. A questa strategia ne è così subentrata un'altra, di matrice tedesca, chiamata della "convergenza" il cui obiettivo sarebbe l'eliminazione dei divari esistenti nei tassi di sviluppo e di inflazione tra i vari paesi, cause prime delle crisi valutarie che tormentano l'economia mondiale.

Dietro a questa formula sta - come vedremo - l'obiettivo tedesco di rafforzare la propria influenza sul piano mondiale. Il periodo cruciale è stato quello che va dal luglio al settembre '78, con i vertici di Brema, di Bonn, l'assemblea del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Gli accordi qui presi impegnavano Germania e Giappone ad adottare misure di stimolo alla propria crescita, e gli U.S.A. a misure di contenimento del proprio deficit petrolifero - che indebolisce il dollaro, danneggia la situazione monetaria internazionale e può agire come stimolo all'aumento del prezzo del petrolio. Ma è chiaro che un'effettiva azione U.S.A. in questo senso avrebbe avuto effetti di indebolimento dell'economia U.S.A. e di rallentamento sull'economia mondiale - se l'economia americana non "tira", rallenta l'economia mondiale - e gravi ripercussioni sulla situazione dei paesi economicamente più deboli, negando così la tesi tedesca secondo cui crescita e stabilità mondiale passano per l'apporto concordato dei paesi industrializzati.

Ma allora si comprende come l'obiettivo tedesco fosse quello di rafforzare la posizione tedesca contro quella U.S.A., e forse la incapacità/riluttanza degli U.S.A. ad adeguarvisi non sia dovuta soltanto alla debolezza del presidente delle noccioline. In questo piano di egemonia tedesca possiamo collocare il progetto di Sistema Monetario Europeo: se la Germania primeggia da tempo in Europa questo progetto ha il fine di istituzionalizzare tale ruolo.

Esso consiste nella costituzione di un doppio meccanismo di controllo dei cambi: da un lato vi è una "griglia", una specie di riedizione del vecchio serpente, che dovrebbe indicare lo spostamento minimo e massimo tra le singole coppie di monete, dall'altro vi è un secondo indicatore, lo "scudo", cioè un'unità di conto (European Corrency Unit - ECU) la quale dovrebbe indicare quale moneta si sarà discostata maggiormente rispetto alle altre e costringerà il corrispondente Paese ad intervenire nella propria economia per correggere le variazioni del cambio. Inoltre si costituisce un fondo monetario europeo di intervento di sostegno nei vari paesi.

Lo S.M.E. dovrebbe: 1) limitare le conseguenze di disordini valutari esterni all'area europea, e 2) stimolare il riequilibrio delle economie meno stabili. Ma nel caso (non certo non probabile) in cui le economie meno forti dovessero intervenire frequentemente e massicciamente, questo avrebbe sensibili effetti depressivi sullo sviluppo interno: l'equilibrio verrebbe sì raggiunto ma ad un livello di produzione ed occupazione complessiva ben più basso del precedente. E inoltre la posizione tedesca è tale da far ritenere che mai essa si accollerà un ruolo di locomotiva europea che potrebbe crearle - U.S.A. insegnano - problemi di stabilità interna. In generale, non sembrano esservi sufficienti motivi per ritenere che questo nuovo meccanismo possa avere più successo del primo, cioè del vecchio serpente.

Negli ultimi mesi del '78 si è acceso, in Italia il dibattito sulla partecipazione italiana allo S.M.E. o meglio - dato che pochissimi hanno messo in dubbio la partecipazione - sulle condizioni di questa. In effetti un'economia come quella italiana che mostra tassi di inflazione intorno al 12% e tassi di sviluppo modestissimi (2% nel '78), con una struttura produttiva piuttosto "malandata" può subire - è stato notato - effetti tali, dei vincoli imposti dal contatto con il resto d'Europa, da rendere ancora più precario il quadro economico. Quindi il problema - se ne è concluso da parte degli scettici - è abbinare una politica economica interna (e il Piano Pandolfi ne è stato il risultato) di riconversione/ristrutturazione ad un progressivo integrarsi nell'Europa Monetaria.

Insomma, sì all'Europa, ma con cautela. La vicenda della rapida adesione è nota a tutti. Poi i battibecchi franco-tedeschi, poi la partenza, con l'Italia "in fiduciosa attesa". Che si può dire? Perché questa rapida adesione? Forse che l'ideale europeo sia così forte nella classe politica italiana o forse che le telefonate di Schmidt e di Giscard siano molto convenienti? Ciò che è certo è che fra i due principali contendenti, Germania e U.S.A., l'Italia - si fa per dire Italia, in realtà le classi subalterne - non godrà di certo. Ma forse i politici italiani hanno compreso che l'indicazione di sudditanza che i tedeschi hanno rivolto all'Italia, per loro va bene, essendo il loro motto "tutto deve cambiare, perché nulla cambi". Ha detto il leader socialdemocratico Schmidt nell'ottobre '74 al congresso dei metalmeccanici tedeschi: "Noi non dobbiamo salvare l'Italia, ma darle solo quel tanto di aiuto che le consente di stare con la testa fuori dall'acqua, non sulla spiaggia".